Di Flavia Vilardi
Testo dall’approccio semplice ma non banale, “Avere o essere” di Erich Fromm analizza, con grande profondità e ricchezza di contenuti, due dei temi più discussi nell’universo umano e meglio approfonditi dai teologi e dai filosofi: il vivere nella modalità dell’Essere e in quella dell’Avere.
L’autore, psicanalista e sociologo tedesco vissuto nel XX secolo, sviluppa una prospettiva letteraria e filosofica di questi due fenomeni partendo dalle antiche religioni orientali per finire a quelle più moderne dell’occidente.
A tal proposito, centralizza la sua attenzione sull’Antico e sul Nuovo Testamento, come punto di partenza di una più attenta analisi del quotidiano. Se nell’Antico Testamento il tema dell’avere implicava l’innata allegoria del deserto (spesso citato nel libro sacro) come simbolo di povertà e quindi di mancanza di proprietà, il Nuovo Testamento presenta una prospettiva che guarda agli insegnamenti di Gesù Cristo, il quale invitava a liberarsi da ogni brama terrena per diffondere con umiltà il Verbo di Dio.
Interessante è il capitolo in cui Fromm presenta l’antitesi tra avere (possesso e società avida) ed essere (cura dell’anima, generosità ed altruismo), evidente in azioni e attività che normalmente appartengono alla routine quotidiana, come ricordare, conversare, leggere, avere fede, avere amore o essere in amore o riscontrabile negli opposti “peccato e perdono”, “paura della morte e affermazione della vita” o ancora “solidarietà e antagonismo”.
Infine l’autore stila una lista di regole necessarie agli essere umani per esistere e per coesistere, auspicando la nascita di un “uomo nuovo” che sia in grado di “avvertire la propria identità con ogni forma di vita e quindi rinunciare al proposito di conquistare la natura, di sottometterla, sfruttarla, violentarla, distruggerla” e di una “società nuova” che possa “garantire la sicurezza fondamentale agli individui, senza renderli dipendenti da una burocrazia che provveda a nutrirli.”
E se è vero che Aristippo già nel 300 a.C. affermava che “godere di un massimo di piaceri fisici costituisce lo scopo della vita e la felicità è la somma complessiva dei piaceri che si sono goduti”, c’è da chiedersi se sarebbe opportuno convenire con Erich Fromm nel dedicare la propria esistenza a scopi più nobili come la ricchezza dell’anima, piuttosto che del portafogli.