“Io, vittima di estorsione e dell’omertà. Ma oggi sono un uomo libero”

Quando la vittima subisce il “silenzio” ma non perde la speranza

CASTELLAMMARE DEL GOLFO. Quando all’improvviso tutto cambia e la vita viene stravolta in un attimo, in pochi giorni. Questa è la storia di Leonardo Candela, ufficiale di marina imbarcato su navi da crociera. Abbiamo deciso di incontrarlo davanti a un buon caffè, vista lungo mare di Castellammare del Golfo. La vicenda sullo sfondo è l’acquisto di una villetta in contrada Fraginesi ad un’asta giudiziaria. Un investimento immobiliare che, su consiglio di una agenzia immobiliare, decise di affrontare con la madre. Un affare a prima vista, ma in realtà si sarebbe trasformato presto in un calvario. Una scelta, quella di Leonardo, che non avrebbe mai pensato potesse sfociare nella storia poi emersa nei giorni successivi e in quella che abbiamo letto sulle pagine dei giornali il giorno degli arresti. Leonardo, lecitamente, ha partecipato all’asta giudiziaria non pensando di “creare” danno o di sottrarre la casa ad altri. “Non ho mai fatto del male a nessuno, non era certo mia intenzione sottrarre la casa a qualcuno, ho solo accettato la proposta dell’agenzia immobiliare” – sottolinea.

Oggi padre e figlio, Giuseppe e Pietro Pace, sono imputati di estorsione e turbativa d’asta. Il 68enne Giuseppe Pace, che ha scelto il rito ordinario, è stato rinviato a giudizio lo scorso 26 giugno dal Gup del Tribunale di Trapani Emanuele Cersosimo che ha accolto la richiesta del pm Sara Morri. Per lui nei mesi scorsi è stata accolta la scarcerazione richiesta dal suo legale con l’obbligo del braccialetto elettronico e gli arresti domiciliari nella casa del fratello a Lampedusa. Rito ordinario anche per il figlio 40enne Pietro. Per entrambi il processo inizierà domani, giovedì 20 settembre, presso il Tribunale di Trapani.

Intanto Leonardo Candela commenta la vicenda, con un pizzico di amaro in bocca. “Fin dall’inizio fui sorpreso, all’asta ci siamo presentati solo noi”, racconta. Siamo nel maggio del 2017, mese in cui tutto ebbe inizio. “Già in quel periodo iniziarono i primi segnali, tramite terze persone, per tentare di farci desistere. Non erano venuti direttamente loro, io neanche li conoscevo. Poi tra giugno e luglio i segnali si fecero più espliciti e diretti. Da lì capimmo subito che non avevano buone intenzioni ed erano molto determinati. In quel periodo ero fuori per lavoro, così, decisi di rientrare in fretta a casa. Non avevo reale contezza dei fatti, fino a quanto a fine luglio non me li vidi arrivare a casa per la prima volta – racconta Leonardo Candela ad Alqamah.it tra un sorso di caffè e l’altro – Da parte loro, l’invito era quello di risolvere la cosa “come diciamo noi”, perché secondo loro avevo commesso un grosso errore. Avevo già investito una bella somma per quell’immobile, – sottolinea – tirarmi indietro, assecondando le loro richieste, voleva dire commettere un reato penale”. Il suo racconto è stato successivamente messo nero su bianco davanti ai carabinieri, che poi, tramite le indagini, sono sfociati negli arresti dell’anno scorso. Durante la conferenza stampa i carabinieri di Trapani hanno evidenziato come sono emerse “gravi conseguenze per uno dei soggetti interessati”.

“Fin da subito – racconta Candela – ho percepito che del rispetto delle regole e della legalità non ne volevano sentire, per questo esigevano la mia complicità. Il mio “no” non è stato minimamente preso in considerazione. Da parte mia c’era la disponibilità di fare qualcosa ma in totale trasparenza e nel rispetto delle regole, per questo volevo fare tutto tramite il mio legale, quindi non ho chiuso loro la porta in faccia. Per me il rispetto della legge viene prima di tutto. Da quel momento gli avvertimenti sono diventati sempre più espliciti. Da casa mia, durante il nostro primo incontro, sono andati via solo per il tempestivo interventi dei carabinieri”. Secondo gli inquirenti, i Pace, i proprietari della casa finita all’asta giudiziaria per vicende personali, non accettavano che la loro casa fosse venduta, così avrebbero iniziato a “intimidire” chi si era aggiudicata l’asta.

