Chiesti 18 anni di reclusione e 18 mila euro di multa per il rampollo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo.
TRAPANI. I Pubblici Ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo hanno chiesto la condanna per Diego “u nicu” Rugeri, arrestato nel giugno del 2012 durante l’operazione antimafia denominata “Crimiso” che mise in ginocchio la famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo e Alcamo. I P.M., Dott. Carlo Marzella e Dott. Antonio Sgarrella, durante la requisitoria hanno chiesto per il giovane rampollo della famiglia castellammarese 18 anni di reclusione, 18 mila euro di multa e pene accessorie. La condanna è stata chiesta per tutti i capi d’imputazione.
Le indagini
L’attività di intercettazione, i servizi di pedinamento, i controlli attraverso i sistemi satellitari installati sulle vetture dei suoi coimputati (tutti condannati lo scorso dicembre,ndr), condotte dalla DDA di Palermo, dalla squadra mobile di Trapani e dal Commissariato di P.S. di Castellammare del Golfo, e grazie anche alle testimonianze di alcuni degli imprenditori taglieggiati, hanno dimostrato che Diego “u nicu” Rugeri si è reso protagonista di una reiterata e capillare attività di estorsione ai danni di numerosi imprenditori e commercianti di Alcamo e Castellammare del Golfo.
In particolare i delitti contestati a Diego “u nicu” Rugeri emersi nel corso delle indagini sono di estorsione compiuta nel dicembre 2009, in concorso con Nicolò Pidone, a danno dei fratelli Michele e Salvatore Lombardo, gestori del ristorante “Egestamare” di Castellammare, costringendoli ad assumere la fidanzata dello stesso Rugeri; alla tentata estorsione commessa in concorso con Vincenzo Bosco nell’aprile del 2010 sempre ai danni dei gestori del ristorante “Egestamare”, collocando un copertone e una bottiglia contenente liquido infiammabile all’ingresso del ristorante e successivamente inviando un sms al gestore con cui gli intimavano di “mettersi apposto”; al tentativo di incendio e la connessa violazione di domicilio dell’abitazione di Salvatore Buscemi, consumati l’11 agosto 2010 in concorso con Giuseppe Sanfilippo; alla tentata estorsione commessa in concorso con Giuseppe Sanfilippo nell’aprile del 2010 a danno di Gaspare D’Angelo all’epoca titolare del bar “Vogue”, chiedendo a quest’ultimo diverse somme di denaro “sennò sarebbe successo qualcosa di grave”; al tentativo di incendio dell’abitazione di Salvatore Magaddino, consumato il 4 agosto 2010 in concorso con Giuseppe Sanfilippo; all’estorsione consumata in epoca precedente alla riunione del 16 ottobre 2010 in danno di Salvatore Scuderi, gestore del bar pasticcera “La Sorgente” di Castellammare del Golfo; alla tentata estorsione commessa il 27 gennaio 2009 a danno dell’imprenditore castellammarese Giuseppe Blunda; all’estorsione tentata il 13 gennaio 2012 a danno dei due fratelli Luigi e Giacomo Impastato di Montelepre.
Il summit e lo scontro con Michele Sottile
Lo scontro tra Diego “u nicu” e Michele Sottile è stato l’argomento principale del summit celebrato nella campagne di Castellammare del Golfo, in contrada Inici, il 16 ottobre 2010; riunione che aveva i contorni di un vero e proprio “processo” a carico di Diego Rugeri. Il summit, intercettato dagli inquirenti, ha permesso di evitare una faida interna che sembrava proprio dietro l’angolo. Proprio per evitare che si arrivasse ad uno scontro più acceso tra i due, Rosario Tommaso Leo è stato mandato a “mediare” e a mettere pace tra i due, che non condividevano i modi di operare all’interno della famiglia mafiosa.
Gli altri imputati
Con la sentenza del gup di Palermo dello scorso mese di dicembre sono state emesse le condanne per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Le condanne più pesanti sono state inflitte a Michele Sottile condannato a 8 anni e 2 mesi, a Vincenzo Campo 8 anni e ad Antonino Bonura (considerato il capo della famiglia mafiosa di Alcamo) 8 anni. Nicolò Pidone 6 anni e 6 mesi, Sebastiano Bussa e Rosario Tommaso Leo 6 anni, Giuseppe Sanfilippo 5 anni e 2 mesi, 4 anni per Salvatore Mercadante e Vincenzo Bosco. Quest’ultimo accusato di tentata estorsione (con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra) invece tutti gli altri sono stati chiamati a rispondere di associazione mafiosa dai Pubblici Ministeri della Procura di Palermo, Carlo Marzella e Laura Vaccaro.
L’unico assolto è l’ergastolano Antonino Bosco. Il suo avvocato è riuscito a dimostrare che le intercettazioni con il cognato riguardavano dissidi interni e non c’entravano niente con la famiglia mafiosa di Alcamo.
Le parti civili
Oltre a due dei danneggiati si sono costituiti parte civile l’ associazione Castello Libero Onlus di Castellammare, il Comuni di Castellammare e di Alcamo, la Federazione antiracket italiana, Confindustria Trapani, Addio Pizzo, le associazioni antiracket di Alcamo, Castellammare e Marsala e il Centro Studi Pio La Torre.
L’associazione Castello Libero Onlus sottolinea che: “Siamo presenti come parte civile in questo processo per rappresentare la società civile organizzata di questo paese, quella società civile che ripudia il pensiero mafioso. Castello Libero tenta di costruire e comunicare un modello di vita senza la mafia, senza le oppressioni e la cultura dell’omertà che, di contro, i vertici mafiosi ed i gregari cercano di affermare quotidianamente, perché la loro forza è la stessa paura della gente siciliana. In questo scenario, il rafforzamento dei clan sul territorio, confermata dalle tante operazioni (che hanno avuto rilievo anche nazionale e non esclusivamente territoriale) lede il prestigio dell’associazione Castello Libero perché vanifica i risultati di una lotta complessa e costosa in termini di sforzi associativi e di vite umane coinvolte. Ci riteniamo parti danneggiate in quanto la presenza di cosa nostra ci impone di fare di più”.
La richiesta di condanna
Per tutti i capi di imputazione i Pubblici Ministeri della Procura della Repubblica di Palermo, dr. Carlo Marzella e il dr. Antonio Sgarrella hanno chiesto la pena di anni 18 di reclusione e 18 mila euro di multa. Si chiede inoltre la condanna dell’imputato alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.