La procura antimafia di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di 16 persone a vario titolo legati al latitante Matteo Messina Denaro. Ci sono il nipote Luca Bellomo, il fidato amico Peppe Fontana e il consigliere comunale di Castelvetrano Lillo Giambalvo
La Procura antimafia di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per 16 soggetti coinvolti nell’operazione denominata Eden seconda fase. La richiesta, già al vaglio del gup che si appresta a far svolgere l’udienza preliminare, è stata firmata dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai pm Maurizio Agnello e Carlo Marzella. Per la Dda di Palermo ci sono le prove per portare a processo tutta una serie di soggetti che a vari titolo hanno svolto “incarichi” a favore del boss latitante Matteo Messina Denaro o ancora della famiglia mafiosa belicina. Il rinvio a giudizio è stato chiesto per Ruggero Battaglia, palermitano, 39 anni, Girolamo “Luca Bellomo, 37 anni, palermitano, nipote del latitante (è il marito di Lorenza Guttadauro, avvocato, figlia di Filippo e di Rosalia Messina Denaro), per i castelvetranesi, Rosario e Leonardo Cacioppo, 34 e 38 anni, Giuseppe Fontana (detto Rocky), 58 anni, Calogero “Lillo” Giambalvo, 39 anni, consigliere comunale di Articolo 4 a Castelvetrano, Salvatore Marsiglia, 39 anni, Giuseppe Nicolaci, 32 anni, tutti e due di Palermo, Vito Tummarello, di Castelvetrano, 54 anni, Salvatore Vitale, palermitano, 37 anni, tutti soggetti in atto detenuti; richiesta di rinvio a giudizio anche per Luciano Pasini, Castelvetrano, 27 anni, agli arresti domiciliari, per due collaboratori di giustizia, palermitani, Salvatore Lo Piparo e Benito Morsicato 43 e 37 anni (hanno svelato i retroscena di un “assalto” ad un centro “Tnt” di Campobello di Mazara, fatto risalente al novembre 2013, dal quale furono prelevati 600 colli di merce e 17 mila euro in contanti, rapina della quale sarebbe stato regista Bellomo per ordine dello “zio” Matteo Messina Denaro). La richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche soggetti in stato di libertà, e cioè Marco Giordano, palermitano, 33 anni, Giovanni Ligambi, castelvetranese, 47 anni e Andrea Pulizzi, marsalese, 50 anni.
Il blitz antimafia risale allo scorso mese di novembre e fu messo a segno dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani. Bellomo, i fratelli Cacioppo e il consigliere comunale Giambalvo sono accusati di associazione mafiosa, in particolare Luca Bellomo per la Dda sarebbe il “regista” delle più recenti attività del clan mafioso agli ordini dello zio Matteo Messina Denaro e del suocero, Filippo Guttadauro. Tra gli altri reati in generale contestati quelli relativi al possesso di armi, il sequestro e l’aggressione nell’agosto 2013, ai danni di Massimiliano Angileri, considerato autore di u furto a casa di Giuseppe Fontana, pestaggio che sarebbe stato ordinato da questi con l’aiuto tra gli altri di Bellomo e Giambalvo. A carico di Bellomo anche il trasporto e la detenzione di un ingente quantitativo di sostnza stupefacente. Tra gli atti di accusa l’estorsione imposta ad un ristoratore di castelvetrano, Giovanni Ligambi che nel procedimento risponde di favoreggiamento per avere negato all’autorità giudiziaria l’accaduto. In ultimo il procedimento riguarda anche Andrea Pulizzi, dipendente della motorizzazione che accedendo al sistema informatico avrebbe fornito a Francesco Guttadauro (figlio di Filippo), già arrestato nel corso della prima fase dell’operazione Eden, indicazioni sulla intestazione di una automobile, al fine di accertarsi se fosse stata una vettura in uso alle forze dell’ordine. Eclatante anche alla luce della richiesta di rinvio a giudizio, risulta il ruolo svolto dal consigliere comunale di Castelvetrano Lillo Giambalvo. “Politico a disposizione della cosca più pericolosa che c’è per adesso in Sicilia, quella di Matteo Messina Denaro”.
