Gaetano Porcasi, il Pittore dell’ Antimafia, è stato definito dallo storico Carlo Marino “un colto cantastorie” in quanto nelle sue opere, al di là di tecnica e stile, ciò che emerge, anche se non si è addetti ai lavori, è l’istantanea di un preciso fatto storico.
L’autore partinicese è molto apprezzato sia a livello nazionale che internazionale, tanto da poter vantare un museo a lui dedicato a Perugia, un’esposizione al parlamento europeo di Bruxelles, e un gran numero di riconoscimenti non solo pittorici ma anche di carattere sociale, proprio per il delicato tema che nelle sue opere riesce ad affrontare.
Si tratta di un’artista a tutto tondo, un vulcano di idee e iniziative che spaziano in vari campi, un impegno che non si esaurisce mai e che sfocia nella pittura solo dopo aver assorbito nuovi spunti, nuove idee; perché come spiega lui stesso ogni quadro nasce da lunghe discussioni con amici, conoscenti, esponenti delle istituzioni. Spesso il quadro viene fuori dal lento assorbimento dei contenuti di un libro, di una storia, o per l’appunto da dialoghi nati casualmente ma fonte di ispirazione per il racconto di nuove storie, o la rivisitazione di quelle già conosciute. Non si tratta di semplice immagine, di buona pittura che trasmette un’idea, ma di un vero e proprio racconto traslato sulla tela, dove ogni elemento rappresenta una parte dell’insieme, dell’intera storia.
Il quadro che riprende “Il Gattopardo” viene così descritto dal pittore stesso: “i 2 cani bastardi rappresentano i siciliani che hanno sempre bisogno di un padrone – e continua – siamo passati dai Borbone ai Savoia, ai Garibaldini che liberarono la Sicilia. Tomasi di Lampedusa, anch’egli rappresentato nel quadro come elemento fondamentale, racconta la Sicilia da spettatore come se con il suo sguardo intendesse dire: ‘i siciliani questi sono’; eppure al contempo nel quadro ci sono la ricchezza della cultura e il balcone barocco. Il libro è riassunto interamente nell’opera che ne ripercorre la storia”. Nei suoi quadri vi è la denuncia e la spinta verso una maggiore riflessione, ciò che quotidianamente non vediamo o non abbiamo visto nella sicilianità è impresso nel quadro perché rimanga ai posteri la possibilità di confrontarsi con una mentalità non ancora superata e di sicuro non relegata soltanto in poche quantificabili persone. Come egli stesso aggiunge: “ogni quadro deve avere una storia ed è interessante perché ogni volta che dipingi racconti, diventi un cronista della storia”. Così nei suoi quadri si può “leggere” la storia della Sicilia di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia, ma anche quella dei morti per mafia, di tutte quelle persone che hanno dato la vita per un ideale, nella lotta contro la criminalità organizzata.
Ma nei suoi quadri non c’è solo mafia, c’è anche molta Sicilia in tutte le forme che essa sa assumere: “non è il quadro che viene scopiazzato, è un quadro che nasce perché tu vuoi raccontare una situazione di degrado che c’è nella nostra terra, è una forte denuncia, ma nello stesso tempo una voce che dà voce a coloro che hanno le bende agli occhi. Il quadro, in questo modo, diventa un mezzo che può dare fastidio.” Può dare fastidio anche a chi non dovrebbe apparentemente darne, come a tutte quelle persone che, chissà perché, chiedono ancora all’artista: “Ma tutta questa pittura di denuncia… Insomma chi te lo fa fare? Ci guadagnerai qualcosa allora?”