Rocky, l’amico fidato di Matteo Messina Denaro

Giuseppe-FontanaAncora i retroscena del blitz antimafia Ermes. Giuseppe Fontana accompagnava il boss nei suoi viaggi, è stato in carcere per traffico internazionale di droga, tornato libero avrebbe ricevuto i pizzini del capo mafia. Intanto nel ristorante gestito dal padre di Fontana, il sindaco di Castelvetrano va a festeggiare.

Sulla strada che conduce a Selinunte c’è un ristorante che non passa inosservato, una sorta di maniero, un castello, che bene si offre al turista, si presenta accogliente e anche comodo per la frescura che c’è intorno. Evitiamo di dire il nome, faremo una pubblicità che per mestiere non c’è consentito fare. Diciamo soltanto che scorrendo le pagine della storia mafiosa di Castelvetrano, questo locale in alcune e non rare occasioni è citato. Perché ricondotto a Giuseppe Fontana, detto Rocky.

Un soggetto che nel tempo si è presentato come anarchico e come tante altre cose, che intanto però non disdiceva un’amicizia forte con il boss Matteo Messina Denaro. Fontana, arrestato per indagini su mafia, traffici di droga, traffico di reperti archeologici e opere d’arte, ha anche scelto di rappresentare, come Matteo Messina Denaro, la figura del perseguitato, “sono prigioniero di Stato” disse quando la Procura di Reggio Calabria lo arrestò nell’ambito di un’indagine, partita dalla Squadra Mobile di Trapani, su un traffico internazionale di droga. Era uscito da poco tempo dal carcere, dopo avere scontato una ventennale condanna per traffico internazionale di droga.

Quando era libero, il quartiere generale di Giuseppe “Rocky” Fontana era quel ristorante, così hanno raccontato collaboratori di giustizia e anche alcune donne che si sono accorte tardi che c’era la mafia dietro quel giro di ragazzi che le avevano piacevolmente coinvolte nelle estati selinuntine tra la fine degli anni ’70 e’80, ragazzi ai quali era permesso tutto, e tra questi c’erano Fontana, Messina denaro, tali Luminario, Garamella e altri, molto bravi a essere arroganti, giovani dalle facili sopraffazioni nonché sbeffeggiamenti vari, giovani pronti ad uccidere anche per uno sguardo mal posto come accadde al direttore di un noto albergo di Selinunte, fatto uccidere a Palermo da Matteo Messina Denaro che aveva subito da questi l’onta di essere messo alla porta.PhotoGrid_1439986418375

Bartolomeo Addolorato, collaboratore di giustizia mazarese a proposito degli incontri in questo ristorante ha fatto mettere a verbale quanto segue: “In questo ristorante mi sono recato spessissime volte e vi ho potuto incontrare Francesco Ebreo, Giuseppe Fontana entrambi  di Castelvetrano e coinvolti sia nel traffico di sostanze stupefacenti che nel traffico di armi, i fratelli Ragolia mafiosi di Partanna,  Pino Asaro detto “Piantala” di Mazara del Vallo, nonché altri personaggi di spessore dell’ambiente del traffico di stupefacenti”. Altro teste, Filippo sala nell’ambito di un’indagine antimafia nel confermare la conoscenza con Fontana, raccontava che lo aveva visto nel suo ristorante assieme a un soggetto palermitano, Filippo Guttadauro, genero di don Ciccio Messina denaro e cognato quindi di Matteo per avere sposato una delle sorelle del boss.

Guttadauro non è solo questo, è anche boss di Brancaccio, il rione palermitano storicamente controllato dai mafiosi fratelli Graviano, non chè fratello di quel medico, Giuseppe, l’amico degli amici e amico dell’ex governatore Totò Cuffaro. Una delle donne diventate importanti testimoni ha ancora raccontato ai magistrati: «Solitamente, con il Garamella andavamo a cena nel ristorante…di Selinunte, che credo appartenga al padre del Fontana; qui si intratteneva con il Giuseppe FONTANA. In un paio di occasioni mi colpì la circostanza che mentre eravamo seduti il Garamella e il Fontana si appartavano a parlare con persone che li venivano a chiamare al tavolo”. Questo per citare alcuni passaggi che toccano l’utilizzo che in parte è stato fatto di questo locale da parte della consorteria mafiosa. Questo per dire che potrebbe essere stata una “scelta infelice” quella del sindaco di Castelvetrano, avv. Felice Errante, di consegnare un attestato al titolare del locale, il genitore di Giuseppe Fontana (la licenza commerciale del locale è intestata a Ignazio Fontana & figli), perché alla fine si compiono gesti che si prestano ad altre interpretazioni, che se, poi così pubblicizzate sulla rete, sono alla portata di tutti e magari qualcuno potrebbe capire ciò che invece sicuramente non c’è, a parte, pensiamo, la “infelice scelta”. E poi. Certamente casuale la data scelta per consegnare l’attestato, 26 aprile 2015…il giorno del compleanno del sanguinario e assassino boss latitante Matteo Messina Denaro.

