Strano anniversario per la strage di via D’Amelio. Più che parlare di Cosa nostra che sempre di più è diventata “stato”, si ciancia su altro. Intelligenti le parole di Carmelo Miceli, segretario del Pd di Palermo e di Salvatore Borsellino
C’ è chi sostiene che la stagione del 1992 è oramai superata. Magistrati e investigatori lavorano tranquilli, si sequestrano e si confiscano i beni ai mafiosi, si fanno gli arresti, arrivano i processi e le condanne. E dunque non bisogna parlare di leggi da far meglio, anzi secondo certuni bisogna allentare la presa, il dibattito parlamentare sul 416 ter ne è prova, concorso esterno, voto di scambio, quando certi politici ne parlano lo fanno al passato, tanto che ci sono voluti quasi tre anni per avere la legge contro la corruzione, “la legge Godot” la definì il presidente del Senato Grasso, una legge da completare dove mancano i mezzi per magistrati e investigaori ma anche per la politica nel suo insieme per rescindere i legami tra mafia, corruzione e politica. Niente più emergenze e così ai giornalisti che scrivono, ancora, di mafia, riusciti a schivare le luparate, oggi piovono addosso le cosidette intimidazioni in nome della legge, querele, citazioni in sede civile, le querele temerarie contro le quali l’amico presidente della Fnsi Santo Della Volpe ha dedicato le sue energie prima di morire. Le intercettazioni finiscono sui giornali? Ecco che puntualmente c’è chi tira fuori dall’archivio delle cose non fatte la famosa “legge bavaglio”. Più di un politico sostiene che la mafia non esiste più e come un giorno disse l’allora sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi, in giro ci sono solo vecchi mafiosi che non fanno danno, salvo poi scoprire, “a sua insaputa”, che sulla poltrona di primo cittadino era stato messo da una congrega fatta di questi “vecchi mafiosi”. Per la verità dobbiamo dire che almeno Sgarbi a differenza di altri sindaci della provincia di trapani, ma non solo, un ragionamento lo fece, può essere condiviso o meno, ma almeno sulla presenza dei mafiosi si deve concordare. Inutile ricordare la sequela di dichiarazioni dei sindaci di “casa nostra” sulla mafia, viene l’orticaria solo a pensarci. C’è chi sostiene che la stagione del 1992 oggi ha provocato ripercussioni delle quali bisogna discutere e discutere parecchio. Chi sostiene questa testi dice che è oggi di antimafia che bisogna (s)parlare.
Noi la pensiamo diversamente. Vi invitiamo a rileggere le cronache giornalistiche di quegli anni, dal 1980 in poi, stragi comprese, e vi renderete colpo d’un tratto di avere l’impressione di leggere delle questioni odierne. Le polemiche nei confronti di magistrati e giudici, gli investigatori lasciati senza mezzi, i problemi per attrezzare le scorte, i palazzi di giustizia violati. Ma siamo sicuri che basta aver visto finire in galera la maggiorparte dei pezzi da 90 delle mafie sparse in Italia, per dire che la mafia è sconfitta? A parte il fatto che all’appello dei detenuti mafiosi manca ancora quella truce figura di Matteo Messina Denaro, il quale ha avuto certamente un ruolo nei giorni della “trattativa”, perchè lui è un esperto di trattative e di…politica, ma quando guardandoci in giro vediamo i mafiosi di un tempo essere diventati imprenditori, ben altra dovrebbe essere la considerazione dei fatti che dovremmo farci. Noi una convinzione precisa ce la siamo fatta. La mafia è oggi più pericolosa di quella esistente all’epoca delle stragi del 1992 e del 1993.
