Ogni esperienza, anche se molto dolorosa, ci insegna qualcosa. Non saremmo le persone che siamo se non conservassimo memoria di chi siamo stati e di quello che abbiamo vissuto. Eppure, l’uomo ha sempre cercato di manipolare i ricordi delle proprie esperienze tentando, molte volte, di eliminare ogni traccia di ciò che gli ha causato forti traumi e svariate angosce. Un desiderio, questo, coltivato da secoli, che oggi probabilmente diverrà realtà grazie ad una scoperta, che potrà permettere di toccare con mano la possibilità di controllare la memoria, di rafforzarla o di cancellarla selettivamente.
Gli autori di questa scoperta sono i ricercatori della John Hopkins University, coordinati dalla professoressa Cristina Alberini, che hanno avuto occasione di presentarla a Venezia, durante la VII conferenza “The future of science”.
La paura vissuta in un incidente, il ricordo che ci lega ad una dipendenza o la capacità di seguire quanto appreso nella vita: due facce della memoria a lungo termine, i cui meccanismi sono stati in parte svelati.
“Perchè una memoria diventi a lungo termine – spiega la professoressa Alberini — serve un certo livello emotivo, di stress ed eccitazione. Più è alto, maggiore sarà la quantità e i dettagli del ricordo. Alcune memorie, come quelle negative associate alla paura, sono legate al rilascio di ormoni, quali il cortisolo e l’adrenalina. Noi abbiamo visto – precisa — che si può intervenire per ridurre una memoria negativa, ad esempio legata al disturbo post-traumatico da stress o alla dipendenza da droghe, o invece aumentarla, nel caso ci si trovi con il decadimento indotto da demenze (morbo di Alzheimer)”.
Ma, a quanto spiega la Alberini, c’è una particolare finestra temporale per farlo. Dopo che il ricordo si e’ formato, vi e’ un momento in cui la memoria si affievolisce e diventa labile, per poi consolidarsi nuovamente: è proprio quando il ricordo è labile che i ricercatori intervengono con dei farmaci.
“Nel caso di ricordi negativi, blocchiamo i recettori del cortisolo, facendo così diminuire l’intensità del ricordo. Quando invece vogliamo rinforzarlo, aggiungiamo il fattore di crescita insuline grow factor 2 (IGF2), importante per lo sviluppo del cervello adulto e presente nell’ippocampo. Si e’ visto che dopo l’apprendimento, l’IGF2 aumenta. Quindi incrementandone la quantità e somministrandolo per via sistemica, cioè non direttamente nel cranio, abbiamo riscontrato un significativo aumento dell’ intensità e persistenza del ricordo”, aggiunge la professoressa.
Dopo questa positiva sperimentazione sui topi, i ricercatori verificheranno la tossicità di questi esperimenti e continueranno sui primati.
Certamente, questa scoperta potrebbe agevolare la rimozione dalla memoria dei ricordi dolorosi, prima che si stabiliscano condizioni mentali patologiche. Tuttavia, bisogna mettere in guardia sulle possibili applicazioni di questa scoperta: è molto rischioso, infatti, “modificare” la memoria delle persone. Un uso scorretto dei farmaci in sperimentazione potrebbe portare ad una incapacità di accumulare altri ricordi, ad un abbattimento del senso del limite e del pericolo (non riuscendo più a ricordare se un atto è rischioso o porta conseguenze negative) oppure allo sviluppo di disturbi comportamentali e allo smarrimento della percezione della propria identità.
La professoressa Alberini chiarisce, però, che l’obiettivo concreto della sperimentazione non è legato a scopi futili e fantasiosi: questo medicinale potrebbe realmente cambiare la vita delle persone con problemi importanti legati alla memoria.