Le stragi 23 anni dopo, e Cosa nostra c’è sempre

Falcone borsellinoOggi il ricordo della strage di Capaci dove morirono i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvilo e gli agenti della scorta.

C’è un bellissimo testo scritto dal giudice Alessandra Camassa, portato in scena in diverse occasioni e in molte parte d’Italia, che immagina, teatralizzandolo, un colloquio tra i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992. “La scena si svolge in un luogo chiamato “Casa degli uomini eletti”. Vi si possono trovare personaggi che si sono distinti per coraggio, onestà, dedizione al lavoro, acume ma che non necessariamente erano uomini perfetti. Dunque, non è il paradiso. In questo luogo privilegiato ognuno sceglie liberamente dove collocarsi. Giovanni e Paolo, hanno scelto infatti compagnie diverse: Giovanni si è circondato di amici che lo sanno far ridere e Paolo si è circondato soltanto di giovani. Avevano scelto i due di incontrarsi però ad un certo momento…decidono di rompere quella promessa”.

Questa l’introduzione al testo…non sveliamo altro. Certamente un passaggio interessante è quando i due riconoscono che nonostante tutto il gran lavoro fatto da altri magistrati negli anni avvenire, la disponibilità di nuove attrezzatture e risorse, Cosa nostra è stata colpita ma non è affondata. Anzi. “Le nostre idee, quelle che camminano sulle gambe degli altri, inciampano, Paolo, quanti ostacoli!”.

Già gli ostacoli! All’indomani delle stragi lo Stato rispose duramente, il 41 bis, il carcere duro, le leggi per agevolare le collaborazioni e poi? Oggi si è giunti ad applicare una norma che sottopone i giudici alla responsabilità civile anche durante le indagini ed i processi, le collaborazioni si sono quasi azzerate e quando un collaboratore di giustizia arriva in Tribunale le prime domande delle difese degli imputati mafiosi pongono a far emergere “eventuali trattamenti di favore” ricevuti dalla magistratura, si parla, anzi si sparla dell’antimafia, si tira fuori sempre il famoso articolo di Sciascia, pubblicato il 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera, sui “professionisti dell’antimafia”, articolo che attaccava la nomina di Borsellino a capo della Procura di Marsala, e poi si dimentica che Sciascia sulla presenza della mafia in Sicilia non era andato mai leggero fino ad affermare che “per proteggere la democrazia e la libertà in Italia biosognava combattere ogni giorno una battaglia in Sicilia”.

Sciascia nei suoi racconti aveva ben individuato le strategie mafiose, l’infiltrazione di Cosa nostra nelle istituzioni, fin dentro anche i corpi investigativi. Che è quello che si scopre ogni giorno in Sicilia, quando si fanno gli arresti. O si sequestrano beni. Ecco oggi queste procedure sono sempre messe in forse perchè (rubiamo ancora una volta dal testo dell’immaginario incontro in quella “Casa degli uomini eletti”, tra Falcone e Borsellino) “la politica non ha fatto una scelta nell’interesse della collettività ma tende sempre a proteggere se stessa anche a costo di scendere a patti con la mafia”. Lo ha spiegato il pentito Nino Giuffrè, come i pesci vivono stando in acqua, il rapporto tra la mafia e la politica è lo stesso, la mafia c’è perchè c’è una politica che dà a Cosa nostra da vivere. E Cosa nostra sopravvive ancora perchè nessuno le toglie l’acqua.

Ci sono i politici che continuano a trattare direttamente o indirettamente con la mafia, non c’è stata una trattativa successiva alle stragi del 1992, ma c’è stata una trattativa che va avanti dal 1837, quando il procuratore del Re prefetto Ulloa scriveva ai suoi superiori così di Trapani: “La venalità e la sommissione ai potenti ha lordato le toghe di uomini posti nei più alti uffici della magistratura. Non vi ha impiegato che non sia prostrato al cenno ed al capriccio di un prepotente e che non abbia pensato al tempo stesso a trae profitto dal suo Uffizio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette. Il popolo è venuto a tacita convenzione con i rei”. Sembra di leggere della Trapani di oggi dove la mafia è sommersa, bene infiltrata, dove comanda la mafia borghese, senza bisogno di coppole e lupare, una mafia che ha fatto diventare legale il proprio sistema illegale.

Qui a Trapani continua a regnare quel crocevia misterioso dove, mafia affari politica massoneria servizi segreti hanno regolato la vita non di una città, di una provincia, di una regione, la vita dello Stato. La trattativa ci fu quando il prefetto Mori fu “promosso” dal duce – promoveatur ut amoveatur, procedure conosciuta anche in tempi recenti con il trasferimento alla Dia di Napoli di uno degli investigatori di punta nella lotta alla mafia, il dottor Giuseppe Linares che bene semmai poteva affiancare anche da altro ufficio il lavoro dell’attuale Mobile diretta dal dottor Giovanni Leuci che per fortuna non ha perduto altri pezzi importanti, come quelli che operano nella squadra catturandi che cerca il latitante Matteo Messina Denaro -.

Mori fu tolto di mezzo quando sgominati i criminali cominciò ad interessarsi dei potenti latifondisti. Nel 2001 il prefetto Fulvio Sodano fu rimosso quando cominciò a togliere ai boss i beni confiscati che ancora gestivano per consegnarli come beni utili a produrre ricchezza collettiva alla società civile. La trattativa nello Stato democratico culminò nel luglio del 1950 con la uccisione del bandito Giuliano, la trattativa si è sviluppata negli anni a venire, oggi la trattativa si è sotto processo, per le malefatte di un periodo, ma si ha la sensazione che continui.

Niente più misure severe, niente più mani libere a magistratri e investigatori, oggi poi si torna a parlare di “bavaglio” all’informazione: ma qui il bavaglio certi giornalisti se lo sono già messo, o come contropartita di favori o per ignavia e quieto vivere. Ecco 23 anni dopo le stragi del 1992 e 22 anni dopo le stragi del 1993 la realtà è questa. Per i più la mafia non esiste, e quindi per Cosa nostra è risultata premiante la strategia della sommersione. L’emergenza di combatterla non c’è più! E non è vero che non c’è più emergenza.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.