Certo ad andare in Germania si rischia di prendere un terribile contagio, lo sapete. No, non sto parlando del temibile batterio Killer E. coli, fortunatamente non diffuso nella Baviera, ma dello sfrenato consumo della vera specialità locale: la birra. Pure mia moglie ed io siamo stati coinvolti nell’attività, certo a tempo debito, senza cioè cominciare dal mattino come vedevamo fare a signori di tutte le età seduti ai tavolini dei bar. Noi ci limitavamo ad assumere l’amarostica e frizzante bevanda a moderato contenuto alcolico soltanto a partire dal tardo pomeriggio, dopo aver visitato giudiziosamente le bellezze storiche e paesaggistiche riservateci da quella regione. Perché il contenuto alcolico sarà moderato, ma dopo un paio di boccali di una piacevole birretta media alla spina, un leggero torpore comincia a partire dai tuoi piedi e la voglia di mettersi in movimento scema di colpo.
La prima sera a Fussen siamo stati attirati da una locanda che proponeva del cibo locale (Allgauer kasspatzen, suggeriti dalla brutta e simpatica ostessa la cui stenta traduzione ci è suonata come “pasta di pane al formaggio con sopra cipolle arrostite” accompagnati abbastanza incongruamente da una ciotola di insalata mista, e Schweinshaxen, stinco di maiale arrosto servito in un letto di crauti e patate – sostituite nei fatti, con grande disappunto di mia moglie, da due enormi canederli). La locandiera è stata però subito perdonata da Marilena non appena ha portato in tavola dei sottobicchieri con le tre specialità di birra bavarese Konig Ludwig (Re Ludovico, quello dei castelli), la Hell, birra chiara leggera, la Dunkel, scura, e la sua preferita, la HefeWeizen, quella opaca di frumento, chiedendoci quale volevamo. Abbiamo optato ambedue per la weizen, malgrado qualche difficoltà di comprensione perché dicevamo wiesse che la tedesca avrebbe comunque dovuto capire, secondo me. Poi abbiamo indicato significativamente il sottobicchiere corrispondente, mentre non ci si dava scelta sulla quantità. Qualche minuto dopo infatti è riapparsa con due boccali, di quelli lunghi, da mezzolitro. Alla fine della cena eravamo già stroncati, forse per il viaggio, forse per aver dormito poco, sicuramente dopo aver bevuto la birra, e siamo tornati presto in albergo.
La sera successiva, in un locale ancora più caratteristico con Biergarten, vigeva l’ All völl, cioè bevi tutto quello che vuoi. Si pagava cioè una consumazione e quando il contenuto del boccale era finito, avevi diritto a fartelo riempire di nuovo. Inutile dire che oltre ad aver assaggiato ancora specialità della zona (Ofenkartoffeln, patate al forno con formaggio cremoso alle erbe, Pilzsuppe, zuppa di funghi servita dentro un pane svuotato, e Barsch, il pesce persico impanato accompagnato da patatine al forno e inutili salsine dolci) non ho resistito al richiamo di quanto è gratuito e sono riuscito a bere, oltre al primo, anche un secondo boccale dell’ottima weizen che mi ha permesso appena di giungere fino all’albergo, dove mi sono istantaneamente accasciato sul letto e ho dormito soddisfatto per 10 ore filate.
Nella serata passata alla storica birreria Hofbrauhaus (vi sto risparmiando tutte le dieresi) di Monaco di Baviera, ho deciso invece che la birra di frumento dava troppo alla testa e mi sono rifugiato nella semplice birra chiara, anche perché arrivavano boccaloni da un litro e cercavo di non far brutta figura. Arrivati per le 8 di sera e decisi a sederci ad uno dei chilometrici tavoloni della Sala delle feste, che avevamo visitato al mattino, ci siamo introdotti per sbaglio nella “Schwemme”, la sala al pian terreno con molti posti sparsi, dove l’atmosfera di festa, il gruppo folcloristico e i liberi balli ci hanno conquistato. Non trovavamo però posto fino a che un attempato signore che presidiava un tavolo di fianco all’orchestrina, vedendoci in difficoltà, ha deciso di ospitarci. Ci ha poi spiegato in un italiano stentato, dopo che il primo boccale di birra ci ha sciolto un po’ la lingua, che si trattava di uno “stammtische”, uno dei 120 tavoli a prenotazione fissa riservati per tutto l’anno. Intanto intorno a noi, bavaresi in abito tradizionale ballavano insieme a turisti, un gruppo di chiassosi messicani assaliva prima delle panche appena liberatesi, poi un paio di tavoli, esondando anche presso i gruppi vicini, da alcuni sorridenti giapponesi al nostro tavolo, dove abbiamo potuto parlare con il loro autista spagnolo che li accompagnava in un tour per l’Europa della durata di due mesi. Poi si sono seduti altri tre, due fidanzati, lui tedesco lei polacca, e la madre di lei, polacca che non conosceva altra lingua e ricorreva continuamente alle traduzioni della figlia. La conversazione si faceva sempre più allegra anche se la comprensione tra due italiani che parlano un po’ d’inglese, un tedesco che parla un po’ d’italiano, uno spagnolo catalano, un tedesco, una polacca che parla inglese e tedesco e una polacca, dall’esterno doveva risultare almeno bizzarra.
Quando sul finire del secondo litro di chiara, il posto al tavolo è stato preso da tre giovani americani, non avevamo più l’energia per ricominciare con le presentazioni e per sforzarci di dialogare sovrastando la musica. Abbiamo deciso di aver bisogno di una lunga passeggiata notturna per Monaco con il contributo dell’aria fresca per smaltire le pesantezze dell’alcol.
Ah, per ultimo un consiglio: non fatevi portare il menù in italiano se ce l’hanno. Da quello dell’Hofbrauhaus abbiamo scelto “salsiccia di carne di insalata casareccia di patate” e “Leberkase, polpettone a base di carne di maiale di propria produzione appena sfornato con contorno di insalata di patate casareccia”. Sapete cosa ci hanno portato? Wurstel e patate nel primo caso e fettona gigante di wurstel con patate nel secondo.