“Il senatore è a disposizione dell’associazione mafiosa”. Processo all’ex sottosegretario D’Alì, giovedì sarà ultimo atto?

Giovedì 19 settembre ore 10 Palazzo di Giustizia di Palermo. Davanti al giudice Francolini è prevista la replica dei pm Guido e Tarondo, l’eventuale nuovo intervento delle difese, avvocati Bosco e Pellegrino e forse anche le dichiarazioni spontanee dell’imputato, il senatore berlusconiano e noto barone-banchiere trapanese Tonino D’Alì, dopo di che ci sarà solo da attendere la sentenza. Sarà il giorno dell’ultimo atto di un processo che doveva essere breve, veloce e invece si è prolungato dall’ottobre 2011, dalla data di richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla Procura antimafia di Palermo, ad oggi. Sulla carta è prevista per la stessa giornata la sentenza. Un processo che si svolge a porte chiuse per via del “rito” scelto dall’eccellente imputato, il rito abbreviato, in caso di condanna la pena sarà ridotta di un terzo, la richiesta di pena chiesta dai pm si è già adeguata a questa riduzione, i pubblici ministeri hanno chiesto, con la riduzione di un terzo sette anni e quattro mesi. Assoluzione con formula piena chiesta dalla difesa. Quando ci fu il rinvio a giudizio il sen. D’Alì intervenne rivendicando la sua onestà. L’atto di accusa racconta una storia diversa.

Centrale nell’accusa è rimasto dall’inizio alla fine il rapporto tra D’Alì e i Messina Denaro, i mafiosi più mafiosi che ci siano. Francesco e Matteo Messina Denaro, don Ciccio e don Matteo, padre e figlio, i padrini del Belice. Nelle loro mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati c’è la mafia che oggi viene definita sommersa, la Cosa nostra che è stata ed è impresa. Ma anche la Cosa nostra dei grandi traffici, droga, armi, la mafia che è massoneria e che ha intavolato la “trattativa” ancora prima del 1992. I Messina Denaro sono stati i campieri dei D’Alì e delle famiglie trapanesi che possedevano i terreni nelle campagne di Castelvetrano, da contrada Zangara a contrada Seggio. Terreni estesi ettari ed ettari, vigneti ed uliveti, terreni dove oltre alle proprietà di baroni e latifondisti c’erano anche quelle di proprietà di Riina e Provenzano. I Messina Denaro si occupavano delle une e delle altre. Terreni dove c’erano diversi bagli, dove si faceva festa, dove il giovanissimo Matteo Messina Denaro cominciò a respirare l’aria della politica mischiata a quella della mafia. Don Ciccio lo fece crescere bene, presentandolo alla buona società. Matteo divenne come don Ciccio aveva stabilito il suo erede, l’altro suo figlio, Salvatore, divenne invece un colletto bianco con tanto di posto di lavoro alla Banca Sicula, la “cassaforte” dei D’Alì, e non solo dei D’Alì a rileggere il rapporto sulla Banca Sicula presentato a suo tempo alla Procura di Trapani, nei primi anni ’90, dall’allora dirigente della Squadra Mobile di Trapani, Rino Germanà, il poliziotto che il 14 settembre 1992 sfuggì all’agguato che gli tesero tre tra i più temibili uomini della mafia siciliana, Matteo Messina Denaro, per l’appunto, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.

L’atto di accusa. Concorso esterno in associazione mafiosa per il senatore D’Alì…”per avere, consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa Cosa nostra, mettendo a disposizione della predetta associazione le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato, nonché intrattenendo, sin dai primi anni ‘90, anche ai fini della ricerca e dell’acquisizione di sostegno elettorale ed a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco della predetta organizzazione (tra i quali Messina Denaro Matteo, Virga Vincenzo, Pace Francesco, Birrittella Antonino, Coppola Tommaso)”.