La “trattativa” è andata in porto (così come in porto erano andate le altre degli anni precedenti), oggi la mafia, e i mafiosi, vecchia generazione o nuova generazione, parla meglio con la politica…quando direttamente non fa politica. Gli inciuci mafiosi stanno reggendo bene all’urto che indubbiamente dai Palazzi di Giustizia ci sono stati, così come la mafia seppe reagire al primo processo, il maxi di Palermo, che alzò il coperchio della pentola di Cosa nostra. Anche in quegli anni si facevano i processi, oggi come allora spunta anche qualche “prescrizione/assoluzione” un po’ strana, lo diciamo pensando al processo contro il senatore D’Alì, ogni tanto ci sono fascicoli che si perdono o sotto processo finiscono solo i lacchè e non i veri criminali. In questi giorni c’è chi si ricorderà puntualmente della famosa affermazione di Borsellino a proposito dei politici assolti, ci sono sentenze che per quanto siano di assoluzione riferiscono a chiare lettere di comportamenti che dovrebbero meritare la condanna sotto il profilo etico e morale, ma tanti si ricordano per far passerella di questa affermazione, il resto dei giorni li dedicano spesso a salvare onorabilità palesamente sporche. E dinanzi a questo scenario è allora di antimafia che bisogna (s)parlare o di come difendersi dalla nuova mafia. Siccome le sentenze pochi le leggono, a proposito di nuova mafia, ci sono citati in alcune sentenze passaggi illuminanti, come quelle dedicate alla “nuova” Cosa nostra “fondata” in latitanza da Matteo Messina Denaro. E’ la Cosa nostra due, dove affiliati non ci sono punciuti ma insospettabili, dove solo pochi conoscono l’organigramma così da difendersi da eventuali “pentimenti”, e poi lì dentro scorre tanto denaro. No vi risponderanno, meglio parlare di antimafia…e giù subito le citazioni dei passaggi degli interventi recentissimi di Lucia e Manfredi Borsellino. Per tanti loro hanno preso di petto la rete dell’antimafia, dove si contano professionisti e professionisti che si sono arricchiti, ne vorremmo parlare più compiutamente avendo davanti l’elenco di questi “professionisti”. Noi abbiamo conosciuti altri professionisti, tanti di questi morti ammazzati oppure trasferiti. Ovviamente la dottoressa Lucia e il commissario Manfredi pensiamo che hanno parlato pensando …ad altro e ad altri. Non sarebbero servite le parole del loro zio Salvatore “per avere l’intepretazione autentica di quelle affermazioni”, ma comunque sono state parole illuminanti, tranne che per quei finti sordi che fanno finta di esserlo per non sentire l’anti coro. Perchè il problema vero è questo: contro la mafia non c’è il coro, il coro funziona contro l’antimafia
. E sembra sentire come vive e presenti le parole dei mafiosi quando ascoltando dalla tv, dal notizia di Rtc, targato Mauro Rostagno, le parole di questi rispondevano seccati….”sta mafia, sempre mafia, ma quanno la finisci“. Preferiamo che conosciate le parole di Salvatore Borsellino così come sono state scritte sul sito 19luglio.com, articolo di Antonio Mercurio. Le parole sono state «travisate e dolosamente distorte» e ora rischiano di «colpire e screditare il movimento antimafia». Salvatore ne è sicuro, racconta a MeridioNews di averne avuto conferma direttamente da Manfredi, e che lui stesso ha precisato di non essersi riferito, nell’intervista rilasciata alla Stampa, «all’antimafia vera», quella praticata dalle associazioni che si impegnano tutto l’anno sul territorio. Ma di rivolgersi a quei politici che una «volta l’anno si ricordano di Paolo» e utilizzano «l’antimafia delle parole per fare carriera». «Lucia – sostiene Salvatore Borsellino – ha giustamente ritenuto di dover abbandonare il suo incarico alla Regione perché ha voluto dividere le sue responsabilità da quelle di chi dell’antimafia si elegge a paladino, salvo poi venir fuori comportamenti non appropriati visto che questo Tutino era uno dei pupilli di Crocetta». Per Salvatore, quindi, è giusto attaccare l’antimafia a parole, ma è proprio la generalizzazione e distorsione che respinge e rifiuta: «Sarebbe grave non ci fosse chi come noi si impegna, ad esempio realizzando alla Kalsa, la Casa di Paolo, un centro studi per i giovani a rischio del quartiere. Il resto – aggiunge – sono polemiche vuote». Parole che chiamano in causa la politica. Tanti hanno preferito restare zitti. Ovviamente chi vuole solo “buttare l’acqua sporca con tutto il bambino”.
