Sono stati anni bui per la mediazione civile italiana e lo saranno ancora di più se sarà mantenuto questo sistema legislativo che lo regola. Il professor Antonello Miranda dell’Università di Palermo è stato chiaro: «La nostra legge è destinata a un totale fallimento perché non si adegua all’idea che si è sviluppata in Europa. La mediazione deve essere un sistema alternativo delle particolarità dei rapporti tra privati».
A Marsala, con una due giorni di studi, si è concluso il progetto Emedi@ate, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito della linea di intervento “Civil Justice 2012”, che ha visto insieme alcuni partner europei e, tra questi, un’Unita di ricerca palermitana istituita presso il Dipartimento di Studi Europei e della Integrazione Internazionale presso l’Università di Palermo, il Cresm di Gibellina, il Cemsi di Mazara del Vallo, l’Università del Pireo (Grecia),
l’Università di Cipro, l’Università di Tilburg (Paesi Bassi) e il Galician Technological Institute in Spagna.
Il professor Miranda del progetto è stato il coordinatore scientifico: «Bisognerebbe sviluppare forme di risoluzione alternativa che tengono conto delle esigenze dei singoli, facilitando il rapporto tra le parti».
A Marsala l’occasione del convegno finale è servita per illustrare anche i risultati del progetto (contenuti in una pubblicazione) anche negli altri Paesi coinvolti. Come in Grecia, dove è stato accertato che è aumentata la cooperazione tra mediatori e giudici. «Abbiamo sottoposto 80 questionari, 40 in ambito civile e 40 in ambito familiare – ha spiegato Eleni Nina Parzarzi dell’University of Piraeus – nel nostro Paese la mediazione viene considerata un meccanismo molto utile». E prende sempre più piede la mediazione anche a Cipro, dove la ricerca è servita per “focalizzare” l’ambito e lo sviluppo del settore: «Abbiamo registrato la nascita di trenta nuovi mediatori – ha detto Katerina Nikolaidou dell’Università di Cipro – e il confronto con gli altri paesi coinvolti nel progetto ci ha consentito di testare il nostro sistema con quello europeo».
«Il conflitto deve essere inteso come una risorsa e questo dipende dall’approccio delle parti alla risoluzione – hanno detto Annalisa Alongi e Michelangelo Russo di “Conciliamo Facile” – nella mediazione non ci troviamo davanti un avversario che bisogna vincere ma una persona con cui dobbiamo dialogare. Ecco, la mediazione deve essere un fatto culturale che va diffuso tra la popolazione, bisogna ripartire da un buon vivere comune».
«Nel 2014 le notizie di reato sono state 1 milione e 300 mila, tanto per dare un’idea del carico di lavoro del nostro sistema giudiziario, dobbiamo abituarci a pensare a una nozione diversa di obbligatorietà dell’azione penale». Lo ha ribadito Paola Maggio dell’Università di Palermo, che ha collaborato al gruppo di studio. «Le tecniche conciliative nel processo penale registrano notevoli pecche – ha detto ancora la Maggio – gli spazi extra processuali e la messa in pratica di provvedimenti prima del procedimento sono troppo contenuti e sono ispirati a logiche diverse. Si registra la perdita del baricentro azione, molto spesso la ricerca effettiva è l’azione penale». «Il problema della mediazione civile è l’incapacità a leggere cosa significa – ha detto il docente di Diritto privato presso l’Ateneo di Palermo, Gianfranco Amenta – il mediatore più sbagliato è l’avvocato nel momento in cui intende esprimere un quarto grado di giudizio».