Sistemo un po’ la stanza offesa dalla riunione tra amici di iersera. Le libagioni e il vino, i biscotti dei morti e il passito, ci hanno sfinito e lasciato con un unico desiderio nel momento in cui l’ultima simpatica coppia, con la voglia di commentare subito il comportamento e gli sguardi, le parole e l’abbigliamento dei “nuovi”, ha finalmente deciso di varcare la soglia di casa nostra e sparire nella notte. Il desiderio naturalmente era quello di distendersi a letto, chiudere gli occhi e godersi un meritato riposo. Meritato principalmente da Marilena, mia moglie, che si è adoperata tutta la sera perché la riunione andasse bene e tutti fossero a loro agio. La cena e il dopocena sono trascorsi in serenità grazie soprattutto a lei che andava e veniva leggera tra tavola e cucina, e poi tra salotto, mobile bar e frigorifero. Quindi che stamani rimanga qualche momento in più a dormire non stupisce, mentre io mi aggiro furtivo tra i bicchieri dal fondo macchiato color ambra scura e i piattini con pezzetti di biscotto bianchi e neri (alcuni resti dei Tetù portati dal palermitano Antonio e altri delle Ossa dei morti nostrane presi da Mario) e tovagliolini appallottolati un po’ ovunque. Raccolgo tutto ciò che è stato lasciato, per terra o sul tappeto bakthiar, in bilico sul bracciolo del divano, sulla stufa di ghisa in attesa forse di bollire, sulla mano protesa dell’africano di legno, sulla testa dei pesci curiosi del nuovo coperchio, sul d-link, i vasi, le piante, i cuscini, le giacche, i cd, la piantana. Insomma ovunque tranne che sul tavolino centrale dove comincio pazientemente ad impilare. Tra le cose fuori posto, dietro un piatto troppo sporgente dal ripiano di legno il cui precario equilibrio è ottenuto solo grazie al contrappeso di un bicchiere poggiato sopra, noto un quaderno dalla copertina rigida gettato distrattamente in orizzontale sui libri bene allineati in verticale della libreria. Mi incuriosisce e lo apro. “Sabato, la serata. Fede e Lollo s’allinguano di brutto tempiterni, e quando l’interrompi boccheggiano inespressivi come pesci spiaggiati, per tornare a rabboccarsi veloci. Pleistocene blatera di valori ma occhieggia di continuo i merluzzi. Giada è l’unica che gli regge il gioco, ma lui è prosciuttato, non la vede nemmeno di sguincio. Il Ghiro mi guarda supplice, gli occhi da opa lessa, aspettandosi da me chissàcosa – abbiamo già chiarito che non ha speranza -. In un angolo Patti e Stefi, il duo Alternative, s’allungano sottopanca un mozzicone di spino che gli hanno probabilmente passato due fattoni amici loro e ridono, mi sa che ne approfitto anch’io, se no non mi passa più stasera. Finalmente arriva Crista, la ragazza del bar, con i modintrugli, i cocktail che vanno di moda al momento, lo Spritzinfaccia (noi lo prendiamo poco perché non ne bevi niente), il VainSiberia (solo per i veterocomunisti), il Mojito Frozen al Tamarindocaramellato Trebicchierdacqua (una roba dolce che si serve necessariamente insieme a tre bicchieri d’acqua, perché l’avventore ha subito bisogno di bere parecchia acqua dopo averlo ingurgitato), infine il Monstercocktail, quello che ti stende, un miscuglio del vecchio Quattrobianchi più il Negroni. Mentre assaggiamo un po’ tutto, allo scambiabicchierechelerbacresce, lo sguardo dei merli si fa candacaccia, puntano qualcosa. Sono le truppe cammellate delle TT (le trettroie, Angie, Carmy e Francie), quelle con le gobbe sul davanti, che ci sfilano di fronte attillatissime, taccaltissime e vertigominigonniche coscialvento. Rifilo uno sguardo ammonente al Ghiro che subito distoglie il suo dalle tettute in tiro, mentre Giada con un movimento quasi del tutto involontario spruzza di rosa spritz la camicia pseudo buona del Pleistocene, ricavandone in cambio parolacce e scatarrate ma in compenso piena attenzione, proprio come voleva. Al terzo giro di modintrugli e un paio di tiri ne ho abbastanza di tutti, compresi un paio di deficienti ciuffati moicani che mi schifano occhieggiandomi da lontano slinguandosi labbra appena baffute. Speriamo meglio la prossima libera uscita di sabato.” Il diario diciassettenne di mia figlia Elena, evidentemente. Ne sono sorpreso e ammirato e un po’ sconvolto. Sono molto curioso del modo di scrivere così originale e sgrammaticato che utilizza, spero usi un registro diverso nei temi a scuola. Sono però anche sconvolto della descrizione dei suoi amici e di tutti i ragazzi che bevono e passano il tempo in questo modo la sera. Rimetto a posto in fretta il quaderno non appena sento del movimento dal corridoio e ricomincio a impilare bicchieri. Arriva Marilena, appena alzata e ci organizziamo per la colazione. La faccenda di come passino le serate ‘sti ragazzini mi rimane in testa tutto il giorno, tanto che stasera, dopo la cena in pizzeria, invece di ritirarci direttamente a casa come al solito, convinco Marilena ad una passeggiata in centro. Il mio obiettivo incuriosito è la piazzetta sotto le scale, quella monopolizzata dai ragazzetti, ma non voglio far preoccupare mia moglie con fisime che magari son solo mie. Così decido di parcheggiare sotto la piazza in modo da essere costretti ad attraversare il nugolo dei giovani che sciamano ad incrocio tra gli angoli di quattro wine-bar-pub-pizzaltaglio (mi sto facendo di già contagiare dalla scrittura ardita della teenager?). Effettivamente vedo tutti questi ragazzi ad un’ora a mio parere già tarda con in mano bicchieri dalle varie forme pieni di liquidi dai sorprendenti colori, che si concentrano in circoli o che si spostano a gruppi. Riconosco i capobranco, i gregari più timidi, le ragazze alternative con sciarpetta e stivalacci a piedi, quelle invece dai vestitini o minigonne vertiginosi e tacchi alti, quelli che l’alcool fa ondeggiare, quelli che si muovono nell’ombra attaccati al cellulare e quelli che invece hanno bisogno di essere al centro dell’attenzione. Tra di loro non c’è Elena che ha il permesso per uscire dopocena solo il sabato, ma sicuramente ci sono i suoi amici o altri che gli somigliano. E in tutto questo mi viene un pensiero deviato, cioè non se sia giusto o sbagliato, se ci debbano essere dei controlli e da parte di chi – dei genitori presumo – ma piuttosto “chi paga tutto questo?”. E penso pure che se ci sono tutti questi ragazzi in una piccola città che si possono permettere ogni sera di spendere tanti denari in futilità, il che significa che vengono sovvenzionati a dovere dalle loro famiglie, la crisi vera per tanti non è affatto arrivata. Semmai c’è da vedere chi colpisce veramente e chi no. Sbaglierò, ma mi pare che finché i pub continuano ad andare così bene, c’è speranza che la nostra economia non sia ancora così malridotta come si dice.