“Una spina nel cuore”, così Papa Francesco aveva descritto i morti in mare durante la sua visita, lo scorso luglio, a Lampedusa. Di fatto gli eventi tragici degli ultimi tempi sembrano averci costretto a guardare in faccia la storia, sì, la storia, anche se diversi sono stati i tentativi, in queste ultime settimane, di relegare quanto accade al più comodo e meno compromettente ambito delle emergenze, delle stragi da ultim’ora. Così assistiamo impietriti ai Telese di turno, rapiti da una sorta di estasi da iperossigenazione di notizie, ripetere incessantemente che un altro barcone è stato avvistato a largo di Lampedusa, mentre il primo cittadino di quell’isola tenta, non senza una vena di imbarazzo, di riportare il povero conduttore, ormai sulla via dell’amplesso, sul piano della realtà, ricordando che non c’è alcuna notizia o “nuova”, per dirla all’inglese, nel riportare avvistamenti di barconi carichi di povera gente in rotta verso l’isola.
Certo i morti dell’ultima strage hanno reso la questione più sensibile agli occhi di tutti e oggi, di fatto, ci sentiamo più accoglienti e più buoni nei confronti di questa gente. La visita del Papa poi, è servita certamente a ricordarci di quella famosa “spina nel cuore” alla quale ci eravamo abituati e che forse incistata non sentivamo quasi più. Tutto molto bello, ma che fine ha fatto la storia? Non la favola che ci si racconta per sentirci tutti un po’ più buoni, ma la storia, con la S maiuscola, quella che irrompe nelle nostre case, nelle nostre isole, nel nostro mare, ogni giorno. La storia della quale facciamo parte e dalla quale ci sentiamo estranei. La storia con la quale un giorno dovremo fare i conti, nella quale leggeremo di un’isola abbandonata a se stessa dall’Italia, come l’Italia dall’Europa. La storia della Bossi-Fini e dei respingimenti in mare, non dei 300 morti, ma dei 20.000 morti. La storia di un’ Europa che critica e non pratica, che interviene con prepotenza negli affari interni dei paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma che chiude gli occhi quando c’è da raccogliere i frutti della disperazione alla quale essa stessa ha contribuito. La storia che ci ricorderà che per l’Europa la gestione del fenomeno immigrazione è stata più una spina nel fianco che nel cuore.