Giuseppe e Paolo uccisi anche da morti

paolo borsellinoIl dramma di altri Borsellino. Lo Stato non li riconosce vittime della mafia, l’infinita battaglia dei loro familiari

Lucca Sicula, 1992. Nel giro di pochi mesi tra aprile e dicembre vengono uccisi due piccoli imprenditori, padre e figlio. Ad aprile, 24 anni ricorrono proprio oggi, viene ammazzato Paolo, aveva 32 anni. Il successivo 17 dicembre viene ucciso il padre, Giuseppe, aveva 54 anni. Si occupavano di cemento, calcestruzzo, ancora non erano chiari gli scenari che oggi sono perfettamente limpidi e cioè quelli che indagini giudiziarie, processi, condanne, hanno svelato. Le mani di Cosa nostra su questo mercato, sulle imprese, sulle forniture. Giuseppe e Paolo Borsellino sono morti per avere difeso la loro impresa che la mafia voleva fagocitare. Probabilmente si sono mossi senza nemmeno avere contezza di chi “faceva loro la corte”, probabilmente pensavano anche a concorrenze sleali, gelosie di altri imprenditori, forse non hanno avuto mai modo di vedere in quei loro avversari, determinati e micidiali mafiosi. Oppure forse avevano capito bene con chi avevano a che fare e per questo avevano deciso di resistere, tanto che quando a Giuseppe ammazzarono il figlio, senza nemmeno attender i funerali si presentò dagli investigatori a raccontare tutto quello che a loro era accaduto, minacce e pressioni. Paolo Borsellino, solo omonimo del magistrato ucciso in quello stesso tragico anno, si era messo come obiettivo la crescita di una impresa sana, Giuseppe il padre lo seguiva e concordava, quando gli ammazzarono il figlio ruppe una regola ferrea, l’omertà. Lo ammazzarono platealmente in piazza, perché la mafia uccide e manda segnali, chi parla muore! L’introduzione di questo nostro pezzo è ricco di forse, perché le indagini giudiziarie via via hanno perduto la partita di arrivare alla verità anche per colpa di un collaboratore troppo in ritardo riconosciuto bugiardo. Da questo punto in poi non usiamo più il forse perché parlando con le persone, non solo con i familiari, abbiamo ben chiaro chi erano Paolo e Giuseppe Borsellino, persone oneste, vittime innocenti della mafia ma prive del dovuto riconoscimento. I familiari oggi non demordono e non sono soli. Non lo fanno per il risarcimento ma per evitare che ogni anno che trascorre Paolo e Giuseppe non vengano nuovamente uccisi. Paolo e Giuseppe erano due piccoli imprenditori che avevano creduto, da persone oneste, assolutamente fuori dalle logiche e dagli intrighi degli ambienti mafiosi, di potere esercitare a Lucca Sicula un’attività in proprio nel settore del calcestruzzo.