Giambalvo intercettato è stato ascoltato raccontare ad un altro consigliere comunale, Francesco Martino, Udc, tuttavia non toccato dalle indagini, incontri avvenuti tra il 2009 e il 2010, nelle campagne di contrada Zangara di Castelvetrano, con il super latitante Matteo Messina Denaro. “Abbracci e pianti”. Altri incontri Giambalvo li avrebbe avuti anche in anni precedenti, quando era ancora vivo, e latitante, Francesco Messina Denaro, padre di Matteo e patriarca della mafia belicina, morto nel 1998. Giambalvo così riferì di quegli incontri, uno in occasione di un blitz durante il quale i latitanti riuscirono a farla franca: “Allora prima che lui morisse, un tre mesi prima di morire, io ci sono andato alla casa per scaricare tronconi, aveva che non lo vedevo una cinquina di mesi… c’era un profumo di caffè. Entra Lillo prenditi il caffè, zu Cicciu assabenerica… ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo vedevo mi mettevo a piangere… allora tutto assieme mi sento dire così, senti qua, viene una delle sue figlie e mi dice, Lillo vattene escitene con questo trattore da qua dentro, stanno venendo a fare perquisizione, corri, scappa, vattene Lillo, vattene di corsa, salgo sopra il trattore… loro di colpo chiudono il portone, minchia s’arricugghieru 1000 sbirri… ti giuro, io ho fatto tutta la via, da Castelvetrano a Zangara a piangere, mi sono detto lo hanno arrestato… non lo hanno trovato…”.
E’ ancora Giambalvo a raccontare (voce sempre carpita dalle intercettazioni) che don Ciccio Messina Denaro “trascorreva la latitanza in paese, a Castelvetrano… portava il fazzoletto attaccato… gli faceva due scocche qua, sempre il fazzoletto portava lo zu Cicciu… cappello, coppola e fazzoletto al collo, sempre questo, sempre così lui…. io lo vedevo tutte le settimane”. Ma la parte più eloquente dell’intercettazione è quella di quando Giambalvo ricorda a Martino dell’incontro con l’attuale super latitante Matteo Messina Denaro, l’uomo più ricercato d’Italia: “… tre anni fa, ero a Zangara a caccia, tre anni, quattro anni precisi, quattro anni, ero a Zangara a caccia, loro raccoglievano olive… raccoglievano olive… prendi… a che non lo vedevo da una vita però ha?”. Martino è sorpreso: “Minchia a quello? Minchia”. E Giambalvo scende nei particolari: “… senti, ho preso una lepre che era quattro chili e sei, e l’avevo… nella giacca che mi usciva metà di qua e metà di qua, prendi, mentre camminavo filara, filara… lui nel mentre era andato da mio zio Enzo (Vincenzo La Cascia, campiere dei Messina Denaro e campiere nei terreni della famiglia D’Alì ancora oggi, sorvegliato speciale ndr)… mio zio gli ha detto, se vuoi andare a sparare vai a sparare, mio nipote sopra l’ho sentito sparare può darsi che qualche coniglio lo ha preso dice, acchianaci… lui (Matteo Messina Denaro ndr) sale a piedi da solo come un folle sale verso di me, io non lo avevo riconosciuto a primo acchitto, era invecchiato, mi sono detto, ma questo perché minchia mi cammina appresso… poi ho fatto che mi sono ignuniato nelle filara… e mi sono buttato sotto le zucche… lui salendo a me andava cercando, lui perché non mi ha visto più poi ma quando è arrivato di qua a là … mi ci sono alzato, abbiamo fatto mezz’ora di pianto tutti e due… Lillo come sei cresciuto? Lillo… e io mezz’ora di pianto, e mi voleva fottere la lepre con questa piangiuta, ma io gli ho detto, gli ho detto: stiamo facendo mezz’ora di pianto e ti stai fottendo la lepre gli ho detto”. Giambalvo è accusato di essere “un devoto” dei boss Messina Denaro: «La verità ti dico Ci fossero gli sbirri qua? E dovessi rischiare a metterlo in macchina e fallo scappare, io rischierei. Perché io ci tengo a queste cose. Mi farei per lui 30 anni di carcere». Ma anche il suo interlocutore, il consigliere comunale tutt’ora in carica Francesco Martino, ascoltato dagli investigatori attraverso le “cimici” si è dimostrato affezionato non di meno: «Io una volta l’ho visto, Mi piaceva come personaggio» dice Martino a proposito di don Ciccio Messina Denaro. Giambalvo rispose annuendo: «Tre mesi prima che morisse ci siamo abbracciati e baciati ». Nel fascicolo di indagine al vaglio del gup ci sono anche i verbali con le dichiarazioni degli imprenditori Lorenzo Cimarosa e Giuseppe Amodeo.