Padre Librizzi sceglie il “rito abbreviato”. Il sacerdote è imputato di concussione e violenza sessuale. Udienza dinanzi al gup il 9 marzo.

Don Sergio LibrizziDon Sergio Librizzi ha scelto il rito abbreviato dopo il giudizio immediato chiesto dalla Procura di Trapani. L’ex direttore della Caritas di Trapani come si ricorderà, fu arrestato lo scorso giugno dalla sezione di pg della Forestale di Trapani a conclusione delle indagini coordinate dai pm Paolo Di Sciuva, Sara Morri e Andrea Tarondo. La prima udienza del procedimento è stata fissata per il 9 marzo, le accuse restano quelle originariamente contestate al momento del fermo, concussione e violenza sessuale. Il giudizio immediato resta puntato sull’accusa che don Librizzi avrebbe chiesto prestazioni sessuali a migranti maschi che chiedevano lo status di rifugiati politici.

Il sacerdote era componente – “molto influente”, hanno sottolineato gli stessi investigatori e inquirenti, profittando del fatto di essere componente della commissione territoriale presso la Prefettura, deputata al rilascio dello status. Don Librizzi è stato sentito farsi chiamare dalle sue “vittime” “baba” che in ghanese o anche in indiano significa padre, persona rispettabile, maestro di se stesso in swami. “Pensa a essere amico buono, amico buono, cosi i tuoi i problemi sono i miei. Hai capito… Io come mi chiamo? Simpatico”. E poi, dopo la risposta: “No, mi devi chiamare Baba, è più bello Baba”. Deus ex machina, così si sarebbe presentato alle sue “vittime” il parroco: ”Ascolta… ieri ho detto al presidente prendi le carte di E. e decidiamo. E abbiamo deciso, hai capito… Quindi ora tra qualche giorno, la questura ti deve fare il permesso di soggiorno, hai capito? Il problema è che le tue carte erano ferme, perché c’era la Svizzera, hai capito? l problemi che c’erano in Svizzera. Quindi io ho detto al presidente, togli i problemi della Svizzera e diamo subito positivo, hai capito?”.

Don Librizzi poi nel corso dei diversi interrogatori avrebbe fatto anche ammissioni relativamente ai suoi comportamenti fuori legge senza però andare oltre, senza toccare, così come si era ipotizzato al momento della concessione degli arresti domiciliari, altri aspetti della vicenda giudiziaria. Insomma risulta infondata l’ipotesi di “collaborazioni” dell’imputato con i pm che lo indagano. Gli arresti domiciliari vennero concessi dal gip solo sulla base di attestazioni mediche che mettevano in evidenza semmai situazioni di “incompatibilità” del sacerdote, per il suo stato di salute, con il regime carcerario. Tanto da essere stato ricoverato per un periodo anche non breve in un centro attrezzato per l’assistenza psicologica Più quindi si avvicina la data dell’inizio del dibattimento, che, si ripete, si svolgerà a porte chiuse dinanzi al gup col rito abbreviato, più si fa chiarezza sulle circostanze che fanno da scenario all’indagine.

Resterebbe però aperta una inchiesta stralcio che riguarderebbe vicende giudiziarie legate alla gestione dei centri di accoglienza e i rapporti con i politici che avrebbero messo “le mani”, ovviamente in modo interessato, e per propri tornaconti, su questa stessa faccenda. Clamorosamente un aspetto della indagine-stralcio riguarderebbe la circostanza che soggetti, si dice giornalisti come politici altolocati, sarebbero stati a conoscenza dei metodi poco ortodossi utilizzati dal sacerdote nella sua qualità di componente delle commissioni ministeriali incaricate di vagliare le richieste di asilo politico avanzate da soggetti extracomunitari entrati clandestinamente nel nostro paese. Ipotesi allo stato che sostanzialmente si baserebbero su risultanze investigative, testimonianze rese nella fase delle indagini e suffragate da intercettazioni. Ipotesi di favoreggiamento che potrebbero diventare veri e propri capi di imputazione per questi soggetti.

Eclatanti alcuni passaggi finiti nell’ordinanza firmata a suo tempo dal gip Cersosimo: “Dalle indagini – scrive – è emerso come fatto inconfutabile e notorio come il Librizzi sia detentore di una posizione di grande potere e che lo stesso sia strettamente legato ai soggetti più potenti di Trapani nonché gestore di fatto dei centri di accoglienza e del sistema di cooperative connesso. Librizzi risulta essere unico ed incontrastato dominus di una complessa e articolata rete di cooperative, ipab e società attraverso le quali gestisce in regime monopolistico non solo i centri di accoglienza per extracomunitari ma anche l’intero universo del lavoro ad esso collegato generando e gestendo risorse e lavoro.

Librizzi è stato ritenuto al vertice di una ricca fiorente e incontrastata holding finanziata con denaro pubblico che gestisce per intero il business dell’assistenza ai migranti. È risultato che si è mosso sempre con determinazione per ostacolare e danneggiare i pochi coraggiosi che hanno avuto la forza di tentare di opporsi alle sue reiterate malefatte con intimidazioni minacce vere e proprie aggressioni condotte talvolta poste in essere da appartenenti alle forze dell’ordine i quali hanno invitato i soggetti che si erano rivolti loro a non sporgere denuncia e di mettere tutto a tacere con il chiaro effetto di creare intorno al Librizzi l’aura di soggetto intoccabile e impunibile”. Nell’ordinanza finì anche il racconto di un teste, dipendente in uno dei centri di accoglienza nei quali don Librizzi si sarebbe mosso con “autorità”, che ha detto come la notizia delle periodiche ispezioni arrivava per tempo. Sarebbe stato ogni volta don Librizzi a preannunciare le ispezioni: “E quindi si metteva ogni cosa a posto”.

Un testimone risulta avere raccontato ai pm una minaccia che avrebbe ricevuto dopo aver cercato di aiutare una vittima di una presunta violenza sessuale: “Una sera avevo appena lasciato a casa un collega e mentre ero ancora in auto, ferma, ero chinata a prendere il cellulare dalla borsa, sentii riaprirsi lo sportello posteriore e una persona salire, pensavo fosse ancora il mio collega, ma appena mi sono mossa per girarmi questi mi dissi di stare ferma di non girarmi… non era il mio collega ma uno sconosciuto (non era un italiano ma parlava la lingua in modo corretto) che mi apostrofò dicendomi tu lo sai perché sono qui perché tu stai disturbando… non devi rompere le palle adesso te ne vai a casa la devi smettere di fare tutto questo casino, tu lo puoi fare il tuo lavoro ma senza rompere le palle perché adesso io sono qui che ti sto parlando la prossima volta non sarà così perché si rischiano anche altre cose”. L’uomo non indicò alla donna i fatti per i quali lei stava subendo quelle minacce, “ma in quel periodo – ha spiegato la teste ai pm – sono certa che davo molto fastidio a don Sergio e lui diceva a tutti che io lo disturbavo”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.