Ci sono delle giornate uggiose in cui non si è molto propositivi. Allora si vaga per casa evitando accuratamente tutto ciò che sarebbe utile fare, semplicemente perché ogni faccenda diventa troppo ardua, niente è difficile da affrontare quanto l’inizio di un lavoro. Così magari, a tempo perso, indugi sul contenuto multiforme di un cassetto aperto per caso, dove, sempre per caso, c’è ammucchiata della roba che non sapevi nemmeno di avere, alcune fotografie dimenticate e delle lettere del tempo che fu, alternate ad alcune vecchie bollette e i certificati di proprietà della macchina e dello scooter. Pensi che i documenti li metterai in un posto più sicuro e li tiri fuori, ti soffermi sulle foto ma non sono un granché, leggi lettere tue scritte quando eri fidanzato ma le ricordi infarcite di sciocchezze. Finalmente fai un mucchio di quanto ritrovato e lo rimetti tutto nel cassetto alla rinfusa, compresi gli inutili certificati di proprietà. Non rimane che spingersi fino al computer nella speranza che ci possa essere un input positivo. Lì, mi ritrovo con la pagina facebook di mia figlia Elena aperta. Non che sia la prima volta, visto che il simpatico social network tende a riaprirsi ogni volta sull’ultima identità connessa. Ma stavolta non ho granché da fare e non ho per nulla voglia di passare il resto del pomeriggio a leggere vicendevoli insulti preelettorali scambiati come commento agli articoli tra supposti cittadini qualunque apparenti avversari politici (o si tratta invece di veri militanti – forse sono addirittura solo due che alterano la firma e che duellano agguerriti sui vari argomenti). Così mi addentro nel mondo semimagico del “libro di facce”, dove briose amichette inondano la bacheca di ogni sorta di video, di foto o di pensiero; l’importante è che non sia personale. Si “inoltra” qualcosa già pronta per raccontare una propria emozione, uno stato d’animo o anche senza motivo (oppure lo stato d’animo è indotto da qualcun altro che ha pubblicato sul profilo una data immagine?). Cioè mi figuro qualcuno a capo di una catena che “posta” una foto (poniamo ad esempio quella di un amabile gattino che guarda in camera con la testa inclinata, corredata dalla didascalia: “un po’ di dolcezza”) e questa foto, che procura un sentimento di amabilità in chi la guarda, pare viaggi a velocità imperscrutabile nel cyberspazio internettiano rimbalzando di amicizia in amicizia in tutte le bacheche del mondo (virtuale), almeno in quelle femminili di sicuro. L’unico commento personale, massimo sforzo possibile, un “che duciiiiiiiii…”. Oppure una delle cose spiritose che circola, il messaggio “Nella mia classe: il 30% messaggia, il 50% pensa ai fatti loro, il 20% dorme…e poi?ah si…lo 0% segue la lezione!” pubblicato dal gruppo “Io odio la scuola, e tu?”, dove si capisce che si odia la scuola dallo sgrammaticato “il 50% pensa ai fatti loro”. Insomma sono un po’ avvilito, queste ragazze non si dicono proprio niente di interessante o almeno di personale? Scopro in basso a destra però la chat, sulla quale arriva un messaggino, l’amica Simo pensa che io sia Elena. Prima di poterla ragguagliare sulla mia identità (o accingendomi a farlo, devo confessare, con colpevole quanto indiscreto ritardo), vengo informato delle novità circa le vicende amorose di Electra. Io non so chi sia la ragazza, questo nome nei miei ricordi è legato all’ultima pagina dei fumetti di Tex o forse di Alan Ford, dove veniva pubblicizzata la Scuola Radio Elettra, studi per corrispondenza. Faccio mente locale impedendo alle mie dita di domandare alla Simo, alcunché di sensato sulla amica e sul suo nickname che si presume Elena debba conoscere bene. Digito invece degli “eeeeeee” o degli “aaaaaaah” un po’ a caso, così mi trovo a sapere del gesto incosciente del Lillo (fidanzato di lei) che ingelosito per alcune chat private della ragazza con un amico, ha addirittura cambiato il suo stato sentimentale in “single”! Poi per fortuna Simo mi saluta che deve andare. Ancora più angustiato mi chiedo se ci sia speranza per questi ragazzi che mi appaiono privi di volontà propria. Eppure i social network hanno contribuito in maniera rilevante alla primavera araba, ad unire persone che chiedevano a gran voce i loro diritti e grazie a questi mezzi sono riusciti ad organizzarsi. Quindi non dipende dal mezzo.
