Il parlamentare, sotto processo a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, è il nuovo vice capo gruppo di Forza Italia a palazzo Madama. E’ la risposta di Berlusconi agli attacchi giunti al politico trapanese dopo la débacle elettorale.
L’ex ministro Saverio Romano e il coordinatore regionale di Forza Italia Vincenzo Gibiino erano stati chiari. Il risultato elettorale conseguito da Forza Italia nelle amministrative (riferimento al voto per il Comune di Marsala) era stato così negativo da indurre i due a non utilizzare mezzi termini, per Romano e Gibiino era il momento per il senatore Tonino D’Alì, tornato ad essere, dopo una parentesi nell’Ncd di Alfano, deus ex machina dei berlusconiani trapanesi. Oggi Romano e Gibiino devono prendere atto che probabilmente sono loro i politici dei quali Forza Italia vorrebbe fare a meno. Questo alla luce dell’esito che ha avuto ieri la riunione del gruppo parlamentare dei senatori di Forza Italia. Il senatore trapanese infatti è stato eletto vice capo gruppo a Palazzo Madama, affiancherà così il capo gruppo dei berlusconiani Paolo Romani. Ma non solo. D’Alì oltre a diventare vice capo gruppo ha avuto affidato l’incarico di responsabile dell’ufficio legislativo di Forza Italia, insomma dovrà essere lui ad occuparsi dell’attività parlamentare più saliente. Verrebbe da dire punto e accapo. Berlusconi già al momento del ritorno di D’Alì in Forza Italia, lasciando così il gruppo Ncd, lo aveva accolto a braccia aperte, salutandolo come un figliol prodigo.
Oggi dopo l’attacco giunto a D’Alì dal fronte “interno” siciliano l’ulteriore risposta che dimostra la piena fiducia verso il senatore trapanese. Fiducia piena anche nonostante il processo di appello che D’Alì sta affrontando a Palermo dove è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo di primo grado si è concluso con una condanna “andreottiana”, prescrizione per i fatti contestati sino al gennaio 1993, assoluzione per i fatti successivi a questa data. La Procura ha presentato appello e il procedimento ancora non è partito, è fermo al deposito di nuovi atti di accusa da parte del sostituto procuratore generale Nico Gozzo. A fine settembre le parti si ritroveranno in aula a Palermo per decidere sull’ammissione di questo nuovo faldone composto da oltre 3 mila pagine.
Intanto D’Alì ha incassato questa nuova “promozione”, il suo ruolo nella politica nazionale è ritenuto da Forza Italia indispensabile. Ruolo che nelle aule di giustizia a Palermo si sostiene essere stato, come testimoniano le prove che l’accusa ha presentato alla Corte di Appello che lo sta processando (col rito abbreviato), a disposizione di Cosa nostra. Ovviamente l’imputato e la sua difesa escludono la circostanza, ma restano nubi non dissolte sul rapporto storico che il senatore trapanese ha avuto con la famiglia dei Messina denaro, don Ciccio, il padrino indiscusso sino alla sua morte nel 1998, e Matteo, l’attuale latitante, ricercato dal 1993, il nuovo capo. Paradossalmente per un periodo, dal 2001 al 2006, D’Alì fu sottosegretario al ministero dell’Interno, ad un tiro di schioppo da quelle stanze dove si discuteva delle strategie di ricerca del latitante. Proprio nel periodo in cui D’Alì fu sottosegretario al Viminale, avvenne l’improvviso trasferimento da Trapani ad Agrigento dell’allora prefetto Fulvio Sodano, morto l’anno scorso dopo una grave malattia. Anche questo trasferimento è oggetto di parte degli atti depositati dal pm Gozzo nel processo d’appello in corso a Palermo. Quel trasferimento da Trapani del prefetto Sodano era stato oggetto di alcune chiacchiere tra i boss trapanesi, furono intercettati mentre dicevano che “quel prefetto tinto doveva andarsene”. Il Consiglio dei ministri nel luglio del 2003 prese proprio questa decisione, quando al prefetto Sodano appena 24 ore prima della riunione del Governo era stato assicurato, dall’allora prefetto Mosca, capo di gabinetto del ministro dell’Interno, che da Trapani non si sarebbe mosso e invece per lui giunse l’indomani l’ordine di partire, e presto, per Agrigento.