Intervista all’Architetto Ignazio Longo, a cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo.
Tutte le immagini e le informazioni che sono state utilizzate per realizzare questo articolo si trovano nel testo “Terra Alcami- Imago Urbis” dell’Architetto Ignazio Longo.
Come nasce la mostra sulle rappresentazioni della città di Alcamo?
La mostra deriva da un’appendice ai miei studi per dare modo di vedere, a dimensione reale, tutte le mappe e i disegni che ho trovato negli anni, e che poi ho pubblicato nel volume: Terra Alcami. Imago Urbis.
Rappresentazioni iconografiche e cartografiche antiche. Nasce anche da un altro desiderio, ovvero quello di fare conservare nel Museo Civico di Alcamo tutti questi reperti iconografici.
Qual è la mappa più antica che raffigura la città di Alcamo?
Le mappe più antiche, fin ora conosciute, in quanto ho il sospetto che ne esistano altre precedenti, sono le carte spagnole conservate presso l’Archivio General de Simancas. Le “ho scoperte”, pur non essendo mai stato in quella città spagnola, attraverso le banche dati messe a disposizione on line. Le carte raffigurano la corografia di Alcamo nel 1719. Queste, assieme a quelle austriache, disegnate per il barone Samuel von Schmettau (conservate presso la Biblioteca Nazionale di Vienna), sono le carte più vecchie. Le prime raffigurazioni rappresentano il territorio nel periodo in cui gli Spagnoli volevano riconquistare l’Isola, quindi sono documenti militari. Le truppe erano piazzate nella roccaforte di Alcamo. Le montagne sono dipinte con l’arcaica tecnica detta a “monticelli”: una rappresentazione realizzata utilizzando delle sfumature che, a forma concentrica, permettono di far vedere il rilievo del monte; si tratta di una forma primordiale delle curve di livello per dare un aspetto, potremmo dire, tridimensionale ad un disegno. Si parte dalla rappresentazione del monte Bonifato per scendere, via via, lungo la costa di Alcamo Marina. Alcamo, acquerellata in una tinta rosa, è divisa in due. Si nota la differenza tra la città murata e la parte costruita fuori le mura. Le due mappe hanno suscitato in me grande meraviglia, perché contengono dei quadratini colorati, poi interpretati con la disposizione delle truppe in campo, predisposte per la difesa, nel caso di attacco da parte degli Austriaci. Inoltre esse riportano diversi toponimi interessanti. Il termine “che” indica le strade che portano a Salemi, Trapani, e così via. I disegni austriaci, con altre sfumature iconografiche, affrontano l’identico tema militare e si riferiscono allo stesso periodo risalente ai primi decenni del ‘700. La mappa più suggestiva mi sembra quella del Collegio, sia per quello che rappresenta, come documento storico, ma anche come documento artistico.
Come si legge un’opera del genere?
Leggere una mappa antica è davvero un lavoro difficile. Oggi le mappe sono tutte orientate a Nord, anticamente invece erano spesso orientate a Sud, come in questo caso. Per interpretare una planimetria bisogna intanto scoprire la scala di riduzione. Occorre considerare le antiche misure in palmi e canne siciliane che, rapportate al nostro sistema metrico decimale, danno risultati improponibili, come: 1:26.325 o anche 1:1.150. Nella lettura delle piante topografiche si riscontrano quindi parecchie difficoltà. Per leggere una mappa bisogna avere conoscenze tecniche specifiche, ma anche conoscenze artistiche, in quanto alcune piante, come quella raffigurata nel dipinto del Collegio, non sono redatte in scala. É un errore chiamarla mappa, dobbiamo piuttosto definirla una rappresentazione iconografica a volo d’uccello, dove chi rappresenta il luogo non è un tecnico ma un artista che riprende la città dall’alto. Il dipinto è un mixer tra prospettiva e assonometria; si può ben vedere, infatti, che le case disegnate più vicine all’osservatore hanno le stesse proporzioni di quelle lontane. Nel disegno prospettico, invece, ciò che si allontana rimpicciolisce. Non segue, comunque, tutte le regole dell’assonometria, quindi si tratta di una veduta. Inoltre, guardando attentamente la raffigurazione, mi sono accorto che il castello ha dimensioni sproporzionate rispetto alle case. Il motivo era quello di enfatizzare un elemento simbolico molto rappresentativo. La città di Alcamo è rappresentata come un luogo “forte”, difeso dal castello e dalla cinta muraria.
Tra le parti evidenziate nel lavoro che hai fatto, ce n’è una che ha una forma alquanto strana…
Grazie all’aiuto del fotografo Girolamo Bongiovanni e alle sue immagini realizzate ad altissima risoluzione, ho scrutato un particolare che precedentemente mi era sfuggito. Il dettaglio in questione è una strana “forma trilitica” che trova riscontro nella letteratura di riferimento e si riferisce al “patibolo” che si trovava fuori le mura, nella piazza antistante il castello (piazza della Repubblica). L’ignoto pittore, probabilmente un ecclesiastico, ha voluto rappresentare con un simbolo il luogo dove si eseguivano le condanne a morte.
Qual è la cosa più curiosa nella quale ti sei imbattuto studiando le mappe?
La vicenda che riguarda le mappe Borboniche è certo la più intrigante. Furono realizzate in un ventennio, tra il 1837 e il 1853, nel periodo in cui i Borboni volevano impiantare un nuovo sistema tributario per la raccolta delle tasse; allora il re diede al marchese Vincenzo Mortillaro, il compito di organizzare i rilievi di tutte le città siciliane. Mortillaro incaricò tecnici, periti agrari, architetti, ingegneri e “curdiatura”, ovvero persone esperte del posto prive di titolo di studio. Le mappe che arrivano a Palermo sono però tutte di fattura diversa. Alcune sono graficamente “sgrammaticate”, altre redatte invece in maniera scientifica e precisa, come quelle di Alcamo. Queste furono disegnate da due tecnici distinti, uno si occupò della città, l’altro del territorio. Nel frattempo ci si apprestava all’Unità d’Italia e il Mortillaro, avendo questo patrimonio immenso costituito da oltre trecento mappe, decise di non consegnarle al re, ma di custodirle gelosamente. Le nascose e consegnò soltanto i libri contabili, conscio della prossima fine del regno. Con l’Unità d’Italia, Mortillaro e il figlio decisero di pubblicare sette mappe tra quelle possedute. Le mappe di Alcamo vennero incise ma non divulgate, infatti non esistono gli originali. Alla morte del Mortillaro e del figlio si perse ogni traccia del ricco patrimonio cartografico, malgrado tutti gli storici ne conoscessero l’esistenza, fino al terremoto del 1968, quello della valle del Belice, dove gli eredi del Mortillaro, nell’atto di recuperare alcuni oggetti dalla loro vecchia abitazione, aprirono una cassa e trovarono il tesoro, dov’erano pure gli originali delle due mappe di Alcamo.