giuseppe borsellinoUn’attività economica che avevano intrapreso con sacrifici, acquistando a cambiali le macchine per l’operatività dell’impianto, ma anche con l’entusiasmo di chi crede nella propria intelligenza e nelle proprie capacità di grande lavoratore, desiderosi soltanto di costruire un avvenire di maggiore solidità economica per la propria famiglia. Padre e figlio non potevano sapere che il calcestruzzo, come sarebbe emerso negli anni successivi a seguito delle importanti operazioni antimafia che hanno colpito la potente mafia agrigentina, costituiva già allora per cosa nostra un grande affare da gestire direttamente o per il tramite di fidati imprenditori compiacenti che operavano in regime di assoluto monopolio. Alcune di queste imprese nel tempo si sono scoperte essere nelle mani di potenti emissari ai quali oggi senza dubbio si attribuisce la “dipendenza” dal boss latitante Matteo Messina Denaro. Paolo Borsellino è certo, fu ucciso perché si era rifiutato di vendere le quote sociali dell’azienda “Lucca Sicula Calcestruzzi S.r.l”., erano i mafiosi che volevano comprarla. La stessa sera del delitto Giuseppe, il padre, si presentò ai carabinieri , ripudiando la logica della vendetta privata, semmai ne avesse avuto possibilità, cosa da escludere, e confidava nella forza dello Stato di diritto per avere egli stesso per sé e la sua famiglia giustizia per la barbara ed ingiusta uccisione del figlio. Paolo Borsellino è morto per avere deciso di non vendere l’azienda, Giuseppe Borsellino per avere chiesto giustizia allo Stato. L’impresa dei Borsellino era sulla collinetta di Burgio che domina la valle, in quegli anni numerosi sono le opere pubbliche in corso, e come accade in questo pezzo di terra siciliana, tra Agrigento e Trapani, è la mafia a voler comandare, se gli appalti non li prende direttamente, vuole imporre le forniture ed i concorrenti fuori dal “cartello” mafioso indubbiamente danno fastidio. Sembra di leggere altre storie, altre vicende, come quella della trapanese Calcestruzzi Ericina che doveva fallire perché gestita dallo Stato, essendo stata confiscata al boss Virga, e concorrente di imprese che facevano parte di quello che oggi si potrebbe chiamare “quartierino” del malaffare mafioso. A Lucca Sicula gli appalti erano miliardari, l’impresa dei Borsellino era sempre tagliata fuori. I Borsellino sono indebitati quando nel 1991 arriva l’offerta di Stefano Radosta, boss poi ammazzato, accettano che nella loro società entrino nuovi soci, ma la pressione continua non la sostengono, ai primi segni di ribellione Paolo viene ucciso. Le indagini in quegli anni non erano raffinate per quello che concerneva le infiltrazioni della mafia nel mondo degli appalti, forse il fatto di quella società apertasi ad altri soci ha suscitato dubbi negli inquirenti ma comunque il riconoscimento come vittime della mafia arrivò poi d’improvviso la revoca. Un pentito Salvatore Inga raccontò che i Borsellino non erano così estranei a Cosa nostra. Di corso il riconoscimento fu revocato, ma m,mentre al ministero si scrivevano le carte sulla revoca del riconoscimento nelle aule dei Tribunali Inga veniva sbugiardato, anche perché gli inquirenti hanno cominciato a capire molto di più sul generale sistema “impresa-mafia”, ma il danno era stato già fatto, ed oggi mettere rimedio pare sia cosa difficilissima. Ma non può essere impossibile. I familiari hanno diritto ad ottenere il riconoscimento non basta che in tanti ogni giorno si impegnano a parlare della limpidezza di queste due persone, morte ammazzate, vittime innocenti della mafia, Paolo e Giuseppe Borsellino. Pasquale e Antonella, figli di Giuseppe, fratello e sorella di Paolo attendono giustizia, “l’attendiamo da quando assieme a mio padre chiedevamo di essere protetti mentre si indagava sulla morte di Paolo”. Paolo e Giuseppe ammazzati ogni giorno perché chi conosce la verità sulle loro morti, gira ancora per il paese. Ci sono stati anche arresti, ma poi sono arrivate le scarcerazioni. Giustizia è attesa dalla vedova di Paolo, Enza, e dai figli che quando il loro genitore fu ucciso avevano sette e tre anni. Per la morte di Giuseppe c’è una sentenza definitiva di condanna per un responsabile, indagine archiviata per la morte di Paolo. Un ricordo che è ricco di tanta ingiustizia, ma non molliamo nella fiducia perché pensiamo che c’è ancora tempo per indagare e per sanare questa ferita che ancora sanguina, ne siamo convinti a morire ammazzati sono state due persone che facevano parte della Sicilia più bella. Raccontando storie come questa vengono sempre in mente le parole di Caponnetto uscito dalla casa di Paolo Borsellino dopo la strage di via D’Amelio, “è finito tutto”, e invece no non è così, non può e non deve essere così, e lo diciamo in faccia ai mafiosi di oggi che non sono meno violenti di quelli di 20 anni addietro, oggi c’è la mafia 2.0, non spara, calunnia e querela, una mafia che sa come delegittimare gli onesti, e come far trasferire gli integerrimi, magari è agevolata da chi permette la carriera a chi non lo merita, a giudici e pm che hanno frequentato clan e massonerie, ma non si demorde, tanti sono impegnati a vincere questa partita contro Cosa nostra. Vinceremo, anche per Paolo e Giuseppe Borsellino.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.