D’Alì si schiera con Lo Bello, presidente di confindustria Sicilia, e spiega quanto le sue affermazioni siano condivisibili in merito alla difficile situazione della regione.
«Fuori dai soliti luoghi comuni – dice d’Alì – le nostre colpe di siciliani sono ben più gravi delle trascuratezze o delle ostilità altrui. L’incidenza negativa sulla economia delle famiglie e delle imprese siciliane ad opera delle politiche nazionali è superata di gran lunga dal disastro causato dalla inefficienza del nostro apparato pubblico regionale e locale»
D’Alì lamenta l’enorme numero di dipedenti della regione e l’incapacità della stessa di spendere i Fondi Comunitari che più di una volta sono stati ritirati. Per non parlare delle consulenze esterne cui ricorre con enorme dispendio di soldi.
Anche la burocrazia della regione non funziona affatto, le istanze dei cittadini troppo spesso si fermano nei meandri degli uffici e solo raramente trovano la via giusta per essere opportunamente valutate.
«La tanto auspicata, e a chiacchiere difesa, Autonomia Siciliana è divenuta un gravissimo peso per il cittadino siciliano – conclude d’Alì -, e i suoi gestori da considerare al pari di demagoghi che utilizzano le pur esistenti difficoltà economiche degli operatori e delle famiglie per scopi diversi dal generale interesse. La tragica conclusione, dal punto di vista storico ed istituzionale, potrebbe essere quella che la regione autonoma s’è trasformata da opportunità in un sostanziale fallimento, e che essa andrebbe rivista dalle fondamenta, se non addirittura soppressa. Una presa d’atto dell’insuccesso sarebbe il primo gesto di onestà intellettuale che la società siciliana tutta, e non solo la classe politica, dovrebbe fare; e da questa presa d’atto avviare il progetto di ripresa e riaffermazione della nostra capacità di essere società forte e positiva».