Un’installazione del milanese Mario Merz nella neo aperta sala delle Verifiche del Complesso Steri di Palermo
Palermo. Il festival Univecittà apre le porte, quelle simboliche del suo inizio e quelle reali della Sala delle Verifiche che ospita al proprio interno un’importantissima installazione di arte contemporanea di Mario Merz: “l’impermeabile luminoso”. Il buio della sala fa da contorno ad un’opera che per la maggior parte dei visitatori darà sfogo a quel famoso “questo potevo farlo anch’io” che dà titolo ad un testo di Bonami. L’opera, essendo espressione di quell’arte povera nata alla fine degli anni ’60, è priva degli orpelli della forma tipici dell’arte tradizionale. E’ una delle opere in cui Merz usa dei tubi al neon per traforare elementi propri della vita comune con l’intento di mostrare la radice prima della vita nel suo rapporto con il quotidiano. Non ci sono dei bei colori ad attirare l’attenzione dello spettatore, non delle graziose forme. Solo luce e materia, materia prima che quasi scompare ombrata dalla forza di quella luce accecante che rappresenta la fonte primaria di vita, l’elemento attraverso cui tutti gli altri diventando fenomeni divengono reali. La luce comunica con la pelle dell’impermeabile e comunica anche con un pannello di legno dalla forma vagamente umana o forse di manichino, che indossa l’impermeabile. Se quest’opera poteva avere senso negli anni ’60, in aperta contenta stazione contro l’estetica bombardante della televisione, piena di luci, forme e colori oggi ne ha ancora di più. Bombardati da pannelli pubblicitari nelle strade e immagini a scomparsa negli schermi dei computer porre un freno, “impoverire”, tornare all’origine può essere utile. La “dieta” di immagine a cui Merz ci avrebbe sottoposto oggi sarebbe stata di certo molto più drastica.
Marilena Calcara