Tutto registrato e perfettamente visibile su internet. Doppia scelta infelice. Magari potrebbe essere più utile nel giorno del 26 aprile dedicarsi al ricordo di chi da Matteo Messina Denaro è stato ucciso. Volete qualche nome? Ve ne faccio tre: Nadia e Caterina Nencioni, di 9 anni e 50 giorni straziate il 27 maggio del 1993 dal tritolo mafioso portato da Messina Denaro in via dei Georgofili, fin sotto gli Uffici a Firenze, oppure Giuseppe Di Matteo, ucciso perché figlio di un collaboratore di giustizia, aveva 13 anni quando fu rapito il 23 novembre del 1993 e ucciso l’11 gennaio del 1996, strangolato e sciolto nell’acido. Andrebbero ricordati ogni 26 aprile nella città dove è nato Matteo Messina Denaro e dove regna la sua consorteria mafiosa, in mezzo a tanta gente perbene che però non è sostenuta verso una vera e convinta indignazione, perché la politica manda messaggi sbagliati e perché ad ogni giro di ruota c’è sempre un politico che finisce in cella (come il sindacalista Santo Sacco o Lillo Giambalvo che non sapeva di essere intercettato mentre raccontava ad un altro consigliere comunale i suoi toccanti e commoventi incontri con i boss latitanti, padre e figlio, don Ciccio e don Matteo) e che non si capisce come mai sono politici ad un tiro di schioppo dalle stanze dove si gestisce la cosa pubblica.

Quando il sindaco di Castelvetrano è andato a consegnare l’attestato di benemerenza da pochi mesi il figlio e socio del titolare, Giuseppe Fontana, era stato riarrestato. Per un furto subito (il padre lo aveva denunciato) non aveva esitato ad incolpare un piccolo ladruncolo di paese, ordinandone il pestaggio. Per lui il pm ha chiesto una condanna a 5 anni e 4 mesi, il processo è ancora in corso. Nelle carte invece dell’ultima operazione antimafia Ermes di lui si parla come di un soggetto che tra le mani avrebbe avuto uno o più pizzini di Matteo Messina Denaro.  Rocky è uno che tiene all’amicizia e in particolare a quella con Matteo Messina Denaro, il capo mafia latitante dal 1993 e con il quale Fontana ha condiviso tante cose. I viaggi per esempio. C’era lui quanto Matteo andava in Svizzera oppure andava con lui in Austria  quando Messina denaro si ritrovò a dovere incontrare una delle sue donne che intanto veniva sentita dalla Polizia “curiosa”  di conoscere qualcosa di più di quella frequentazione. Mesi prima di essere riarrestato, novembre 2014, in un blitz dei carabinieri, le indagini recenti di Ermes raccontano che si sarebbe dato da fare anche lui con i “pizzini” el boss.

Si ricorderà che in cella sono finiti non solo “pizzinari” ma anche i capi delle famiglie mafiose del Belice, Vito Gondola, successore del defunto Mariano Agate a Mazara, Michele Gucciardi capo della famiglia di Salemi, Pietro Giambalvo, boss a Santa Ninfa, Domenico Scimonelli, capo della cosca di Partanna. Un paio di intercettazioni hanno tradito Fontana. Un giorno, il 29 giugno 2013, Gucciardi si confida al solito con Vito Gondola:  Anche perchè io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo, perchè … tre giorni addietro è venuto da me Fontana e lo ha mandato da me Pino Ingoglia e siccome lo sapevo solo io …quello venne e mi scrisse dice “Michè”, mi disse “mi rivolgo a te per parlare con quello per uno pseudonimo…che gli diciamo noialtri … dammi un otto giorni di tempo ma perché, tu è assai che hai questo coso … “no” dice: “ieri, l’altro ieri”. Infatti me lo immaginavo… dissi… con la stessa… con  la stessa carrozza arrivaru…”. Tradotto, Fontana avrebbe ricevuto un pizzino da Matteo Messina Denaro nello stesso periodo in cui altri pizzini erano arrivati a Gondola e soci e dunque chiedeva Gondola un pseudonimo per potere rispondere al caro amico.

Annotano gli investigatori: “Si ritiene che il Fontana dopo la scarcerazione, abbia ricevuto della corrispondenza dal Messina Denaro Matteo il quale, in risposta, lo aveva invitato a rivolgersi, per la veicolazione della stessa messaggeria, al Gucciardi. Indubbio, quindi, che il capomafia salemitano rappresentasse, per il latitante, un prezioso cardine di riferimento avendo assunto, ormai come inconfutabilmente emerso, funzioni di collegamento epistolare con gli altri accoliti dell’organizzazione criminale capeggiata dal medesimo ricercato…La “carrozza”, come è agevole desumere, era giunta da alcuni giorni. Fontana Giuseppe, invero, si era presentato al Gucciardi tre giorni prima e risultava in possesso di un pizzino a lui pervenuto da non più di due giorni (Gucciardi: “… tu è assai che hai questo coso … “no” dice: “ieri, l’altro ieri”. Infatti me lo immaginavo… dissi… con la stessa… con  la stessa carrozza arrivaru…”)..

Con altrettanta chiarezza Gucciardi ha rivelato che, nell’ambito dell’articolato e rigoroso sistema di comunicazione epistolare che qui occupa, gli estensori ed i destinatari dei pizzini  vengono menzionati mediante l’indicazione del nominativo convenzionale loro rispettivamente attribuito.  con il latitante  (Gucciardi: … dice Michè, mi disse mi rivolgo a te per parlare con quello per uno pseudonimo… dice che … che gli diciamo noialtri…)”. A questa storia non aggiungiamo altro. Siamo ancora una volta dinanzi a gravi disattenzioni sebbene con evidenza si è raccontato in questi anni delle malefatte del clan di Matteo Messina Denaro. Vi offriamo una chicca. Nei progetti di Giuseppe Fontana c’era quello di costruire a Selinunte un lussuoso albergo con tanto di elipista. Quando Fontana fu arrestato per traffico internazionale di droga a casa sua gli agenti trovarono un fax proveniente dalla Svizzera, “indirizzato a lui in cui si faceva cenno ad un grossissimo complesso turistico-alberghiero con annesso eliporto, che secondo un programma non meglio definito sarebbe dovuto sorgere in Selinunte, con relativo investimento di svariati miliardi di lire”. Non c’è dubbio tutto questo sempre nel segno del buon nome da dare a Selinunte…

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.