Quei vini dalle etichette con un certo sapore da… onorata società

Polizia e Finanza mettono a segno un sequestro da 13 milioni di euro. Colpito l’imprenditore di Paceco Vito Marino, figlio di mafioso, e imputato con suo cugino Salvatore Marino per l’uccisione della famiglia Cottarelli, strage compiuta a Brescia nell’agosto 2006. Ma tra i nomi dell’indagine ci sono anche…

Quando nei giorni caldi del crac del gruppo belicino 6 Gdo/Despar, dopo la confisca fatta ai suoi proprietari, Giuseppe Grigoli e Matteo Messina Denaro, ad un certo punto nell’ufficio dell’amministratore giudiziario (o forse anche nella stanza di un ufficio del Tribunale) fecero la loro comparsa due personaggi, Paolo Ruggirello, classe 1970, per distinguerlo da suo cugino omonimo attuale deputato del Pd all’Ars, e Aldo Ranno. Offrivano la soluzione per evitare il fallimento. Passare parte della catena commericale Despar nel trapanese alla società Ma.Mo.: oggi si scopre che quella società era sotto il controllo di una persona che non è ritenuta dai pm uno stinco di santo, si tratta di quel Vito Marino, figlio del boss mafioso Mommo u nanu, al secolo Girolamo che nel 1986 fu ammazzato da Matteo Messina Denaro. Si tratta dello stesso Vito Marino che con suo cugino Salvatore è ritenuto dalla Procura di Brescia l’autore della strage della famiglia di Angelo Cottarelli. Un triplice omicidio scoperto il 26 agosto 2006 nella casa bresciana di Cottarelli. Angelo sarebbe stato un fornitore di fatture false a Vito Marino, che ritenendolo suo debitore per 1 milione di euro avrebbe sgozzato con l’aiuto del cugino, un pastore, l’uomo, la moglie e il figlio dopo un violento litigio. Da Paceco a Brescia proprio con l’intenzione di fare piazza pulita dei Cottarelli. Angelo doveva essere punito, le altre due vittime sarebbero stati scomodi testimoni. La Cassazione per due volte ha però cancellato le condanne all’ergastolo, a Milano sta riprendendo il terzo processo di appello. Per sfuggire all’arresto per questro triplice delitto Vito Marino restò per un periodo latitante, e durante la latitanza si prendeva ancora cura dalla “Ma.Mo.” anche quando la si candidò a subentrare ai Despar dei mafiosi Grigoli e Messina Denaro. Oggi c’è anche la “Ma.Mo.” nell’elenco di società finite oggi sotto sequestro. Un sequestro da 13 milioni di euro, deciso dal Tribunale delle misure di prevenzione su richiesta della Procura e della Questura di Trapani, che priva Marino del suo impero e sopratutto svela il volto di almeno alcuni dei suoi prestanome. Un sequestro che fa seguito all’indagine della Procura di Trapani su una maxi truffa allo Stato e all’Unione europea da 29 milioni di euro nella quale c’era anche tra i tanti denunciati il nome di Angelo Cottarelli. Stamane agenti di Polizia della Divisione Anticrimine della Questura e Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani stanno eseguendo, in Trapani e Paceco, il sequestro anticipato di beni ai fini della confisca per un valore stimato di circa 13 milioni di euro, nei confronti anche dei familiari di Vito Marino, della moglie Tiziana Sugamiele, 47 anni, e dei loro congiunti Girolamo , Salvatore e Maurizio Marino, rispettivamente di 23, 51 e 47 anni. Coinvolti sono anche Mario e Saveria Anna Morello, di 52 e 47 anni, e Antonio Giliberto di 32 anni. Tutti pacecoti. Il sequestro preventivo arriva a conclusione di particolari indagini condotte dallaDivisione Anticrimine della Questura, e dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani, mediante la costituzione di un apposito “Gruppo di Lavoro”. Non di meno rilevante il contributo arrivato dalla Squadra Mobile di Trapani. Alla truffa si è aggiunta la intestazione fittizia di beni. Il cuore delle indagini riguarda una serie di imprese “cartiere” servite a mettere in atto la maxi truffa: le società coinvolte sono la VIGNA VERDE S.R.L., OLEARIA PACHECO Soc. Coop. a r.l. e CERALSEED S.R.L, la società commerciale MA.MO. S.R.L., dai nomi dei proprietari Vito Marino e Anna Saveria e Mario Morello.Nell’indagine odierna c’è anche Antonio Giliberto, avrebbe fatto da prestanome invece per la società TENUTE KARUSHIA S.R.L. Il sequestro riguarda: 40 beni immobili, 5 beni mobili registrati, 13 società/imprese, 33 tra conti correnti e rapporti bancari di altra natura. Uno dei progetti di Vito Marino era quello di commercializzare vini con etichette che forse avrebbero dovuto far capire con chi si aveva a che fare, “Malandrino”, “Baciamo le mani”, “Ciri Ciuri” e “Maria Carmela”. Era tutto pronto ma nel 2006 scattò la prima indagine e un primo sequestro. Attorno a quei vini era cresciuta una truffa allo Stato e all’Unione europea da 29 milioni di euro. Un fiume di soldi inghiottiti dalle imprese di Vito Marino, delle vere e proprie scatole vuote. Nell’indagine per cosi dire “madre” tra i nomi dei “citati” compare anche quello dell’on. Paolo Ruggirello, anche lui per sue imprese avrebbe attinto allo stesso filone. In una indagine parallela era indagato suo cognato, Vito Augugliaro, morto però durante l’inchiesta. Ma in quell’indagine c’erano anche altri nomi eccellenti. Come quello dell’allora presidente della Regione Totò Cuffaro, i cui vini prodotti dalla cantina intestata alla moglie, la tenuta Chiarelli, vennero trovati custoditi in uno dei tanti magazzini nella disponibilità dei Marino. A Cuffaro i Marino sarebbero arrivati attraverso un commercialista trapanese Francesco Tartamella, ritenuto dagli inquirenti a suo tempo una delle menti della truffa. Tartamella sarebbe arrivato a Cuffaro attraverso uno dei consulenti del governatore Cuffaro, Salvatore Calvanico. Ma i risvolti non si fermano qui. La commissione nazionale antimafia all’epoca presieduta dall’on. Francesco Forgione scoprì che nonostante quella indagine il ministero per lo Sviluppo Industriale e la Regione Sicilia continuavano ad erogare finanziamenti a Vito Marino. Nessuna mano dei burocrati regionali e nazionali lo aveva tolto dalle graduatorie di finanziamento. Eppure i poliziotti della Squadra Mobile di Trapani erano andati a sequestrare copie di quelle carte. Quei burocrati non poterono dire di non sapere quando si scoprì che non erano stati chiusi come doveva essere i rubinetti degli stanziamenti.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.