Destinatario del provvedimento il commercialista Giuseppe Messina che sedeva al tavolo con Riina e Virga. Fondamentali furono le sue rivelazioni sulle connessioni tra mafia e impresa nel trapanese
Sequestrati i beni ad uno dei primi collaboratori di giustizia che a Trapani hanno permesso di alzare il coperchio della pentola dove gli affari di mafia, politica e impresa per decenni si sono mischiati. La Dia ha avuto accolta dal Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani la proposta di sequestro preventivo dei beni intestati al commercialista trapanese Giuseppe Messina, classe 1948. Il provvedimento risale allo scorso luglio ed è stato assunto dalla sezione feriale del Tribunale delle Misure di prevenzione presieduta dal giudice Roberto De Simone. Sequestrati sono stati immobili, società commerciale, automezzi nonché titoli e conti correnti. Giuseppe Messina è stato uno dei primi “colletti bianchi” a scegliere a metà degli anni ’90 di collaborare con la giustizia, permettendo l’evolversi delle indagini sulla cosidetta “area grigia” di Cosa nostra trapanese. Il commercialista nel 2006 ha patteggiato una condanna a 20 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.
Una condanna dichiarata già estinta. Un reato che risale ad un periodo tra gli anni ’80 e 90 quando Messina era “consigliere” della famiglia mafiosa trapanese, vicinissimo al capo mafia dell’epoca, Vincenzo Virga, addirittura in grado di sedere allo stesso tavolo con il capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Sebbene via sia stata la “certificazione giudiziaria” del magistrato di sorveglianza che afferma come da tempo Messina non può più essere considerato soggetto socialmente pericoloso, la Dia ha avanzato la richiesta sulla base della nuova normativa antimafia che riconosce la possibilità del sequestro e della confisca anche nei confronti di soggetti nei confronti dei quali non esiste più l’attualità della pericolosità sociale. E non potrebbe essere altrimenti per Messina proprio per le sue dichiarazioni che hanno dato un duro affondo contro Cosa nostra trapanese. E però per la Dia il suo patrimonio affonda le radici nel periodo in cui era un pezzo da 90 della mafia trapanese. Da qui la proposta di sequestro che sarà oggetto di un procedimento che prenderà il via nei prossimi mesi dinanzi al Tribunale delle misure di prevenzione. Il procedimento dovrà stabilire se davvero il possesso dei beni abbia avuto una origine non lecita, ma intanto negli ambienti investigativi e inquirenti non si nasconde di avvertire il rischio che simili azioni giudiziarie, pur se perfettamente in aderenza alla normativa antimafia, non giovano sotto il profilo di suscitare nuove e utili collaborazioni con la giustizia. Messina è stato a suo tempo sentito in procedimenti su mafia e politica, citato come teste nei processi contro il senatore Andreotti, il senatore D’Alì (in questo caso fu teste della difesa) e l’ex deputato Pino Giammarinaro (e in questo caso scelse di avvalersi della facoltà di non rispondere).