Cosa può pensare l’altro di me se dico quello che penso veramente? Come devo vestirmi per questa occasione? Come devo vestirmi la domenica per andare a passeggio in centro? Posso alzare la mano e dire che non ho capito oppure sarò preso per un idiota? Perché non riesco a dire a tutte queste persone che la pensano allo stesso modo che io non sono d’accordo con loro? La lista delle domande che spesso, anche inconsapevolmente, ci poniamo per evitare il giudizio degli altri, potrebbe continuare. La paura del giudizio degli altri è uno degli elementi più determinanti rispetto allo sviluppo delle nevrosi ed uno degli elementi più schiaccianti rispetto allo sviluppo sano della personalità. Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, già ai primi del novecento, nel suo saggio “il disagio della civiltà”, intuì che l’uomo più tende a civilizzarsi più diventa nevrotico, in quanto la sua massificazione nelle città fa si che si creino delle regole comportamentali che finiscono per far allontanare l’individuo dalla sua dimensione più naturale e personale. È ovvio che per vivere in società sono necessarie delle regole condivise, ma è anche vero che, al di là delle regole per una sana convivenza, poi ne nascono altre che determinano delle sovrastrutture schiaccianti per la libera espressione di sé. Allora la domanda da porsi potrebbe essere: quanto la mia vita e ciò che faccio è impostata su ciò che vorrei veramente da me stesso/a e quanto invece è impostata su ciò che vuole da me la società? Ovvero, quanto i miei comportamenti dipendono da ciò che penso veramente piuttosto che da quello che penso voglia la società da me? In virtù di questo delicato bilanciamento individuo/società, è bene capire dove sta il nostro vero punto di equilibrio. Se l’ago della bilancia pende un po’ troppo sul versante del sociale, forse siamo a rischio di dimenticarci di quelli che siamo veramente, candidandoci per la nevrosi (insoddisfazione di sé, ansia, depressione, ipocondria, disturbi e pensieri ossessivi, ecc.), così come, se l’ago pende troppo nel settore dell’individuo, trascurando il sociale, si rischia di cadere nell’antisocialità e nelle devianze che ne conseguono. Per aiutarci ad una più chiara comprensione del nostro modo di porci rispetto agli altri, potrebbe essere utile la compilazione della sottostante finestra di Johari.
Io conosco di me | Io non conosco di me | |
L’altro conosce di me |
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L’altro non conosce di me |
Come si può vedere, si tratta di una tabella a doppia entrata in cui, il primo quadrante in alto a sinistra, rappresenta la nostra area pubblica (ciò che io conosco di me e ciò che l’altro conosce di me); il quadrante in basso a sinistra rappresenta l’area privata (ciò che io conosco di me e che l’altro non conosce di me); il quadrante in alto a destra rappresenta le nostre spalle, ovvero tutti quei feedback che ci arrivano dagli altri e che noi tendiamo a non ascoltare o a non percepire di noi stessi (ciò che io non conosco di me e che gli altri conoscono di me); infine, il quadrante in basso a destra rappresenta la nostra ombra (ciò che di me non è conosciuto né da me né dagli altri), ovvero quella parte che teniamo nascosta in noi stessi, che potrebbe nascere, fiorire e renderci delle persone migliori, magari più in sintonia con la nostra vera fonte del nostro essere.
Fabio Settipani
Psicologo – Psicoterapeuta