I fatti specifici. Vendita fittizia di terreni, riciclaggio appalti, grandi appalti, pilotati, sottrazione di beni confiscati. “Avere ceduto, in qualità di proprietario, consapevolmente e fittiziamente, la titolarità di un terreno sito in Castelvetrano, C.da Zangara, a Geraci Francesco (che agiva quale prestanome di Riina Salvatore, su espresso mandato di Messina Denaro Matteo) ricevendo a titolo di corrispettivo la somma di £. 300 milioni, somma che tuttavia il D’Alì restituiva, in più soluzioni, a singoli componenti dell’associazione mafiosa; con ciò contribuendo direttamente alla realizzazione di una operazione giuridico economica posta in essere dall’associazione mafiosa e finalizzata a ottenere il trasferimento fraudolento del predetto terreno (fatto per il quale sono stati già separatamente e definitivamente condannati per il delitto di cui all’art. 12 quinques L. 306/92, aggravato dall’art. 7 D.L. 152/91, il Geraci medesimo, Geraci Andrea, Messina Denaro Matteo), nonché il riciclaggio delle somme prima versate quale pagamento del prezzo e poi restituite in contanti dallo stesso D’Alì; intervenendo ripetutamente presso organi istituzionali ed uffici pubblici al fine di inibire o ostacolare le iniziative a sostegno delle imprese sequestrate o confiscate (quali ad esempio la Calcestruzzi Ericina S.r.l.), con ciò contribuendo all’espansione economica ed al controllo del mercato del calcestruzzi da parte di imprese e società direttamente riconducibili all’associazione mafiosa (tra cui la Sicilcalcestruzzi S.r.l. e la Vito Mannina S.r.l.); intervenendo, su sollecitazione di singoli componenti dell’associazione mafiosa, sul procedimento amministrativo relativo ad appalti, lavori pubblici e finanziamenti (ad esempio sulla formazione della commissione di gara per l’aggiudicazione dell’appalto della Funivia di Erice della Provincia regionale di Trapani, sulla valutazione di congruità del canone di locazione della caserma carabinieri di S. Vito Lo Capo, sull’erogazione dei finanziamenti relativi al Patto territoriale Trapani Nord, sull’attribuzione di forniture relative ai lavori di appalto per la messa in sicurezza del porto di Castellammare del Golfo); con ciò contribuendo a rafforzare il controllo di attività economiche, nonché il conseguimento di profitti e vantaggi ingiusti da parte di Cosa Nostra che, a sua volta, progettava e deliberava le proprie attività delittuose in ragione della consapevolezza di tali interventi”.

C’è la storia di Trapani dentro questo processo. La storia di una città che per tradizione ha sempre cercato di avere dei “padroni”. E’ la storia di una città che è cresciuta sempre al comando di qualcuno che mafia e massoneria nel tempo si sono preoccupate di individuare, e tutti ad ubbidire ed ossequiare. I D’Alì per qualche tempo sono rimasti ad occuparsi di saline e banche. Però non era nel loro carattere potere subire. Quando la mafia ci provò loro trovarono presto il modo di accordarsi con Cosa nostra. Creando un rapporto da pari a pari. In tempi moderni con l’elezione nel 1994 di D’Alì al Senato, permettendo, secondo l’atto di accusa della Procura di Palermo, la rappresentanza della mafia trapanese in Parlamento, così come stava avvenendo nel resto della Sicilia, nella Sicilia del 61 a zero di Berlusconi e Miccichè. D’Alì, raccontano i pentiti, era stato già individuato per la candidatura nel partito siciliano che Leoluca Bagarella e soci nei primi anni ’90 avevano deciso di organizzare, Sicilia Libera. Poi nel 1993 arrivò l’alt a questa operazione. Matteo Messina Denaro in persona diede l’ordine di votare Forza Italia e per Tonino D’Alì. In quel 1994, c’erano ronde notturne mafiose che giravano per la provincia perché i manifesti di Forza Italia e di D’Alì non venissero coperti da altri manifesti. E poi c’era il passaparola che funzionava benissimo. Il risultato? Dal 1994 alle ultime elezioni nazionali Tonino D’Alì è stato ininterrottamente eletto a Palazzo Madama, sebbene chiacchierato per i suoi noti rapporti con i Messina Denaro, dal 2001 al 2006 fu sottosegretario all’Interno, occupò cioè una delle poltrone di vertice del Viminale. Matteo Messina Denaro è ricercato da 20 anni, tutti i grandi latitanti sono stati presi, lui resta uccel di bosco. Protetto da una cortina potente di favoreggiatori. Per la Dda di Palermo in questa corte c’è anche D’Alì.