Una analisi seria, ma non nuova, perchè già espressa ma ora ribadita, è venuta dall’avvocato Carmelo Miceli, segretario provinciale del Pd a Palermo. Non le manda a dire: “C’è una politica, vecchia e logora, che sulla retorica dell’antimafia ha costruito intere carriere… Uomini in grado di disconoscere e dimenticare scientemente le differenze che esistono tra vittima e carnefice, di spettacolarizzare il dolore e, ancora peggio, di farsi scudo dei figli dei martiri. Uomini che hanno reso possibile affermare che “se tutto è mafia niente è mafia” e, nel contempo, che “se tutto è antimafia niente è antimafia”… Una politica che ha reso la parola “antimafia” un termine etereo, indefinito, pericolosamente strumentale“. E Miceli continua. “Attenzione però. Se la politica dell’antimafia di facciata ha fatto e continua a fare danni pesanti, guai a dimenticare che in Sicilia, per troppo tempo, ha governato la politica dei “non antimafiosi… È questa la politica di coloro che hanno sostenuto, e sostengono tutt’ora, che la mafia non esiste e non è mai esistita; che dicono che se la mafia è esistita è già stata battuta; che, quando sono costretti a riconoscere che la mafia è tutt’altro che battuta, preferiscono dire che è meglio non parlarne, perché parlandone la si rende più forte… Difficile dire quale, tra la politica “dell’antimafia di facciata” e quella “dei non antimafiosi” abbia fatto più danni alla nostra amata Isola. Agevole, invece, capire che l’una è il completamento dell’altra. Che entrambe sono, drammaticamente, due facce della stessa medaglia… Dunque? Ha forse ragione chi dice che la politica è tutta uguale e che i politici, nella migliore delle ipotesi, sono tutti conniventi? ASSOLUTAMENTE NO. No, perché c’è politica e Politica. Perché anche e soprattutto in Sicilia esiste la Politica che studia il passato per comprendere il presente e anticipare il futuro; che sa che nella nostra martoriata terra, per capire e fare un po’ di più, occorre parlare di “cosa nostra” e “stidda”, non solo di mafia in senso lato; che è consapevole che la mafia esiste ancora, è ancora forte e, probabilmente, sta tornando ad essere violenta con il preciso fine di ricreare il clima di insicurezza e terrore dei primi anni ottanta; che riconosce che c’è una mafia evoluta, una mafia “S.P.A.”, che si combatte facendo in modo che i mercati diventino impermeabili ai capitali di illecita provenienza; che è convinta la denuncia debba essere conveniente per le vittime, non per il politico e che, invece, è consapevole che, troppo spesso, l’isolamento delle vittime comincia proprio con la loro denuncia; che è convinta che la Scuola deve essere sempre di più il primo e fondamentale strumento di lotta alle “mafie”; che è convinta che la lotta “alle mafie” altro non è che un dovere civico, prerogativa essenziale e inderogabile (quindi non eccezionale) di qualsivoglia mandato, lavoro o professione. Una Politica, questa, che partecipa alle commemorazioni soltanto per ricordare, non per apparire, e che, talvolta, ricorda lavorando; che non vuole essere classificata “politica della buona antimafia” perché preferisce essere chiamata soltanto Politica. Si, Politica, ma con tanto di “P” maiuscola“. Sottoscriviamo queste parole. Sono anche le nostre. E prima che qualche sciocco parli a vanvera sollevando “mie” incompatibilità con lo scritto dell’avv. Miceli, dico subito che lui è il mio difensore nei processi dove devo rispondere di reati come quello della diffamazione “alla reputazione” del boss mafioso ergastolano Mariano Agate, e per la pubblicazione di intercettazioni telefoniche…di una indagine chiusa. Sono onorato del fatto che ha accettato di adempiere alla mia difesa. Sono onorato di averlo come Amico. Sono onorato di avere come Amico un Politico con la P maiuscola e che ha condiviso non solo con me ma con tanti la politica dell’Antimafia, anche questa con la A maiuscola.