Di Flavia Vilardi
Romanzo di ritorno alle origini, Neyla è il perfetto connubio tra una travagliata storia d’amore e la descrizione di una nazione, di una civiltà, del suo popolo. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, questo racconto non presenta nelle sue pagine la banalità o l’ovvietà classiche di molti romanzi d’amore a sfondo storico-culturale.
L’autore descrive, con minuzia di particolari, il volto, i colori, la lingua e le tradizioni della sua terra, l’Africa, povera e insieme ricca di quella semplicità e di quel radicamento culturale che è proprio dei paesi più umili e che manca spesso al mondo occidentale. Al contempo Neyla ci racconta di due amanti, travolti da un’improvvisa passione, gelosi, disarmati e sfortunati allo stesso tempo.
La semplicità dello stile accarezza il lettore attraverso un approccio piacevole al testo e le sue parole attraversano i districati labirinti del cuore, come avvienenella poesia che l’autore dedica alla madre o negli stralci sentimentali che si estraniano dalla narrazione, dai luoghi e dai personaggi, pur rappresentandone in pieno le emozioni. Questo permette di penetrare nelle più recondite pieghe dell’anima degli amanti e di comprenderne a volte la gioia, a volte l’immensa tristezza, altre l’attaccamento alla famiglia e alla cultura, così da poter attribuire a Kossi Komla Ebri l’etichetta di poeta, oltre che di scrittore e romanziere.
Neyla, ragazza privata dei suoi sogni, rappresenta l’emblema di un’Africa disillusa e contaminata,un’Africa del passato, plasmata attraverso i vecchi ricordi del suo compagno che, tornato a casa dopo lunghi anni di studi in Europa descrive in prima persona gli sconvolgimenti emotivi del ritorno, il difficile riadattamento al suo retroterra culturale e la riscoperta di un’infanzia vulnerabile e sgretolata, spesso priva di affetti. Con un tocco di velata immaginazione si può accostare la nera Africa agli occhi tristi e profondi della ragazza, che rispecchiano un Paese intriso di una storia antica, che però si rivela privo di quella purezza che il protagonista si prefiggeva di ritrovare, deludendone, o forse solo sconvolgendone, le aspettative.
Per questa ragione si può concordare con l’autore quando afferma: “Avrei voluto piangere a squarciagola sulle mie speranze nate e morte, abortite allo scadere del giorno, il tempo che una foglia marcisce al sole. Piangere sui miei ideali d’assoluto, sui miei ideali congelati… piangere sula mia coscienza mille volte violentata”.