PALERMO. Ieri si è svolta la seconda parte dell’udienza sulla trattativa Stato-mafia, presso l’aula bunker del carcere Ucciardone, davanti la Corte di Assise di Palermo. In aula presenti i pubblici ministeri Del Bene, Tartaglia e Teresi. Continua la deposizione del collaboratore di giustizia Antonino Giuffè detto “manuzza”. Dopo alcune domande del Dott. Del Bene prende parola l’avvocato delle vittime della strage dei Georgofili che chiede: “Riina fece il nome di Andreotti e Martelli?” Giuffè risponde: “Andreotti si. Martelli no. Però girava voce che bisognava eliminarlo (Martelli ndr) perché ritenuto un traditore.”
“Sapevo che Andreotti all’epoca era Presidente del Consiglio, che Martelli era vice Ministro e Vizzini era un punto di riferimento per dare posti di lavoro”.
Quando si iniziò a parlare della “trattativa”? chiede l’avvocato. “È una tappa successiva alle stragi del 1993. – continua – Erano state fatte delle richieste allo Stato. Quelle sul 41 bis, sul carcere duro, sulla confisca dei beni e altre, erano di interesse di tutta Cosa nostra, non del singolo.”
Poi parla della “missione” che fece Vito Ciancimino, una missione che dopo l’arresto di Ciancimino passò nella mani di un politico ritenuto vicino a loro. “Dal 1994 in poi il posto di Ciancimino è stato preso da Marcello Dell’Utri.”
Le domande degli avvocati spingono Giuffrè a ricordare le vicende successiva al 1994, e soprattutto si concentrano sulla questione politica. “Provenzano mi ha dato il via per votare Forza Italia. Cosa nostra non sale sul primo carro che passa, ci volevano della garanzie. Forza Italia era il cavallo vincente e ci sono state date le garanzie. Quando c’è Cosa nostra di mezzo c’è sempre un compromesso.” Così gli avvocati cercano di entrare ancora più nel dettaglio chiedendo ancora una volta di fare il nome della persona che secondo Giuffrè concede le garanzie a Cosa nostra. “È venuto fuori il nome di Marcello Dell’Utri. Ho già detto che Dell’Utri era il tramite di Forza Italia con i Graviano.”
Poi torna a parlare di Matteo Messina Denaro: “Dopo la mia scarcerazione non ho più avuto contatti con Matteo Messina Denaro. Lui, insieme a Di Gati, era il pupillo di Riina. Poi diventa il capo della famiglia di Trapani. Cangemi invece non era ritenuto inaffidabile, uno sbirro.”
“Insieme a Benedetto Spera abbiamo fatto le scarpe a Falsone, scegliendo Di Gati come capo mandamento di Agrigento. Con Bernardo Provenzano mi scambiavo dei pizzini a matita e successivamente a macchina. Nei pizzini si parlava anche di politica. ”
Queste le ultime dichiarazioni di “manuzza” che ha concluso la sua deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia. Un processo pieno di lati oscure che interessa quella zona grigia che gira intorno alla politica e alle istituzioni. Un processo “imbarazzante” come definito da qualcuno, che mostra uno spaccato di politica italiana che contraddistingue la storia stessa del nostro Paese.
La prossima udienza è fissata per il 28 novembre.