Audizione in commissione nazionale antimafia dei procuratori Scarpinato, Viola, Tarondo e del giudice Grillo. Il trasferimento di Linares: “da quando è andato via nessun sequestro di beni”
Il capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, “ha ben motivo di dolersi dell’attività della procura di Trapani” soprattutto per l’ingente mole di sequestri e confische dei beni della mafia, e “ne abbiamo alcune risultanze”. Lo ha affermato ieri il procuratore generale della Corte di appello di Palermo, Roberto Scarpinato, durante l’audizione alla commissione Antimafia, invitato a parlare delle recenti minacce ai magistrati di Trapani insieme al procuratore del Tribunale di Trapani, Marcello Viola, al sostituto trapanese Andrea Tarondo e al presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, Piero Grillo.
Scarpinato, dopo aver ricordato che gli uffici giudiziari di Palermo hanno delegato quelli trapanesi per l’aggressione del “lato economico” di Cosa Nostra, ha sottolineato il “ruolo molto incisivo” finora svolto dai magistrati trapanesi, imputando ai loro successi in sequestri e confische i motivi principali dell’irritazione
mafiosa, e in particolare di quella di Messina Denaro, e dunque delle minacce e degli avvertimenti che arrivano di continuo ai vari magistrati sul fronte. “In questi anni sono stati sequestrati e confiscati beni per 3 miliardi”, ha sottolineato con enfasi Scarpinato, ricordando in particolare la confisca da 1,5 mld al “re dell’eolico” Vito Nicastri, quello della catena Despar per 750 milioni a Giuseppe Grigoli, nell’edilizia per 250 mld a Rosario Cascio, tutti ritenuti prestanome di Messina Denaro.
Oltre ai beni economici, ha aggiunto Scarpinato, bisogna aggiungere le “decine e decine di arresti di soggetti che lo coprivano, da ultimo la sorella e alcuni parenti”. Di qui la crescente aggressività, e intrusività fin troppo facile, mafiosa nelle vite dei magistrati trapanesi. Il procuratore di Trapani Marcello Viola, dopo Scarpinato, ha ricordato una serie di segnali che hanno coinvolto lui e gli altri colleghi, atti che dimostrano la “volontà di interferire pesantemente: strani episodi in autostrada, come automobili che accostavano sia me che Tarondo ad alta velocità, accaduti con una cadenza cronologica serrata”. O come i graffiti di insulti e minacce trovati nell’ascensore del condominio dove abita Viola; il ritrovamento di oggetti, come un finto sistema di ascolto o un pacco “grosso come un’armadio”, ritrovati senza che siano stati rilevati né dall’impianto di videosorveglianza né dai controlli all’ingresso in zone non aperte al pubblico degli uffici giudiziari; l’armadio, sottolinea infine Viola, “era addirittura nei sotterranei del palazzo di giustizia”. Le domande poste dai commissari hanno riguardato anche la vicenda processuale relativa all’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì (Forza Italia- Pdl ora Nuovo centrodestra) conclusasi con una sentenza di prescrizione per i fatti risalenti al 1993 e di assoluzione per il periodo successivo (il giudice doveva depositare le motivazioni a fine anno ma ha notificato alle parti un rinvio di 90 giorni) e il trasferimento a Napoli dell’ex capo della Mobile di Trapani ed ex dirigente della divisione anticrimine della questura di Trapani, Giuseppe Linares, nominato da Alfano direttore della sede Dia di Campania e Molise.
In particolare sono stati gli onorevoli Fava (Sel) e Mattiello (Pd) a formulare una serie di quesiti ai magistrati auditi in commissione. Il giudice Grillo in particolare ha risposto affermando che da quando Linares non è più dirigente della divisione anticrimine della questura di Trapani si è quasi azzerata la presentazione delle proposte di sequestro di beni ai mafiosi.