Di Milena Vesco
Giacomo Bonagiuso è il regista della rappresentazione teatrale “il gobbo di Notre Dame” di V. Hugo presentato dall’Akkademia “F. Centonze” del teatro Selinus di Castelvetrano.
In quanto tempo avete preparato uno spettacolo impegnativo come Il gobbo di Notre Dame e come mai la scelta è caduto proprio su questa opera?
Lo abbiamo preparato in circa tre mesi e abbiamo lavorato a questo testo perché il significato dell’opera di Victor Hugo riporta alla contemporaneità in quanto il tema fondamentale è la clandestinità e il diritto di suolo che viene interpretato da Hugo come diritto di asilo. I poveracci di Parigi vengono respinti dalla cattedrale di Notre Dame. Oggi i profughi che bussano alle porte della nostra terra sono il riflesso di quegli zingari. Un classico quando affronta grandi temi è sempre attuale! Quindi abbiamo messo sotto forma di teatro e musica la questione dello straniero.
In che modo il tema della clandestinità si lega al festival e cosa vuole comunicare?
Guardando il programma di Alcart noto molta musica e seminari culturali che affrontano tematiche legate allo slogan “Legalità e cultura”. La legalità però non è solo mafia o antimafia, c’è anche il concetto clandestinità che noi affrontiamo con questa opera. Siamo stati arabi, ebrei, normanni. Questa terra è cresciuta nel meticciato molto prima di New Orleans. E adesso non riusciamo più a vedere gli stranieri come una risorsa, ma li vediamo come un pericolo. Questa è xenofobia, e non va più bene. Il razzismo è frutto di una società malata. Non è un caso se Hitler cominciò a sperimentare la diffusione delle sue assurde teorie razziste sui malati di mente. Cito Einstein quando, nel 1933, sbarcò negli Stati Uniti, e rispose in un modulo che chiedeva a quale razza appartenesse “L’unica razza che conosco è quella umana”.
E poi dicono che ci rubano il lavoro. Ma chi vuole più fare quei lavori che facevamo noi quando siamo emigrati in Germania?! Noi siamo indietro sulla desertificazione, nel nord Africa ci sono ulivi coltivati sulla sabbia! Regalare motovedette non è quello che mi aspetto da un popolo che ha avuto come propri capi di stato Pertini e De Gasperi.
“Il futuro è il Mediterraneo”, lo disse Cassano, un sociologo di Bari, nel suo famoso libro “Il pensiero meridiano”. Il centro del mondo è stato il Mediterraneo e tornerà ad esserlo.
L’akkademia ha prodotto numerose rappresentazioni teatrali ed anche dei cortometraggi: che effetti educativi ha avuto sui ragazzi?
Sia nell’una che nell’altra forma ci si muove sempre nell’ambito del teatro didattico, che è una scelta di vita. Ci si occupa di creare un ambiente artistico per ragazzi che poi magari diventeranno medici o avvocati ma conosceranno il teatro come modello di vita, come insegnamento profondo alla giustizia: Se lavori ottieni dei risultati, se non lavori non li ottieni. Devi metterti totalmente in gioco, non esistono raccomandazioni, non esistono salti, non esistono tappe che puoi bruciare. Il teatro è equo. In scena il pubblico percepisce se hai dato tutto, ti sei risparmiato, se hai provato, se sei certo di quello che fai. Per questo uno spettacolo con così tanti personaggi si può fare solo se ognuno fa la sua parte. Non ci sono protagonisti e comparse, esiste una grande coralità. Così i giovani imparano che in una grande coralità posso crescere insieme come anelli di una stessa catena. A questo serve il teatro didattico. Ecco perché lo inserirei in tutti i programmi scolastici, non solo a livello di P.O.N. Il teatro ti insegna che la vita è giusta. Puoi copiare una versione di greco, non puoi andare in scena copiando. Tutti i sotterfugi che puoi fare nella vita, non puoi farli sul palco. Questa è una bella lezione soprattutto per i giovani che hanno perso il senso del lavoro e della fatica. Sembra che tutto sia dovuto, i modelli educativi sono andati a quel paese. Il teatro resta l’unica cosa “dura”, l’ultima cosa giusta che esista al mondo. Direi che incarna l’idea di giustizia assoluta.
Secondo lei, quindi, le altre forme d’arte non possono insegnare la giustizia nello stesso modo?
No, perché in alcune arti è possibile saltare la fase tecnica, che nel teatro non puoi saltare. Certe sequenze e strutture come quelle del gobbo di Notre Dame devono essere provate andando contro i tuoi limiti fisici, psichici e interpretativi. Invece nella pittura, ad esempio, molta gente salta la struttura anatomica e mette colpi di secchi su una tela. Altri fotografi comprano attrezzature senza studiare le inquadrature o la luce. Oppure puoi registrare audio con una macchinetta fotografica. Ma quando devi montare senti gracchiati, fruscii, bassi che non sono bassi, forme d’onda che non sono quelle. Oggi chiunque con due soldi può approcciarsi a strutture tecniche quasi professionali ma devi saperle usare! Non puoi bruciare i passi! Non puoi guidare una formula1 se non sai cos’è il cambio. E poi la tecnica è disciplina. Anche questo fa parte del concetto di giustizia.
Come si potrebbe incentivare il teatro nelle piccole città?
Con i laboratori. Non c’è altro modo che creare gruppi di giovani che si riconoscano intorno all’idea di scuola di teatro. Alcart ha organizzato un laboratorio teatrale di cui fanno parte quindici ragazzi stupendi, io spero che questa esperienza continui oltre le 30 ore in programma e che questi ragazzi diventino il motore di una contaminazione teatrale facendo recuperare ai giovani alcamesi il senso di giustizia.