Il colonnello Giuseppe De Donno chiamato a deporre nel processo a carico del generale dei carabinieri Mario Mori smentisce l’esistenza di una trattativa Stato-mafia: “Decidemmo di contattare in qualche modo la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi, ma non ci fu nessuna trattativa, non c’è mai stato nulla da trattare”.
Nella sua deposizione l’ufficiale De Donno, all’epoca capitano del Ros e uno dei più fidati collaboratori di Giovanni Falcone, conferma di aver incontrato dopo la strage di Capaci più volte l’ex primo cittadino di Palermo, condannato per mafia (“l’idea fu mia e il colonnello Mori mi autorizzò”) ma senza l’obiettivo di intavolare una trattativa. Colloqui di cui peraltro fu informato lo stesso procuratore capo Giancarlo Caselli.
“Dopo i miei primi incontri gli dissi che voleva incontrarlo il mio superiore, l’allora colonnello Mario Mori – ricostruisce De Donno -. E così dopo la strage di via D’Amelio, Vito Ciancimino incontrò me e Mori. Ci sono stati quattro incontri, in cui parlammo di cosa fare per cercare dei contatti con Cosa nostra. Al terzo incontro Ciancimino ci riferì di avere parlato con un interlocutore e ci disse: ‘Io lo faccio però ora non si scherza più su queste cose, perché si muore. Io lo faccio solo se mi autorizzate a fare i vostri nomi’”. Il contatto sarebbe però sfumato perché a quel punto il Ros decise di tirarsi indietro.
De Donno accenna anche ai contrasti interni alla Procura di Palermo subito dopo la strage di Capaci, quando Borsellino chiese al Ros di riprendere l’indagine “mafia e appalti” per cercare di fare luce sulle ragioni della strage.
Ma la Procura di Palermo, all’epoca guidata da Pietro Giammanco, ”congelo”’ l’indagine che aveva individuato un ”comitato d’affari” in grado di controllare l’assegnazione degli appalti pubblici in Sicilia.
“In quel periodo i rapporti tra Paolo Borsellino e Pietro Giammanco, erano pessimi – aggiunge De Donno -: Borsellino era assolutamente contrario al modo in cui veniva gestita la Procura e questo lo sapevano tutti”.