Nella requisitoria si legge. “Si è posto più volte concretamente a disposizione dell’associazione mafiosa, prima nell’ambito operazioni di intestazione fittizia di beni e riciclaggio, poi agevolando l’associazione mafiosa nel controllo del settore della commercializzazione del calcestruzzo, come pure del settore degli appalti e delle commesse pubbliche, grazie anche alle proprie funzioni politiche ed istituzionali. Tali elementi consentono di delineare un quadro complessivo dei rapporti fra l’indagato e Cosa Nostra che ripercorre gli ultimi venti anni della storia mafiosa della provincia di Trapani e che vede il Senatore D’ALI’ in strettissimi rapporti con i più pericolosi boss mafiosi trapanesi ed in particolare con Francesco MESSINA DENARO, vertice della commissione provinciale trapanese di Cosa Nostra, il figlio Matteo MESSINA DENARO, succeduto al padre in tale incarico, VIRGA Vincenzo, capo del mandamento mafioso di Trapani, PACE Francesco, reggente dello stesso mandamento, BIRRITTELLA Antonino e COPPOLA Tommaso, figure di spicco della mafia trapanese”.

Diversi i pentiti che lo accusano. “SINACORI Vincenzo il quale ha riferito dello stretto rapporto dei MESSINA DENARO con il D’ALI’, considerato soggetto a disposizione per qualsiasi esigenza. Il SINACORI ha anche aggiunto che i MESSINA DENARO costituivano il tramite nei confronti del D’ALI’ anche per le esigenze di qualsiasi altro boss mafioso (fra cui in particolare cita il VIRGA Vincenzo). CAMPANELLA Francesco, il quale ha riferito che, avendo avuto un contatto con D’ALI’ in relazione alla acquisizione di una sala Bingo, informò di tale rapporto il capo della famiglia mafiosa di Villabate Nicola MANDALA’, il quale approvò l’attività svolta dal CAMPANELLA, confermando che il D’ALI’ era un soggetto politico a disposizione dei vertici mafiosi trapanesi ed in particolare di MESSINA DENARO Matteo e VIRGA Vincenzo”.

La testimonianza del collaboratore Vincenzo Sinacori.

“Era risaputo che i DALÌ con i MESSINA DENARO erano in buoni rapporti, se qualcuno aveva bisogno, poteva andare a chiedere ai MESSINA DENARO di intercedere presso i DALÌ; ma era risaputo, non c’era bisogno di fargli gli auguri, o di complimentarsi…, quando Francesco MESSINA DENARO era latitante i rapporti…sempre buoni…sono rimasti. Salvatore MESSINA DENARO lavorava alla Banca Sicula…. Sicilia Libera era un movimento che doveva nascere, per cercare di portare uomini nostri, “nostri” intendo uomini che noi ci fidavamo…di Cosa Nostra, uomini puliti di cui noi ci dovevamo fidare ciecamente, persone pulite da candidare e fare i nostri interessi. Questa idea è partita dal vertice di Cosa Nostra, che allora era rappresentato da BAGARELLA, GRAVIANO e MESSINA DENARO. Questa cosa poi è finita subito di Sicilia Libera, lo so perché… però è finita subito e poi l’altra direttiva è di votare Forza Italia…La direttiva di votare per il partito di Forza Italia arrivò da Matteo MESSINA DENARO. Forza Italia essendo un partito nuovo, essendo delle persone che secondo loro erano più garantiste, facevano i nostri interessi cioè, rispetto ai Socialisti ed ai Democristiani che c’avevano, diciamo così, tradito, questo magari dava più garanzie.