Il giorno seguente il loro primo incontro, dentro la sua proprietà, trova il cane intento a giocare con una busta di plastica. Quella busta conteneva 8 cartucce di fucile da caccia nuove, denuncia l’episodio ai carabinieri, ma non si riesce ad arrivare all’autore del gesto. “Per me è stato davvero tutto assurdo, ero tornato dalla navigazione da pochi giorni e mi sono ritrovato in un incubo. Arrivato a quel punto, anche se non si è dimostrato chi fosse l’autore di quell’intimidazione, non potevo non andare avanti, l’unica strada da portare avanti era, ed è, quella della legalità”. Per Leonardo non resta che la strada della denuncia. “Non ci stavo a sottomettermi a quelle logiche culturalmente lontane da me. Certo, adesso sono stanco, è stata una scelta che mi è costata tanto, ma la rifarei”.

Alla fine rinuncia all’acquisto della casa, la situazione era diventata troppo “surreale” per andare avanti: “L’ho fatto per proteggere mia madre, non potevo farle passare quello che ho passato io.” Dalle indagini dei carabinieri si parla di “condizionatori da prelevare”, nello specifico di “quello giovane” e di “quello vecchio”, per chi ha condotto le indagini, come ribadito durante la conferenza stampa il giorno degli arresti, si trattava in realtà di “gravi conseguenze per il figlio della donna”, ovvero un presunto rapimento organizzato con la complicità di altri soggetti assoldati per l’occasione nei confronti di Leonardo. Quest’ultima ipotesi, come ha dichiarato nei mesi scorsi l’Avv Fabio Sammartano (difensore di Giuseppe Pace) in una nota inviata al nostro giornale, non è mai stata approfondita dagli investigatori, quindi, secondo il legale, quella del rapimento nei confronti del figlio è un’ipotesi “inverosimile”, infatti, Giuseppe e Pietro Pace, insieme ad un altro soggetto, non sono stati indagati per questi fatti.

“Ho appreso solo successivamente, dopo l’operazione dei carabinieri, di aver ricevuto queste gravi minacce, e di essere, a quanto pare, un “condizionatore”. Ho vissuto per circa 20 giorni con la “scorta”, o meglio una protezione 24 ore su 24 da parte degli uomini dell’Arma che ringrazio per avermi salvato da questa situazione” – racconta Leonardo Candela. La sua è una storia di coraggio. Da parte dello Stato si è sentito protetto, ma oggi, da uomo libero, non ha ricevuto lo stesso trattamento dalla società civile: “Mi sento sicuramente più solo. Non finirò mai di ringraziare la Procura della Repubblica di Trapani e gli uomini dell’Arma dei Carabinieri, ma non ho trovato grande solidarietà da parte della società civile e della mia città, Castellammare. È triste, doloroso, perché in molti ci hanno voltato le spalle. Alcuni, che prima chiamavano anche solo per sapere come stavo, adesso non lo fanno più. È dura, ma in questi ultimi mesi ho ricevuto la vicinanza dell’associazione Antiracket e Antiusura Alcamese che si è costituita parte civile e mi è vicina.”

Quella di cui parla Leonardo è una ferita che sanguina ancora e che difficilmente si rimarginerà. “È stato doloroso sentire dire in tribunale dai legali degli imputati che la nostra denuncia non ha avuto riscontro nelle dichiarazioni rese da alcuni miei parenti. In molti – sottolinea amareggiato – ci hanno trattato con indifferenza e omertà, preferendo la strada del silenzio”. La sua sicuramente non è stata una scelta facile, ma non riesce a spiegarsi il comportamento di molti suoi concittadini: “Non lo so, forse è la paura; io sono convinto che all’omertà si risponde parlando, raccontando, per questo vado avanti. Certamente non sono tutti omertosi, ho ricevuto anche segnali positivi, di vicinanza e di affetto. Però fa riflettere il comportamento di alcuni.”

“Se rifarei tutto? Si”, risponde in modo sicuro Leonardo, non ha timore di sottolinearlo: “Per me è inaccettabile rimanere schiavi di certe logiche, non bisogna abbassare la testa. Ho sofferto, ho avuto momenti difficili e di sconforto, ma posso dire a gran voce di essere un uomo libero.”

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.