Imprese e misure di prevenzione

cartello-sequestro-penaleMagistrati, giudici e imprenditori si incontrano per discutere di come salvaguardare il mercato legale dall’infiltrazione criminale e di come garantire il giusto percorso di “recupero” delle imprese tolte al controllo mafioso

Se ne parla da tanto tempo e spesso chi ne parla lo ha fatto soltanto per gridare come lo Stato sia incapace di mantenere produttive le imprese sequestrate e confiscate alla mafia. La storia è nota. Quando lo Stato con la magistratura, le forze dell’ordine, toglie al controllo criminale le imprese, c’è sempre chi subito è pronto a colpire dicendo che lo Stato è incapace o addirittura non ha interesse a garantire lavoro e occupazione. Tanti sono i lavoratori che si sono sentiti dire, arriva lo Stato…e siete tutti licenziati. E’ un messaggio che fu compiuto anni addietro per esempio quando fu sequestrata al mafioso e criminale assassino Vincenzo Virga la Calcestruzzi Ericina. La pressione fu tanta davvero che quei lavoratori della Calcestruzzi videro nello Stato un nemico, sostanzialmente furono costretti a guardare allo Stato come la mafia guardava e guarda ancora oggi allo Stato. Un nemico. Non è così, non è stato mai così. Non deve essere così.

La Calcestruzzi Ericina Libera oggi vive, quei lavoratori che dovevano trovarsi a spasso addirittura sono diventati i “padroni” della Calcestruzzi, è nata una cooperativa così come altre cooperative sono nate e allo stesso modo dell’Ericina oggi permettono ad altre aziende sequestrate di poter stare a pieno titolo nel mercato del lavoro. Spesso ci si dimentica, o apposta lo si fa, che le imprese tolte al controllo della mafia o alla gestione di sciagurati imprenditori che  negli anni hanno preferito seguire Cosa nostra, avevano come ultimo obiettivo, semmai lo avevano davvero, quello di pensare all’occupazione garantita dei loro dipendenti. Quando lo Stato assume la gestione di queste imprese le trova in condizioni tali che davvero dovrebbero pensare a chiuderle: tasse eluse, contributi non pagati. E invece lo Stato con i suoi amministratori giudiziari il più delle volte è riuscito a risanare queste aziende. E quando ci sono stati amministratori giudiziari incapaci o infedeli, le istituzioni, magistratura in testa, non hanno perso tempo a procedere con le revoche. In provincia di Trapani è questo quello che è accaduto, tant’è che la commissione nazionale antimafia nel lavoro di radiografia della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia ha voluto riconoscere al Tribunale delle Misure di Prevenzione di Trapani capacità tali da essere indicate ad esempio a tutti gli altri Tribunali.

Lo Stato che subentra agli imprenditori senza scrupoli non deve far paura, perché è la legalità che viene portata dentro aziende dove l’illegalità era stata fatta diventare “sistema legale”. Indubbiamente però per portare queste aziende “inquinate” entro un alveo legale non è cosa facile. E non lo è quando per esempio si introducono normative che rischiano di incrinare il lavoro del giudice, ci riferiamo per esempio alla norma sulla responsabilità civile. Un giudice che gestisce una impresa di un certo valore commerciale oggi si trova dinanzi ostacoli che quasi quasi lo portano ad alzare le mani, a prendere atto che dinanzi a tanta illegalità è meglio chiudere che far proseguire le attività. Giunge quindi puntuale l’iniziativa che Anm e Confindustria hanno deciso di organizzare per il prossimo 27 marzo, alle 16,30, nell’aula “Giovanni Falcone” del Tribunale di Trapani. Un confronto magistrati, giudici, imprenditori per discutere  di “Imprese e Misure di Prevenzione”, per aver ben chiaro come oggi le mafie hanno definito “nuove strategie di penetrazione criminale nel tessuto economico” e quindi come attrezzarsi per dare giusta “ tutela della legalità”  definendo “strumenti di prevenzione” tali da garantire il “riequilibrio dell’ordine economico”. Quando un giudice, un amministratore giudiziario (serio e onesto) si insedia nella gestione di un bene tolto alla mafia sanno bene che la legalità da applicare avrà “un costo”  che può derivare dal risanamento di posizioni contabili con l’erario, verso terzi, verso gli stessi dipendenti. Ma ci sono anche altri costi come per esempio quelli verso i cosidetti “terzi creditori” che vanno indubbiamente tutelati, anche se su quest’ultimo versante non sfugge a nessuno che i terzi creditori restati in silenzio o disponibili a concedere lunghe dilazioni ai titolari delle imprese, analogo atteggiamento non lo mantengono quando è lo Stato a gestire. Facevamo riferimento alla commissione nazionale antimafia e alla radiografia fatta alla gestione dei beni sequestrati e confiscati: proprio in quella sede i giudici del Tribunale di Trapani in audizione dinanzi alla commissione hanno spiegato la loro idea di come ci si dovrebbe comportare con i creditori. Né più e né meno di come ci si comporta nei casi di fallimento. La differenza è quella che il fine ultimo non è quello di far fallire l’impresa sequestrata o confiscata ma semmai di rimetterla sul mercato. Bisogna dire a chiare lettere che nella provincia di Trapani l’infiltrazione e l’inquinamento del tessuto imprenditoriale ma anche sociale della mafia è così forte che è difficile far passare il messaggio della “legalità”. Se ci sono imprese che dopo il sequestro e la confisca non riescono ad andare avanti è perché il loro retroterra era così zeppo di mafiosità da rendere impossibile qualsiasi risanamento. Bisogna far capire che oggi un amministratore giudiziario che vuol fare il passacarte o non vuol vedere non rischia la revoca ma rischia di finire imputato dinanzi al Tribunale.

