Oggi ultime repliche, le difese insistono su altre piste, la Corte di Assise in camera di consiglio
Vito Mazzara, l’imputato, già ergastolano perché autore di omicidi di mafia, accusato del delitto di Mauro Rostagno oggi è comparso nell’aula bunker del carcere di San Giuliano intestata ad una delle sue vittime, l’agente di polizia penitenziaria Giuseppe Montalto.
Oggi nell’aula Montalto si è tenuta l’ultima udienza del processo per il delitto di Mauro Rostagno, il giornalista e sociologo ammazzato il 26 settembre 1988. Ci sono voluti 23 anni per arrivare al dibattimento, avviato nel febbraio 2011: Mazzara è imputato quale esecutore del delitto, l’altro imputato è Vincenzo Virga, ergastolano anche lui, il capo del mandamento di Trapani, colui il quale nel tempo ha dato diversi ordini di morte a Mazzara, sentenze inappellabili, secondo l’accusa del processo per il delitto Rostagno Virga avrebbe dato a Mazzara anche l’ordine di questa esecuzione. La difesa degli imputati fino ancora ad oggi, nella fase delle repliche, ha respinto la tesi dell’accusa più che combattere dentro allo stesso alveo, lavorando su tutto quello che c’è stato fuori in questi anni, e cioè le diverse piste che pure scandagliate non hanno portato mai a nulla: la cosidetta pista interna alla Saman (l’unica che sfociò a metà degli anni 90 nella retata denominata Codice Rosso e che vide pure accusata ed arrestata la compagna di Mauro Rostagno, Chicca Roveri), pista poi archiviata, finita nel “cestino”, poi ancora la pista della vendetta per un giro di spaccio di droga che sempre dentro la comunità Rostagno aveva scoperto, la pista delle “corna” o delle vendette per ragioni poco onorevoli dinanzi alle quali, pensiamo, Rostagno più che arrabbiarsi, pensando lui ad una vendetta, avrebbe semmai riso, la difesa ha insistito su queste piste per arrivare poi a quelle altisonanti, delitto fatto dai servizi segreti per un traffico di armi scoperto da Rostagno, o ancora un delitto maturato dentro quello che nel 1988 restava di Lotta Continua ma era quello il periodo nel quale il movimento politico, del quale Rostagno era stato fondatore, era nell’occhio del ciclone per le indagini sul delitto di Luigi Calabresi, era stato arrestato Adriano Sofri, e la difesa degli imputati mafiosi nell’aula della Corte di Assise di Trapani ha sostenuto che Rostagno, anche lui all’epoca raggiunto da comunicazione giudiziaria, voleva andare a deporre per dire tutto quello che sapeva: l’avv. Vito Galluffo al contrario de comportamenti di altri avvocati, in altri processi, come proprio in quello per il delitto Calabresi, però non ha puntato il dito contro Adriano Sofri, può darsi che avrà influito il fatto che Sofri è stato presente a tutte le ultime udienze del processo, che Sofri era presente anche al momento della discussione, l’avv. Galluffo ha detto che Rostagno voleva andare a deporre per scagionare dal delitto Calabresi l’amico Sofri, e però ha inserito il giallo, “Rostagno aveva preparato un memoriale che però dopo la sua uccisione è sparito”.
