Non smetto di voler rivedere quelle immagini, ad ogni notiziario, approfondimento, programma d’intrattenimento. Esercitano su di me una strana malia: la maglia gialla e rossa dell’attaccante che salta con un dribbling sulla destra il proprio marcatore e, anche se un po’ defilato, calcia in direzione della porta avversaria verso la quale sopraggiunge un difensore in bianco che in un ultimo disperato tentativo di impedire il gol, entra scoordinato in scivolata colpendo sì la palla, ma trascinandola in rete. Mia figlia Elena intanto mi fa “quella matusalemme della Franco ci fa leggere delle storie antidiluviane edulcorate senza senso”. Siamo seduti a tavola all’ora di pranzo e tento di rivedere ancora una volta quello spezzone della partita Bari – Lecce, ma la strana uscita della mia solitamente silente figliuola mi distrae proprio nel momento in cui dovrebbe comparire sullo schermo in alto a sinistra la sagoma in bianco (il colore della purezza) del calciatore che provenendo ortogonalmente rispetto alla traiettoria del pallone, probabilmente destinato a finire fuori alla destra della porta barese, non potrà fare a meno di trascinarla con sé in rete. Così mi giro e le chiedo con chi l’abbia e che cosa ci vuole comunicare in questa ora solitamente dedicata ai telegiornali e ad eventuali susseguenti commenti. Non che sia infastidito, la mia disposizione d’animo è piuttosto stupita che irritata. In realtà mi fa piacere che Elena ci parli di quanto le accade a scuola e che esterni le sue considerazioni su quello che a pensarci è quasi tutto il suo mondo quotidiano. Sbircio, però con la coda dell’occhio ancora lo schermo per vedere se questa volta mi riesce di capire se per caso il giocatore di bianco vestito dia o meno un’occhiata rivelatrice durante la corsa o dopo l’autorete, ma arrivo troppo tardi, l’immagine lo mostra sulla linea di porta, seduto sconsolato a testa bassa, mentre il calciante immigrato (ma con nazionalità italiana) giallorosso esulta a braccia tese poco distante. Non importa, riguarderò al prossimo notiziario le immagini cercando indizi rivelatori, così mi concentro sulla mia famiglia riunita attorno alla tavola per il pranzo, i piatti usati che scompaiono davanti, la mia ciotola di fragole condite con poco zucchero e il limone a completare la seduta. A fianco spuntano anche delle fragole intere lavate che Marilena ed Elena prendono con lo yogurt bianco, il tutto completamente privo di zucchero, alimento che scomparirebbe del tutto da casa se non fosse per un mio morboso attaccamento che deve avere qualcosa a che fare con la mia infanzia, dice Marilena. Probabile che il ricordo molecolare di orribili merendine a base di pane, burro e zucchero propinate a più riprese da tua madre, sfotte, abbia creato nel tuo organismo una dipendenza congenita dalla quale non riesci più ad uscire. Malgrado ciò, le dosi di zucchero e sale propinatemi in famiglia vengono costantemente ridotte, come fossi un tossico che è aiutato ad uscire dalla sua dipendenza pian piano. La differenza con un tossico, almeno credo, è che io mi accorgo benissimo che una bistecca è completamente senza sale o una fragola senza zucchero, anche dopo anni di assuefazione alle dosi ridotte. È solo l’annuncio della battaglia che l’occhiata arcigna di mia moglie anticipa, che mi induce a desistere dall’alzarmi a prendere la saliera o la zuccheriera. (Riflettendo, è altamente probabile che anche per un tossico una dose a scalare di metadone sia paragonabile ad una bistecca senza sale se confrontata all’eroina, forse per questo è davvero difficile non ricominciare anche dopo aver superato l’astinenza fisica.)