L’iniziativa presa  da Anm e Confindustria per tutte queste ragioni è importante e la sfida intanto lanciata è quella di essere loro per primi capaci in poche ore, quanto durerà il convegno, a far comprendere all’uditorio il cosidetto “stato dell’arte”, a che punto siamo, cosa si deve fare. I relatori sono all’altezza, a cominciare dal presidente della sottosezione Anm Samuele Corso e dal presidente di Confindustria Gregory Bongiorno, continuando con il pm Andrea Tarondo e il giudice Piero Grillo, presidente del Tribunale delle Misure di prevenzione (che ancora non si capisce perché non abbia assunto la qualifica organizzativa di sezione così da potere meglio lavorare), ed ancora con l’amministratore giudiziario Andrea Dara e il giudice civile Chiara Badalucco. Una sfida in nome della legalità e contro le mafie e i colletti bianchi che ancora non smettono di mettersi all’opera. In questa provincia tanti sequestri e tante confische sono state fatte, altre se ne devono ancora fare. Il risanamento abbiamo questa netta sensazione non è arrivato nemmeno al 50 per cento e in campo continuano ad esserci imprese sotto il controllo di quella è chiamata la “nuova mafia” quella sommersa, quella che non uccide più con le armi, ma è capace ancora di uccidere, mafia che è responsabile della morte di aziende. Altro che morti non ce ne sono più. Quando un’azienda muore perché la mafia l’ha dissanguata, restano senza lavoro spesso incolpevoli lavoratori, e la disoccupazione oggi rappresenta la morte economica di tante famiglie. Dobbiamo aprire gli occhi e renderci conto che in questa provincia quando si parlava di imprese ricche e affidabili, quando si diceva che il lavoro c’era, in realtà a tante famiglie veniva garantita la “sopravvivenza”. Sopravvivere è una cosa, vivere è tutt’altra cosa. Lo Stato con le misure di prevenzione è questo che deve garantire, vita a tanti lavoratori, donne e uomini di questa terra, e cancellare la sopravvivenza che era quasi un “regalo” che i mafiosi ci facevano e magari volevano pure essere ringraziati e ossequiati.

Ci sono stati appalti pubblici in questa nostra provincia che sono costati 100 volte tanto il loro valore perché c’erano fiumi di denaro che dovevano essere dirottate nelle casseforti mafiose, che servivano a pagare i politici, a corromperli, a  pagare tangenti a spudorati burocrati. Qui sono stati arrestati funzionari pubblici con la mazzetta in tasca o con in bocca il foglio con l’offerta da far sparire, da   inghiottire se necessario. La mafia qui ha condizionato infiniti lavori pubblici grazie ad imprenditori collusi, imprenditori che in campagna elettorale erano poi sempre in prima fila, pronti a chiedere ai loro dipendenti anche il voto “per il santo da fare acchianare”, così si è sentito dire in alcune intercettazioni. Qui la mafia ha truccato appalti e condizionato la società, a tanti ha rubato la libertà di decidere a chi dare il proprio consenso. Questo non è uno scenario del passato è ancora lo scenario di oggi. Disconoscerlo è cosa da collusi!

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.