Vedete, sono stato con mia moglie ospite di una famiglia inglese per una settimana e ho scoperto alcune strane abitudini di questa gente nordica e isolana. il popolo inglese è un popolo di scommettitori. E di bevitori, ma questo non c’entra. Loro si ritrovano al pub sotto casa, c’è un pub per ogni strada, per ogni piccola frazione ed è loro consuetudine ritrovarsi lì la sera dopo il lavoro (e per sera si intendono le 6 del pomeriggio). Ogni sera, per abitudine, si ritrovano con quelli che chiamano “gli amici del pub”, per l’appunto, a chiacchierare, a bere e a scommettere. Si scommette su tutto, sul risultato di una partita di cricket, su quante amanti ha avuto Berlusconi (forse in nostro onore), sui millimetri di pioggia che cadranno l’indomani (solo che si ostinano a snobbare il sistema metrico decimale e quindi scommettono in pollici). Certo per loro sarebbe immorale scommettere conoscendo in anticipo il risultato di una partita o il numero di piede di Naomi Campbell, non si punta su quello che uno degli scommettitori conosce con certezza. A noi questo può sembrare strano, a noi (italiani) piace vincere facile, come dice uno slogan pubblicitario che rimane impresso a differenza del prodotto che reclamizza. In Inghilterra da sempre è legale ogni tipo di scommessa che viene persino quotata da bookmakers ufficiali, c’è un’antica tradizione che garantisce la neutralità. L’Inghilterra è d’altronde un paese per certi versi incomprensibile per noi, dove più che le leggi possono le convenzioni e le tradizioni, e dove i giudici per dirimere le controversie si rifanno più al buon senso o ai precedenti che all’esiguo numero di leggi esistenti (tanto esiguo che non c’è bisogno neppure di una Costituzione).
Noi italiani invece, senza alcuno scandalo per nessuno, ci siamo cimentati qualche anno fa nella LIBERALIZZAZIONE DELLE SCOMMESSE che una volta erano clandestine e per questo perseguite dalla Legge. Solo il Totip e il Totocalcio, gestiti in regime di monopolio, permettevano agli italiani di sognare, tutto il resto era in mano alla malavita organizzata che però per questo era fuorilegge e così gli autori di scommesse clandestine erano doppiamente condannati, sia dal punto di vista legale che da quello della morale pubblica. Le condanne non bastavano però, e nel tempo si sono ripetuti gli scandali su partite truccate e addirittura su campionati di calcio falsati. Siccome girava tanto denaro, e con la scusa che anche in paesi come l’Inghilterra ciò si è sempre fatto, lo Stato italiano ha deciso di entrare a far parte del gioco delle scommesse per accaparrarsi una bella fetta di proventi extra. Nel frattempo le società si sono quotate in borsa e il giro di denaro tra calciatori, procuratori, sponsor, diritti televisivi, è cresciuto a dismisura, creando tali interessi economici, in particolare sul calcio, che ne viene fuori più uno spettacolo, uno show-business, che una disciplina sportiva.
Legalizzare però in un paese come il nostro non basta, ci vogliono le regole, perché l’italiano al contrario dell’inglese pensa che “Tutto ciò che non è espressamente vietato dalla Legge si può fare”, come disse qualcuno. Ed è per questo che siamo il paese con più leggi e leggine al mondo, vi siamo costretti dalla nostra mentalità di furbetti.
Come fare in modo allora che anche in Italia le scommesse siano al contempo legali e moralmente accettabili? Si potrebbe intervenire ad esempio impedendo che calciatori, procuratori, allenatori, dirigenti di società o altre figure legate al mondo del calcio possano scommettere, perché non è morale puntare delle somme sul proprio rendimento (soprattutto se si punta sulla propria sconfitta!). Però poi dovremmo impedire le giocate alle mogli e ai familiari delle persone coinvolte. E forse tenere sotto controllo i telefonini di tutti quanti per impedire accordi incrociati tra le partite. E impedire loro e ai loro amici investimenti in Borsa sulle società, perché anche quegli utili derivano dall’andamento delle squadre nel campionato. Si arriva cioè all’assurdo.
Allora vi lancio una provocazione: visto che lo Stato controlla già Alcool, Tabacco e Gioco d’azzardo, tipiche attività malavitose sottratte alle organizzazioni criminali, non era più facile e meno immorale fare profitti legalizzando le droghe leggere?