Nel procedimento c’è la storia del trasferimento improvviso da Trapani, nell’estate del 2003, del prefetto Fulvio Sodano. Il prefetto aveva avviato le procedure per il riutilizzo di numerosi beni confiscati che erano rimasti nel possesso dei mafiosi. E non solo. Sua l’iniziativa di “salvare” dal fallimento la Calcestruzzi Ericina. Su questi temi lo “scontro” tra Sodano e il senatore D’Alì che avrebbe usato il suo ruolo al Viminale per indurre il ministro Pisanu al trasferimento ad Agrigento. Una vicenda che nell’atto di accusa viene raccontata con le parole dell’imprenditore Nino Birrittella ex componente della cupola mafiosa cittadina. Ricordo che, in quel periodo, in concomitanza con le vicende relative ai lavori di realizzazione della banchina Garibaldi del porto di Trapani ed alla relativa fornitura di calcestruzzo, nell’anno 2001, percepivamo con grande disappunto e forte ostilità il ruolo di disturbo svolto dalla società confiscata Calcestruzzi Ericina rispetto agli interessi dell’associazione mafiosa, come pure il ruolo svolto dal prefetto SODANO nel contrastare i nostri tentativi di riappropriarci della Calcestruzzi Ericina e nell’invitare le imprese a valutare anche le offerte della stessa società confiscata per le forniture di calcestruzzo. Con riferimento al ruolo del Prefetto SODANO ricordo che con il PACE commentammo il fatto che, per il raggiungimento del nostro scopo, era necessario fare allontanare il Prefetto in quanto ci rendemmo conto che da parte sua vi era una azione costante ed energica nel contrastare i nostri progetti di acquisizione delle forniture di calcestruzzo e per l’acquisto dell’impianto della Calcestruzzi Ericina. Occorre poi considerare che in molti casi la fornitura di calcestruzzo era l’occasione per mascherare e fare pagare con più facilità il pizzo alle imprese, nel senso che era sufficiente aumentare il costo unitario del metro cubo di calcestruzzo, ovvero delle forniture di ferro, per ottenere la corresponsione delle somme dovute per il pizzo. Ciò naturalmente avveniva solo in parte, perché per il resto l’impresa doveva comunque pagare una somma in denaro in contanti. Per contro, se ci fosse stata preclusa la fornitura di calcestruzzo tramite la SICILICALCESTRUZZI, riferibile al PACE, o l’impianto del MANNINA Vincenzo, era necessario che ci attivassimo per fare pagare interamente in contanti all’impresa esecutrice dei lavori il pizzo nella misura del 2 o 3 % dell’importo a base d’asta. Contestualmente alle vicende relative all’appalto della IRA COSTRUZIONI per il porto di Trapani, o poco tempo dopo, abbiamo anche saputo che il Prefetto SODANO si era attivato con gli imprenditori GANDOLFO della EDILGAND impegnato nei lavori per la realizzazione della nuova caserma della polizia di frontiera, e con il geometra SPAMPINATO di Partinico che ha realizzato la caserma dei vigili del fuoco al porto di Trapani, per sollecitarli a tenere presente la possibilità di acquisto di calcestruzzo presso la Calcestruzzi Ericina, in quanto impresa confiscata. La circostanza ci fu riferita dagli stessi imprenditori.

Fu in quel periodo che il PACE mi disse che il Prefetto SODANO, quanto prima, sarebbe stato allontanato. Il PACE riferì la circostanza facendo chiaramente capire che disponeva di notizie serie e sicure. La stessa notizia fu riferita al MANNINA, il quale me lo confermò in un’altra occasione. Il senso del discorso che mi fece il PACE era che lui stesso era intervenuto, grazie a sue conoscenze di cui però non mi riferì in quella occasione, per ottenere l’allontanamento di SODANO. Trasferimento del Prefetto Fulvio SODANO. In proposito richiamo quanto già da me dichiarato nel corso dell’interrogato 29.1.2007. Preciso che più volte avevamo discusso con il PACE dell’insidia rappresentata per noi dal Prefetto SODANO con la sua azione in favore delle imprese confiscate, ed in tali occasioni il PACE aveva manifestato l’intenzione di intervenire per ottenerne il trasferimento ad altra sede dicendo: “a questa cosa, ci penso io, lo dobbiamo fare trasferire”.. Tali colloqui avvennero, se mal non ricordo verso fra la fine del 2001 ed il 2002. Successivamente il PACE, forse nel 2002, mi disse che il Prefetto SODANO di lì a poco sarebbe stato trasferito, cosa che poi realmente avvenne. Ricordo che il PACE mi fece chiaramente intendere che il trasferimento era avvenuto grazie al suo intervento su una persona a noi vicina. Non ricordo se il PACE mi fece esplicitamente o meno il nome del senatore D’ALI’, ma era comunque per me del tutto evidente il ruolo del D’ALI’ nella vicenda per il rapporto intrattenuto con lui nella fase elettorale e per il ruolo di sottosegretario agli interni rivestito dal medesimo.