E sulle scomparse l’avv. Vito Galluffo ha alzato l’indice: “tanti reperti scomparsi dall’ufficio della Procura e questo non è certo addebitabile alla mafia, altri avevano interesse perché questi reperti non fossero più trovati”. E le prove di accusa emerse nel corso del processo?: “Suggestioni, fatti non veri spacciati per veri…perizie contestatissime…congetture e desideri hanno riempito le tesi dei pm”. Nelle parole delle difese le firme dell’imputato Mazzara sul fucile, sui bossoli, rappresentata dalle abitudini al sovra caricamento, dalla consuetudine di esplodere a freddo le cartucce così da lasciarvi sopra diverse striature, la firma rappresentata dalla traccia genetica rinvenuta sui resti di fucile trovato sulla scena del delitto, addirittura una seconda traccia genetica riconducibile solo a un suo parente, ecco nelle parole delle difese queste firme sono svanite, sparite, prove inutili e sbagliate. Addirittura l’innocenza di Vito Mazzara per il suo difensore è provata dal fatto che Mazzara avrebbe potuto opporsi al prelievo del Dna, “non era obbligato…poteva sollevare una violazione della privacy prima ancora che appellarsi al codice penale”. E poi che motivo aveva Vito Mazzara di uccidere Mauro Rostagno? Nessuno, domanda e risposta del difensore. Oggi le attenzioni dei difensori è stata tutta per il conclamato killer della mafia trapanese. La sensazione è chiara, il destino giudiziario di Mazzara in questo processo determinerà come in un copia e incolla quello di Vincenzo Virga. E poi è notorio. Lo dicono gli stessi mafiosi intercettati, rispetto a Vincenzo Virga il vero pezzo da 90 è Vito Mazzara, “è lui che bisogna salvaguardare….se si pentisse son guai…è un pezzo di storia”. E così anche i difensori di Virga hanno parlato come se fossero stati difensori di Vito Mazzara, tanto che poi gli avvocati Stefano Vezzadini e Giuseppe Ingrassia sono stati visti a tu per tu con i familiari di Mazzara presenti tra il pubblico. Perché Vito Mazzara avrebbe dovuto uccidere Mauro Rostagno? Perché non ha potuto sottrarsi a quell’ordine come non si è sottratto ad altri ordini di morte. Le difese hanno detto: Rostagno ucciso per le cose che diceva? E perché ucciderlo se queste cose le aveva comunque già dette. Anche l’agente di polizia penitenziaria Giuseppe Montalto è stato ucciso l’antivigilia di Natale del 1995 per una cosa che aveva già compiuto nell’asservimento dei propri doveri di agente. Montalto intercettò lo scambio di un pizzino tra alcuni detenuti dell’Ucciardone trattenuti al 41 bis, quel pizzino era stato già sequestrato, preso, era una lettera diretta a Nitto Santapaola, boss catanese, che le era stata scritta dalla moglie e di mano in mano doveva arrivare a don Nitto, perché ucciderlo se, si può dire, “il danno era fatto”. E invece Montalto fu ammazzato perché la sua morte doveva essere “un regalo di Natale” ai boss detenuti da parte di quelli liberi. Vito Mazzara andò e uccise, non sbagliò colpo, ammazzò l’agente che si accingeva ad accendere l’auto e lasciò indenne la moglie che sedeva vicino a lui. Anche Rostagno quel 26 settembre 1988 era in auto e non era solo, c’era Monica Serra, rimasta viva, fortuna che pagò caramente, prima l’arresto, il proscioglimento, la sofferenza portata dentro, è morta adesso Monica almeno si è risparmiata le ricostruzioni di accusa del difensore del killer Mazzara. Rostagno fu ucciso non solo perché faceva il giornalista, ma faceva il giornalista scuotendo le coscienze, stava diventando un capo popolo quando la mafia stava attuando la strategia che poi gli riuscì e che ancora oggi funziona, quella che l’ha vista diventare impresa, capace di gestire economia, di mettere propri uomini in politica, di arrivare alla sommersione dopo stragi e delitti eclatanti. Rostagno poteva essere un ostacolo come altri, pure ammazzati o emarginati, e l’elenco è lungo.
L’evidenza delle prove di accusa sono tanto evidenti che le difese sono state costrette a ripetere più volte che “la mafia non è un potere forte” e che con il delitto di Mauro Rostagno, perché frutto di poteri forti, non c’entrano nulla. Poteri forti, non mafiosi, che però andavano a sparare “cu na scupittazza vecchia” come hanno anche sostenuto nelle loro arringhe. Una contraddizione ha messo oggi in evidenza l’avv. Giuseppe Crescimanno, parte civile per l’ordine dei giornalisti. La mafia è un potere forte e può accadere che vada ad uccidere con un fucile già usato. Era l’abitudine di Vito Mazzara certo che mai sarebbe stato scoperto per gli accorgimenti che usava. La mafia è un potere forte ma può accadere che un fucile si inceppi oppure gli salti la canna. La mafia è un potere forte e a Trapani la si è vista compiere delitti e organizzare stragi “da potere forte”, governare massoneria e gestire amministrazioni pubbliche, accanirsi contro un prefetto facendolo pure fare trasferire. La mafia a Trapani è un potere tanto forte da convincere tanti della sua inesistenza o oggi della sua sconfitta. E invece la mafia c’è, esiste e “non ha perso”. E ci fermiamo qui pensando che è possibile invertire questa spirale. Adesso è l’ora della sentenza. I giudici sono da mezzogiorno di oggi in Camera di Consiglio.