Patrizia, figlia e sorella di boss, si difende davanti al Tribunale di Marsala. “Mio fratello non lo vedo e non lo sento da 20 anni”
“Sono orgogliosa del cognome che porto”. Ha parlato come un “boss” di solito parla…quando parla. Lei per adesso è solo un “presunto” boss. E’ Patrizia Messina Denaro, classe 1970, ad essersi espressa in questa maniera davanti al Tribunale di Marsala che la sta processando per i reati di associazione mafiosa, ed estorsioni. Figlia di boss, Francesco Messina Denaro, sorella di boss, Matteo Messina Denaro, moglie ancora di boss, Vincenzo Panicola. Nel processo in corso è accusata di essere stata “portavoce” del fratello, Matteo, ricercato dal 1993: “Non vedo e non sento mio fratello Matteo da più di vent’anni. Non faccio parte di Cosa nostra”. Tra le accuse quella di avere storto 70 mila euro ad una congiunta, Girolama La Cascia. Nei giorni scorsi la Dia ha sequestrato proprietà intestate a Patrizia Messina Denaro di valore equivalente alla somma estorta: alcuni terreni in contrada Zangara, la contrada dove la mafia, potente, quella di Messina Denaro e Riina, ha assunto la titolarità di ampi appezzamenti di terreni, anche quelli a suo tempo intestati all’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì. Quest’ultima una operazione di riciclaggio di denaro, episodio per il quale Matteo Messina Denaro, ed i prestanomi utilizzati, i fratelli Geraci di Castelvetrano, sono stati condannati, D’Alì per questo episodio ha avuto riconosciuta la prescrizione del reato dal gup Francolini (sentenza del 30 settembre 2014). E’ vero che Patrizia Messina Denaro è “orgogliosa” del suo cognome. Tanto che nelle indagini a suo carico emerge proprio che avrebbe preteso denaro dalla parente, Girolama La Cascia, usando la “forza” del cognome. Un totale di 70 mila euro ricevuti effettivamente da Girolama La Cascia che impaurita com’era, chiamata durante le indagini a spiegare il perché di quei soldi dati alla “potente” parente, ha negato, ha poi dato versioni infondate. Tanto da essere imputata dinanzi al Tribunale di Marsala del reato di “false dichiarazioni al pm”. Lei, Patrizia Messina Denaro in aula a Marsala nell’udienza di giovedì scorso ha voluto spiegare perché prese quei soldi:: “…era stata la mia madrina Caterina Bonagiuso a dirle (a Girolama La Cascia ndr) di darmi una parte dell’eredità, 70 mila euro, che ricevetti con tre assegni che depositai in banca. Se questa è un’estorsione, l’ho proprio fatta male”. “La mia madrina non mi citò nel testamento perché aveva il timore che la donazione potesse essere confiscata dalla magistratura. Io pago per il cognome che porto, ma di cui sono orgogliosa. Se avessi avuto contatti con mio fratello Matteo, chi mi controllava se ne sarebbe accorto. Ci mettono le microspie pure nelle brioches”.
Ed ancora ha fatto riferimento al cugino, l’imprenditore Lorenzo Cimarosa, che detenuto, sta rendendo dichiarazioni: “Ci accusa solo per salvarsi dal carcere”. Il Tribunale di Marsala ha anche ascoltato il notaio di Castelvetrano, Giovanni Cancemi, che il 24 dicembre 2010 redasse il testamento di Caterina Bonagiuso, deceduta nel febbraio 2011. “Dopo la morte dell’anziana – ha detto il notaio – mi venne a trovare Girolama La Cascia e mi chiese se aveva l’obbligo di rispettare una disposizione orale della de cuius. Io risposi che non aveva un obbligo giuridico, ma solo morale. Mi disse che si trattava di 70 mila euro. Io spiegai che il trasferimento doveva avvenire con mezzi tracciabili: assegni, bonifico bancario, etc. Solo alla fine, quasi come un colpo di teatro mi disse che la beneficiaria era la sorella di Matteo Messina Denaro”. Le indagini e le intercettazioni però tradirebbero una situazione ben diversa. Intanto gli investigatori trovarono traccia del passaggio di 70 mila euro avvenuto il 28 giugno del 2011 da parte di Girolama La Cascia (erede della Bonagiuso) in favore di Patrizia Messina Denaro. Quel versamento fu giustificato dapprima come se la Girolama La Cascia dovesse acquistare un immobile da Patrizia Messina Denaro, ma non è mai stato rinvenuto alcun atto notarile in questo senso. Poi la Girolama La Cascia parlò di donazione per eseguire le volontà testamentarie “orali” della Bonagiuso. Le intercettazioni svelarono altro. Intanto il “nervosismo” dei La Cascia per la pretesa della Patrizia Messina Denaro: “lei neanche si è presentata dalla zia quando stavamale … non si sa da quanti anni non ci andasse…1‘unica che ci andava ogni tanto era Bice (BiceMaria Messina Denaro ndr)… e lei (Bonagiuso Caterina ndr) me lodiceva infàtti… una… due volte all‘anno ci andava.., ma le altre non ci andavanocompletamente… che poi lafiglioccia è Patrizia non è che è Bice… “. Il 6 marzo 2012 le microspie della Dia intercettarono poi proprio la fase del racconto di come Patrizia Messina Denaro si sarebbe rivolta alle eredi della Bonagiuso per ottenere il denaro: “Ha cominciato a fare un macello… noi altri ora dobbiamo discutere perché voi qua vi siete fottuti le cose…c ‘era un testamento che c ‘erano cose a me e voi lo avete strappato… io qua sono… mi chiamo MESSINA DENARO e a me non mi rompeniente nessuno… ora qua io voglio le cose ..Ora voi uscite i soldi … perchéa me soldi mi servono…”. Le voci ancora intercettate dimostrerebbero che Patrizia Messina Denaro avrebbe chiesto una somma ancora più alta: “lei voleva cento mila euro capito?…”. Per gli investigatori della Dia che ascoltavano, registravano e trascrivevano ogni cosa “quei soldi di quella “finta” donazione sarebbero serviti a sostenere la latitanza di Matteo Messina Denaro”. Le stesse vittime dell’estorsione mentre erano intercettate sono state proprio ascoltate mentre commentavano il fatto, e con le loro parole si sono dimostrate perfettamente a conoscenza delle ragioni di quella “donazione”: “… vedi che lui (Matteo Messina Denaro ndr) comanda tutto Palermo, tutta la Sicilia di Trapani, tutta la provincia… chiddru avi a camminnare! chiddru vola!! E … senza soldi un povulare!!”.
La storia del cognome Messina Denaro usato per mettere timore nell’interlocutore di turno, emerge anche nella tentata estorsione all’imprenditrice Elena Ferraro, titolare del centro sanitario Hermes a Castelvetrano. A lei un giorno si prsentò un parente del capo mafia, Mario Messina Denaro, e le si presentò col solo cognome per offrirgli la possibilità di fare fatture per prestazioni inesistenti così da far guadagnare qualcosa a lui che a sua volta poteva così occuparsi delle “casse” della cosca, quei soldi le fece intendere servivano a foraggiare i detenuti della cosca ed i loro familiari. La Ferraro, è cosa nota, disse di no e denunciò Mario Messina Denaro, arrestato e adesso già condannato.