Vago ancora verso il basso della bacheca dove, incredibilmente, qualcosa di interessante lo scovo. C’è un manifesto, qualcosa che inneggia alla pace, evidentemente un evento non banale che approfondisco. Finisco in una strana pagina scritta in parte in arabo, parte in inglese, mi incaponisco nella traduzione. Poi finalmente trovo qualcuno in italiano che spiega. Pare che su Facebook un israeliano, un padre, una persona normale, abbia postato un manifesto contro tutte le guerre e in particolare contro quella tra Israele e Iran, che, spiega, i loro media stanno pompando. Lui chiede il sostegno delle persone normali, di israeliani e iraniani che non vogliono la guerra e che internet gli permette di raggiungere. Il sito italiano dice che finora trentamila israeliani e iraniani si stanno scambiando messaggi e immagini di amicizia e rispetto impensabili solo la settimana scorsa. Tutto è iniziato qualche giorno fa, con queste poche righe scritte da Ronny Edry di Tel Aviv. “Ciao, sono Ronny. Ho 41 anni. Sono un padre, un progettista grafico, un insegnante, un cittadino di Israele. E ho bisogno del vostro aiuto. Ultimamente, nei telegiornali, sentiamo preannunciare una guerra. Enorme. I governi parlano di distruzione, autodifesa, come se questa guerra non avesse a che fare con noi. Tre giorni fa, ho pubblicato un poster su Facebook. Il messaggio era semplice: “Iraniani, non bombarderemo mai il vostro paese, vi amiamo“. Accanto al poster ho aggiunto: “Al popolo iraniano, a ogni padre, madre, figlio, fratello e sorella. Perché ci sia un guerra tra di noi, è necessario che prima abbiamo paura l’uno dell’altro. Dobbiamo odiare. Io non ho paura di voi, non vi odio. Non vi conosco nemmeno. Nessun Iraniano mi ha mai fatto del male. Non ho nemmeno mai conosciuto un Iraniano … giusto uno a Parigi, in un museo. Un tipo simpatico. Qualche volta qui vedo un Iraniano in TV. Parla di una guerra. Sono certo che non rappresenta tutto il popolo iraniano. Se sentite qualcuno in TV parlare di un bombardamento su di voi … state certi che non sta rappresentando tutti noi. Non sono un rappresentante ufficiale del mio Paese. Ma conosco le strade della mia città, parlo ai miei vicini, i miei famigliari, i miei amici e a nome di tutte queste persone … vi vogliamo bene. Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male. Al contrario, ci piacerebbe incontrarvi, prendere un caffè assieme e parlare di sport. A tutti coloro che provano lo stesso, condividete questo messaggio e aiutatelo a raggiungere il popolo iraniano.” In ventiquattro ore hanno iniziato a condividere il poster su Facebook. Nel giro di quarantott’ore gli Iraniani hanno iniziato a rispondere ai poster e ricambiare il loro amore per noi. Centinaia di messaggi che dicevano Israeliani “vi amiamo anche noi“. Il giorno dopo eravamo in TV, sui giornali, prova del fatto che il messaggio stava viaggiando. Velocissimo. Ora vogliamo fare in modo che il messaggio giunga ovunque, non solo alla comunità di Facebook, ma a tutti. Questo è un messaggio da parte della gente, per la gente. Quindi, per favore, non odiare e aiutaci a diffondere questo messaggio.” Potenza del social network.