Ci sono sequenze di suoni (parole, intere espressioni, interiezioni, avverbi, aggettivi, esclamazioni, “frammenti di enunciato”) che in maniera automatica e irriflessa vengono inserite nella frase e nel flusso comunicativo svuotati dal loro significato originario e piegati a un diverso utilizzo. Tutto ciò viene perpetrato in beffa alla rigorosa logica grammaticale delle frasi, il più delle volte per fare assumere al discorso quello che taluni esperti di cromoterapia chiamano “colore espressivo”. Una personalizzazione. Stiamo parlando di una cosa da cui è facile credere gli italiani non potrebbero mai fare a meno, gli intercalari.
Ce ne sono di semplici ed articolati. Si comincia dalle vocali o poco più:
- Ah indica, a seconda del contesto, un rimprovero, un desiderio oppure rabbia (ah, che disastro!), o sorpresa (ah, sei tu!); se ripetuta (ah! ah!) riproduce il suono di una risata;
- Eh è un’interiezione particolarmente ricca di significati; tra l’altro, indica l’esortazione all’interlocutore di prendere posizione o di rispiegare quanto è stato appena detto: La ragazza si chiama Ermenegilda – Eh? Come hai detto?
- Ih indica sorpresa, repulsione e talvolta orrore.
- Oh è più specializzato verso la gioia e l’ammirazione. Se si utilizza due volte “Oh, oh” può esprimere una sensazione di paura per qualcosa che si è fatto. Esprime meraviglia, gioia: oh, questa è proprio una bella sorpresa! Oppure dolore, sdegno: oh, che brutta storia! Può anche servire da richiamo: oh! stai attento!;
- Uhm spesso esprime incertezza, dubbio, perplessità: uhm, la tua idea non mi convince!
- Boh è diffuso nell’italiano colloquiale per parafrasare non lo so o comunque per esprimere un rifiuto a prendere posizione.
- To’ (scritto anche toh) è anch’esso diffuso nell’italiano colloquiale, per parafrasare “tieni” e accompagna l’esortazione a prendere qualcosa o a prenderne conoscenza; denota anche sorpresa.
- Neh, usato soprattutto nell’italiano settentrionale, indica che il locutore attende una conferma (neh = nevvero).
- De’, una tipica interiezione della lingua toscana.
- Gna, Nca, Ca, tipica interiezione del siciliano con variazioni da provincia a provincia.
- Nzù, suono palatale tipicamente siciliano (difficilmente commutabile in espressione scritta senza che perda la sua efficacia espressiva) che si articola sferzando la lingua per indicare un secco diniego, il NO (niente da fare!).
Restando però in tema isolano, dove anche i colori espressivi sembrano più forti, troviamo delle curiose contraddizioni. Sono antinomie che fanno parte integrante di un nostro idioma figurato recante una logica a tratti imperscrutabile.
Giusto, all’occorrenza nome proprio o aggettivo qualificativo, identifica una data persona di sesso maschile o l’aggettivo per definire una persona equanime, corretta, proba, che conforma i propri giudizi e comportamenti a criteri di equità, di imparzialità.
Com’è ..come non è…( per restare in tema di intercalari) ..se ripetuto due volte, in dialetto, diventa un avverbio in negativo “giustu giustu” significando persona molto limitata, prossima al tracollo, al collasso.
È altresì curioso osservare che taluni usino come intercalare – nei racconti – anteporre il “pigliare” (in dialetto “pigghiari”) nell’azione di andarsene.
Ricorre sovente nei discorsi di taluni un’espressione: «..virennu chissu .. pigghia e minn’ìvu..». In realtà non c’è nulla da prendere, è solo un’azione figurativa.
Somiglia ad una sorta di retaggio del galateo figurativo: “sembra brutto andare a mani vuote” .
Parimenti si osserva un curioso uso del verbo “girare” (in dialetto “vutarisi”) applicato quasi in forma coreografica nel discorso: «…diceva che era stato li, che lo sapeva lui… mi votu io e ci fazzu….”ma tu chi ‘nni sàa…chi ancora unn’avivi nasciutu à lu 55?..”».
Qui, chi utilizza questo artifizio dialettico spesso insinua (in chi ascolta) il dubbio che egli sia stato tutto il tempo di spalle. Già, perché invece girarsi nell’atto di rivolgersi all’interlocutore è ancora più improbabile da immaginare.
Un’alternativa da immaginare è invece che al momento di parlare – chi di dovere – si giri di spalle per darsi coraggio (anche se ciò appare poco rispettoso nei confronti dell’interlocutore).
Spesso fra le persone che espongono i fatti in questi termini è diffusa anche la variante speculare “si vota iddu..”. A volte è un botta e risposta raccontato in questi termini.
Sembrerebbe un dialogo fatto quasi alla maniera degli antichi duelli western cinematografici.
Due persone di schiena che si affrontano avanzando in direzioni diametralmente opposte girandosi di scatto verso il contendente opposto per sparare al momento convenuto. La cosa buffa è che, mentre nei duelli la questione si risolve in tempi brevi con la morte di uno dei due, qui nel batti e ribatti i contendenti rischiano al massimo il “torcicollo” per l’innumerevole batti e ribatti di “vutarisi” colloquiale .
Poi ci sono delle ingerenze, in virtù delle quali chi racconta si sostituisce parzialmente all’interlocutore (quasi una sorta di “faccio tutto io…tu presta solo l’orecchio!”).
- Ti fazzu ridiri….(è stato preordinato a monte che chi ascolta debba necessariamente ridere. Tale espressione lascia margine discrezionale solo all’intensità ed alla durata del “riso”).
- Si ti lu cuntu mi dici “ma chi dici?” (l’espressione consentita di rimando – udita la storia – può essere anche leggermente dissimile, ma deve ricalcarne il significato)
- ..dici.. picchì?.. (sarebbe più immediato che nel discorso, chi sta raccontando, proseguisse a spiegare il perché – se è conseguenza naturale – piuttosto che dimostrare di aver intercettato una domanda mai espressa dell’ascoltatore (e forse anche mai immaginata).
- Attenta a mia!.. (è un richiamo a prestare attenzione che potrebbe essere “normale” in altro contesto. In genere si usa all’inizio del discorso, quando si presuppone l’attenzione dell’ascoltatore sia massima. Spesso è usato anche se chi ascolta sta a bocca aperta, ad ascoltare ogni sillaba. Sembrerebbe che ciascuno, all’inizio del discorso, debba essere per forza distratto.)
La tavolozza dei colori a cui attinge la conversazione in dialetto è molto vasta e verosimilmente sarà spunto di ulteriori approfondimenti. Non ve lo dico adesso, perché… Si vi lu cuntu mi diciti.. “ma chi dici?”
Di Diego Motisi