Ma torniamo a mia figlia. “La scuola insegna cose lontane venti anni luce dalla realtà”, afferma convinta, “la Franco, poi, vive in un altro mondo; è immersa nella letteratura, fa esempi dell’ottocento e cerca di inculcare valori ideali improbabili”. “Perché, qual è stato l’argomento di oggi?”, domando cauto, intuendo che la Franco deve essere l’insegnante di lettere della classe. “Da una sezione del libro di antologia che si intitola ‘Il senso della vita’, ci ha letto un racconto moraleggiante assurdo e antico che secondo lei avrebbe dovuto far capire delle cose”. “Cioè?”. “Tipo che i soldi non sono importanti, ma che l’istruzione, la musica e perfino gli scacchi lo sono di più”. “E cos’è che ti dà fastidio in questo?”, interviene mia moglie con la consueta energia. “Che è come se vivessi una realtà schizofrenica dove la mattina ci vengono propinate un sacco di belle parole, su quello che è giusto, sul valore della cultura, sull’importanza della crescita personale e spirituale. Il pomeriggio invece ho a che fare con il mondo reale dove non si parla altro che di soldi, soldi, economia e ancora soldi. Basta guardare la tv!”. Rimaniamo interdetti, io e Marilena, colpiti dalla verità delle parole di Elena. Lei approfitta del silenzio e continua: “Come se non bastasse oggi pomeriggio come compito dovrei fare un tema sul vero senso della vita secondo me; e naturalmente per fare bella figura e prendere un buon voto dovrò assecondare le stupidaggini della prof e del suo raccontino edulcorato”. “Intanto se conosci così alcune parole”, rispondo sviando volutamente il suo attacco, “lo devi anche a questa insegnante”. “Ma cosa pretenderesti che vi insegni”, interviene invece frontale mia moglie, “come uccidere i genitori per appropriarvi dell’eredità? Fa bene il suo lavoro che è quello di educarvi alla cultura; non è colpa sua se il mondo esterno è così, lei tenta di modificarlo intervenendo su di voi, che siete il futuro”. “Ma come interviene”, ribatte Elena, “se non si accorge nemmeno dei miei compagni che si alzano e fanno wrestling in fondo alla classe!”
Wrestling. Quella lotta spettacolarizzata che piace tanto ai ragazzi. Dove omaccioni pompati di muscoli fanno finta di prendersi a botte con mosse personalizzate. Guardando un incontro si apprezza la tecnica con la quale il combattente finge di picchiare l’avversario, ma dove già in partenza si sa che il “buono” vincerà, mentre il “cattivo” verrà sconfitto. L’ho sempre visto come uno spettacolo per sempliciotti americani dalla psicologia facile e bisogno continuo di essere rassicurati. Il messaggio che lancia verso gli spettatori è infatti: i buoni vincono sempre malgrado le difficoltà da affrontare. Invariabilmente in questi incontri, il buono viene messo alle strette fino quasi a capitolare, ma con un ultimo – imprevedibile – lampo di orgoglio, trionfa. Ripenso a Masiello (il calciatore in bianco) e la sua notevole interpretazione, perché così mi appare il suo autogol, insospettabile. Poi alle immagini del gol di Destro in Chievo – Siena, un passaggio all’indietro del difensore lo mette da solo di fronte alla porta. Segna. Un errore fatale che può benissimo, lo sappiamo tutti, capitare. A questo punto finisce come nel wrestling, possiamo cominciare a guardare le partite apprezzando maggiormente le tecniche con le quali i calciatori riescono a farsi fare gol o a sbagliare rigori o a far finire la partita 5 a 4 o 6 a 3 senza farsene accorgere, come se fosse normale. Ma tutto ciò non avrebbe senso se non ci fossero le scommesse, i soldi, a dirigere ogni cosa e obnubilare qualsiasi valore sportivo. I flussi straordinari di puntate (perfettamente legali!) sui punteggi delle partite ne determinano magicamente i risultati. E noi a godere del gesto tecnico.
Che dire a mia figlia? Ha ragione lei, il denaro sta travolgendo tutto, valori, cultura, buoni propositi, e non c’è scuola, né insegnamento che tenga, perché le pressioni verso una realtà in cui tutto diventi commerciabile, sono incessanti e incontrollabili. Non rimane che imparare insieme a decifrare quanto vediamo, distinguendo tra show-business e umanità.