“Il giornalista cresciuto con i mafiosi” che è diventato uno dei più importanti inviati italiani ha raccontato ieri la sua storia agli studenti dell’Università di Palermo. “Io, killer mancato” è la storia di un ragazzo che ce l’ha fatta.
PALERMO. È stato presentato ieri “Io, killer mancato”, edito da Chiarelettere, il libro del giornalista de “La Repubblica” Francesco Viviano, premiato quattro volte come “cronista dell’ anno”, premio giornalistico Mario Francese, Giuseppe Fava e tanti altri.
Viviano, ha raccontato la sua storia agli studenti dell’Università di Palermo nella sala multimediale della residenza universitaria “San Saverio” proprio nel cuore dell’Albergheria, dove il giornalista è cresciuto e ha iniziato la sua carriera da cronista.
All’incontro, organizzato dal club culturale “Sherwood”, oltre al giornalista Viviano, hanno partecipato Padre Cosimo Scordato, rettore della chiesa di San Saverio e in prima linea contro la dispersione scolastica e l’assistenza ai bambini del quartiere Ballarò e Claudio Arestivo, giovane volontario che si occupa di contrastare la dispersione scolastica nel quartiere Borgo Vecchio.
“Quando abbiamo iniziato, nel lontano 1986, il 42% dei ragazzi del quartiere non arrivava alla terza media. Molti non lavoravano e si “occupavano” di altro. Qui vince la regola del più forte, sono l’ignoranza e le precarie condizioni delle famiglie che portano alla violenza. Per i ragazzi del quartiere non esiste l’Università, ma solo i “colloqui”; il carcere. È importante – sottolinea padre Scordato – seguire e aiutare i bambini. “Nessun destino è già scritto” – che tra l’altro è anche il titolo dell’incontro – Franco è un esempio, ha riciclato la sua provenienza nel suo lavoro.”
“Costruire un futuro diverso è possibile. – ha spiegato Claudio Arestivo – In queste periferie che stanno in centro, noi come volontari, insieme ad altre associazioni e professionisti, da anni cerchiamo di assistere i bambini. Spesso loro si sentono stranieri in casa loro, tatuati da un sentimento di fallimento. Qui i bambini preferiscono giocare tra la spazzatura, piuttosto che andare a scuola. Per questo la scuola deve tornare al centro e mettersi in gioco per dar vita ai quartieri dimenticati”.
Francesco Viviano, in questo libro racconta la sua vita; la vita di un orfano cresciuto nella povertà assoluta, in una Palermo in cui impazzava la guerra di mafia. “Di mio padre non ho ricordi, sono cresciuto all’Albergheria, a Ballarò, a casa dei miei nonni, e poi al Villaggio Ruffini a casa della sorella di mia madre, che per mantenermi ha fatto la donna delle pulizie per tutta la vita”.
Viviano, racconta il momento esatto in cui la sua vita cambiò radicalmente: “mio padre è stato ucciso a 100 metri da qui, io abitavo a 2 metri da qui, nella povertà assoluta. Mio padre fu ucciso perché era andato a rubare dove non doveva. Frequentando le taverne di Ballarò con mio nonno, riuscì un giorno a scoprire la verità sulla morte di mio padre. Dopo una serie di appostamenti, mi presentai armato di pistola sotto casa dell’uomo che aveva ucciso mio padre. Quando vidi l’uomo con un bambino in braccio decisi di non sparare; stavo per fare quello che suo padre aveva fatto a me, avrei rovinato la sua vita e la mia.”
La storia, quella di Viviano, si intreccia con le storie di molti boss dell’epoca. Molti suoi “amici di merenda” sono stati arrestati per mafia o addirittura uccisi. “La mia Università di vita è stata la strada. Mi sono diplomato a 27 anni, dopo aver interrotto bruscamente gli studi per andare a lavorare.” Viviano racconta dei tanti lavori “umili” che ha svolto nella sua vita, fino a diventare uno dei migliori giornalisti italiani, prima all’Ansa di Palermo e poi a “La Repubblica”. “Molti dei miei compagni di giochi – spiega – li ho incontrati in carcere all’Ucciardone durante il Maxi processo.” Viviano è cresciuto con personaggi legati a diverse famiglie mafiose: Madonia, Riccobono, Scaglione, Troia, Liga, Nicoletti, Di Trapani, Davì (diventato il capo mandamento di San Lorenzo), Pedone, Gambino, Bonanno, Micalizzi e Mutolo. Vivevano fianco a fianco.
Rispondendo alle domande degli studenti, Viviano spiega che “non ho mai ricevuto minacce dai miei “amici” ma da altri. Ho più paura delle finta antimafia più che della mafia. Ho avuto più paura qui a Palermo che in guerra in Afghanistan e in Iraq (Viviano è stato anche reporter di guerra, ndr). Mi fanno più paura i collusi, che con la mafia ci vanno a braccetto, e chi utilizza l’antimafia per fare carriera.”