Le parole del prefetto Sodano. Verbale del 22.7.2004: All’incirca una ventina di giorni dopo il mio intervento tramite il Comandante del Porto, durante una manifestazione ufficiale in Prefettura, fui avvicinato dal Senatore D’ALI’ Antonio, sottosegretario all’Interno, il quale mi chiese spiegazioni in ordine al mio comportamento relativamente al “favoreggiamento” operato nei confronti della Calcestruzzi Ericina che, in base a notizie che aveva avuto da altri, avrebbe alterato il libero mercato del calcestruzzo, determinando una sleale concorrenza alle altre aziende del comparto. Gli spiegai quali fossero le motivazioni del mio comportamento e anzi mi meravigliai di quelle doglianze perché in realtà il mio atteggiamento tendeva esclusivamente a contrapporre una azione forte dello Stato ai poteri mafiosi. In sostanza avrei voluto che un bene ormai di proprietà dello Stato, confiscato ad un noto mafioso, potesse sopravvivere in maniera emblematica contro tutti i tentativi della mafia di riappropriarsene o di distruggerlo… “Ho avuto conoscenza del mio trasferimento nel tardo pomeriggio del giorno precedente la seduta del Consiglio del Ministri. Mi telefonò il capo di gabinetto del Ministro facendomi presente che l’indomani sarei stato nominato prefetto di Agrigento. Alle mie rimostranze, tendenzialmente basate sul mio momento non felice di salute, noto al ministero e per il quale avevo chiesto di rimanere ancora almeno sei mesi, ebbe a dirmi che l’amministrazione ne aveva tenuto conto perché mi avevano mandato in una sede alla stessa distanza da Palermo e invitandomi a prendere comunque servizio perché l’amministrazione mi sarebbe, in ogni caso, stata vicina. In un momento di sconforto ebbi anche a dirgli che probabilmente mi sarei posto in malattia e non avrei raggiunto la nuova sede anche perché, un mese prima, in occasione di altri movimenti avevo avuto la notizia che comunque, per un po’ di tempo, non sarei stato trasferito. Certo è che molti colleghi che avevano raggiunto le loro sedi in concomitanza con la mia assegnazione a Trapani, sono ancora in quelle stesse sedi…Mi rivolsi al Presidente della Regione chiedendogli di accertare il vero motivo del mio trasferimento. Dopo qualche giorno, credo anche alla presenza di mia moglie, lo stesso mi riferì che si era fatto ricevere da PISANU, il quale gli aveva detto che dopo aver resistito alle pressioni di D’ALI’ alla fine aveva dovuto cedere alle insistenze del sottosegretario che pur sempre era uno dei suoi più stretti collaboratori”.

Fuori dall’aula il pm Paolo Guido dopo avere saputo che in una dichiarazione alla stampa i difensori avevano addirittura sostenuto che la sua non sarebbe stata una pesante requisitoria, ha così commentato, parlando ovviamente dell’imputato e delle sue strategie che anche nel tempo lo hanno portato a “ritardare” l’appuntamento con la giustizia: Come ha evitato l’imputazione? Il pm Paolo Guido nella requisitoria indirettamente l’ha spiegato, “D’Alì è un soggetto accorto, sottile e prudente…”. E in aggiunta l’altro pm, Andrea Tarondo: “A Trapani la politica in generale non mantiene la distanza di sicurezza dalla mafia…D’Alì è uno di questi”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.