“E’ stato detto amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico amate il vostro prossimo e pragate per coloro che vi perseguitano” Matteo 5,43.
Vasti paesaggi di sovraumana bellezza fanno da prologo alla storia narrata nel film. Due genitori di altrettanti ragazzi, lontani per il colore della pelle, per le radici culturali, per le abitudini e la religione, sono involontariamente accomunati da uno stesso tragico destino. Siamo nella Londra che nel 2005 subisce gli attentati nelle stazioni delle metropolitane.
Benchè la diffidenza prevalga inizialmente tra i due, e non lasci emergere alcun altro sentimento, e nonostante sin dall’inzio i due protagonisti sembrino non accettare ciò che allo spettatore appare quasi subito straordinariamente evidente, saranno solo le ricerche dei figli scomparsi e il continuo intecciarsi delle strade dei due genitori a far luce sui rapporti tra Jane e Alì e sulle relative differenze culturali che i genitori, specie la madre di Jane, non riescono a superare.
Non si tratta della classica riproposizione di stereotipi, o del clichè abusato sul bisogno di mescolare le culture, quanto piuttosto la storia di vite crudelmente vere e di un esperienza davvero toccante che si allarga fino a coinvolgere la vita dei genitori.
In sottofondo lo spunto per alcune riflessioni: l’importanza dell’interrogarsi rispetto ai propri limiti e alle proprie capacità di saper essere genitori e altrettanto figli, che Elisabeth e Ousmane sono costretti a rivedere solo a causa di un tragico evento; e ancora la distanza/vicinanza tra gli eventi storici che rimangono impressi nella storia collettiva ma che con il tempo perdono gran parte della loro carica emotiva per chi non li ha vissuti direttamente, rispetto alla storia individuale di quanti in questi eventi si trovano coinvolti e ne subiscono tutte le conseguenze.