Quell’anticamera era davvero malfrequentata

carava ciroCondanna in appello per l’ex sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Rapporti pericolosi e incredibile disponibilità. I boss dicevano, “lui recita bene”.

Quell’assoluzione gridava vendetta, giudiziariamente. Perchè era incredibile che un soggetto intercettato a fare “la finta antimafia” finisse poi assolto. Adesso invece è arrivata la condanna, in appello. La Corte di secondo grado di Palermo ha oggi pomeriggio condannato a 9 anni l’ex sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà. L’accusa è quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Caravà finì arrestato il 16 dicembre 2011, a conclusione di una indagine dei carabinieri del comando provinciale di Trapani, l’operazione “Campusbelli”. Era sindaco quando fu arrestato, rieletto per il secondo mandato a furor di popolo. Sebbene già nel corso del primo mandato la sua amministrazione era stata oggetto di una ispezione prefettizia, e ci vollero due ispiezioni, la seconda dopo il blitz antimafia del 2011, per vedere sciolti gli organi politici e amministrativi del Comune. Caravà infatti quando si ricandidò era stato già oggetto della relazione conclusiva dell’allora prefetto Stefano Trotta, che inutilmente aveva chiesto al ministero degli Interni, quando ministro era il leghista Maroni, il commissariamento del Comune belicino per inquinamento mafioso. Alla fine lo scioglimento arrivò dopo qualche anno, firmato dal ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri, accogliendo la proposta che era arrivata dal prefetto Marilisa Magno, succedute frattanto rispettivamente a Maroni e a Trotta. Durante le indagini i carabinieri ebbero modo di ascoltare Caravà scusarsi con i parenti dei mafiosi perchè aveva dovuto partecipare alla consegna di beni a loro confiscati, o ancora interloquire sempre con parenti di boss detenuti interessandosi a dare un contributo economico per aiutarli nelle spese sostenute per andare a trovare i loro congiunti in cella. Nella sua stanza teneva appese le foto di Falcone e Borsellino, ma spesso nella sua anticamera sedeva un noto pregiudicato mafioso, senza che fosse nemmeno dipendente del Comune. E i mafiosi intercettati parlavano di lui come di uno che “recitava bene”. Il processo di appello ha confermato l’assoluzione per gli imprenditori Antonio Moceri e Antonio Tancredi, e con loro del pregiudicato mafioso Leonardo Bonafede, a proposito di una sospettata intestazione fittizia di beni risultata però inesistente anche per i giudici di appello. Riviste le condanne per gli altri imputati. Per tutti nove anni, per Cataldo La Rosa, Simone Mangiaracina, e Gaspare Lipari.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.