Rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Marsala per nove indagati, in sette scelgono il rito abbreviato tra loro il “re” dell’eolico l’alcamese Vito Nicastri. A giudizio anche Salvatore Crimi figlio ed erede del defunto boss Nanai Crimi
Il prossimo 26 marzo compariranno davanti al Tribunale di Marsala nove indagati del blitz antimafia “Pionica”, condotto nel marzo dall’anno scorso dai Carabinieri del comando provinciale di Trapani e dai militari del Ros. Il gup giudice Filippo Lo Presti ha oggi rinviato a giudizio Michele Gucciardi, 65 anni, Salvatore Crimi, di 60, Gaspare Salvatore Gucciardi, di 56, Ciro Gino Ficarotta, 67 anni, Leonardo Ficarotta, 38 anni, Paolo Vivirito, 39 anni, Anna Maria Crocetta Asaro, di 47 anni, Leonardo Nanai Crimi, di 24, Tommaso Asaro di 47 anni. Il prossimo 6 marzo invece davanti al gup Lo Presti comincerà il processo col rito abbreviato per gli altri indagati dell’operazione “Pionica” a cominciare dal cosiddetto “re” dell’eolico, l’alcamese Vito Nicastri di 63 anni, e poi Roberto Nicastri di 56 anni, Antonino e Virgilio Asaro, di 76 e 42 anni, Girolamo Scandariato, 50 anni, Melchiorre Leone, 59 anni, Giuseppe Bellitti, 49 anni. I reati in generale contestati vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dal favoreggiamento alla intestazione fittizia di beni. Si sono costituiti parte civile i Comuni di Salemi e Castelvetrano, le associazioni antiracket di Trapani e Alcamo, l’associazione Caponnetto, il centro studi Pio La Torre e l’associazione “La Verità Vive onlus” di Marsala. Ci sono stati nomi “pesanti” coinvolti nell’operazione antimafia. C’è il nome del «re dell’eolico», l’imprenditore alcamese Vito Nicastri, che dopo le maxi confische subite era riuscito a tenere nascosta un’ulteriore cassaforte da dove ha tirato fuori i soldi per mantenere la latitanza del capo della cupola provinciale, il boss Matteo Messina Denaro. Soldi consegnati nel 2014 dal capo mafia di Salemi Michele Gucciardi a Francesco Guttadauro, nipote del capo mafia di Castelvetrano, quei soldi fu detto espressamente arrivavano da Vito Nicastri. In cella è finito Salvatore Crimi, il figlio-erede del capo mafia Leonardo “Nanai” Crimi, deceduto da qualche tempo e che fu il “principe” della mafia trapanese del rione di Borgo Annunziata – Passo dei Ladri, il suo nome ricorre nelle indagini antimafia a cominciare da quelle che portano la firma del pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto, ammazzato dalla mafia il 25 gennaio del 1983. Indagati anche la moglie di Crimi jr, Anna Maria Crocetta Asaro e il loro figlio Leonardo. Ma tra i nomi citati nell’ordinanza del gip Nicastro del Tribunale di Palermo spuntarono quelli della famiglia D’Alì, i fratelli Giacomo e il senatore Antonio, ex sottosegretario all’interno, seguito e fotografato a incontrare i mafiosi di Vita e Salemi per trattare la vendita di terreni. I germani D’Alì a stretto giro fecero sapere che ignoravano la caratura mafiosa delle persone incontrate. L’indagine fu avviata nel 2014 e fotografò l’attualità dell’organizzazione mafiosa trapanese, e in particolare quella dei centri agricoli di Vita e Salemi, capace di arrivare ancora fin dentro i più importanti salotti della provincia, e che aveva come fine il controllo di filiere agricole e commerciali. Sullo sfondo poi dell’inchiesta il favoreggiamento da continuare a garantire a Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, al quale sarebbero stati fatti arrivare ingenti quantitativi di denaro. Gli arrestati, servendosi anche di professionisti nell’ambito di consulenze agricole e immobiliari, sono riusciti, attraverso società di fatto riconducibili all’organizzazione mafiosa ma fittiziamente intestate a terzi, a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname nonché in attività di ristorazione. Le indagini, sostenute anche dalla collaborazione del defunto imprenditore di Castelvetrano, Lorenzo Cimarosa, cugino del capo mafia Messina Denaro, e dei nuovi pentiti Attilio Fogazza e Nicolò Nicolosi, permisero di scoprire come Cosa nostra trapanese, attraverso i fratelli Nicastri, era riuscita a mettere le mani sui possedimenti terrieri appartenuti alla famiglia degli esattori Salvo di Salemi, considerati da sempre uomini di peso della mafia trapanese e palermitana: come a dire che quei terreni di appartenenza mafiosa non dovevano sfuggire al controllo della mafia. L’erede dei Salvo, Giuseppe Salvo, si è costituita parte civile nel procedimento. Gli affari monitorati nell’operazione “Pionica” sarebbero stati ordinati attraverso i “pizzini” giunti dal latitante Matteo Messina Denaro. Un’indagine che arriva fino a Trapani, dove nuovo capo mafia, come indicato dal pentito Cimarosa, sarebbe Franco Orlando, ex consigliere comunale del Psi, uomo d’onore riservato per volere di Messina Denaro e oggi gestore di un bar vicino al Santuario della Madonna. E a Trapani il clan risulta avere intavolato trattative per l’affitto di un’ampia estensione terriera di proprietà della famiglia D’Alì, e nel settembre 2014 proprio il senatore D’Alì è stato visto incontrarsi con i mafiosi adesso arrestati, tra i quali il calatafimese Girolamo Scandariato, per contrattare l’affitto dei suoi terreni destinati a ospitare un impianto di “paulownia”, alberi destinati alla produzione di pregiato legname.