L’esperienza fatta in giro per la Sicilia, una terra bellissima dove con coraggio si resiste alla mafia
di Michele Rallo
Ho appena fatto uno dei più bei viaggi della mia vita. Un viaggio che mi è entrato sotto pelle, perchè fatto nella terra mia, la Sicilia, con la mia bicicletta, un carrellino dove mi portavo la tenda e il sacco a pelo e la strada. Ho conquistato ideologicamente ogni centimetro dei più dei mille chilometri percorsi, li ho sudati, e adesso sento questa terra ancora più mia, mi scorre sotto pelle. Ho visto la bellezza della Sicilia, anche sopratutto quella nascosta, quella che c’è ma è difficile da arrivarci. Ho visto Licata con gli occhi di chi vi abita, le sue scogliere, le sue falesie, le spiagge lunghe chilometri, i suoi quartieri ancora autenticamente popolari, dove si parla un gergo che cambia da rione a rione, ho visto il castello, sentito il calore della gente autentica che ti accoglie, il carattere barocco tutto siciliano. Sopra dal castello di Licata, al tramonto, mentre guardavamo la città, una giovane ragazza di nome Laura mi racconta della sua città, del bianco e del nero. Mi ha trasmesso bene quel suo senso di soffocamento di oppressione che questo luogo esercita sui suoi giovani, su di lei, gli stessi che vorrebbero fare qualcosa per questo luogo che sentono proprio nel bene e nel male. Le sue parole mi hanno reso vivo quel senso di rabbia, alle volte tanto difficile da trasformare in azioni positive, in bellezza dell’impegno, in rifiuto all’indifferenza
quotidiana al degrado. La stessa sensazione la ricevo quando vado a trovare i miei fraterni amici di Castellammare di Stabia e Gragnano a Napoli. Un posto meraviglioso, come lo è Licata in Sicilia, con potenziali enormi per avviare quel cambiamento che tanto viene sognato dagli stessi giovani della città. Giovani che non vogliono arrendersi alle sole potenzialità della loro città e dover scappare via dalla loro terra per cercare il lavoro che non c’è. Castellammare come Licata, due luoghi belli, tenuti oppressi da una politica sciatta, non lungimirante e troppo spesso serva di quelle organizzazioni criminali chiamate mafia, camorra e stidda. Queste ultime sono delle chimere per tanti giovani che vi vedono la strada più facile e breve per arrivare al successo, ma nella realtà sono solo abbagli. Queste organizzazioni sono quelle che permettono solo a pochi nomi di lavorare, sono loro che tengono soffocati gli imprenditori perchè devono sottostare alle regole da loro dettate, sono loro che non permettono uno sviluppo turistico di questi luoghi, sol perchè il territorio deve essere a loro disposizione. Solo loro possono dire quello che farne, quindi una discarica a cielo aperto, o una lottizzazione abusiva, o un complesso turistico. Sono loro a rappresentare lo stato in quei territori, perchè il primo obbiettivo delle mafie è quello di sostituirsi ad esso. Ma che si deve fare per fermare tutto ciò, questa domanda la leggo sui volti di Laura, Peppe, Cristian e degli altri giovani che la strada mi ha fatto incontrare, per cercare invertire la rotta, per non rimanere
vittime allo stesso tempo dell’impegno sociale rimanendo schiacciati dalla stessa società, che sembra quasi non volerti, emarginandoti perchè differente. Non ho la risposta per Laura, che tanto si sente soffocare oppressa
dalla sua citta, non so neanche cosa dire ai miei fraterni amici di Gragnano e Castellammare, che ogni giorno si battono per vincere il degrado sociale che si vive quotidianamente in quei luoghi, non so neanche che risposta dare ad Alex Zanotelli, quando conversando nella sua piccola casa mi dice che oggi noi tutti, i giovani soprattutto hanno per acquisita la Pace. Quando invece bisognerebbe parlarne e parlarne ancora. O forse è nella parola Pace che si racchiude il senso di quanto ho vissuto nel mio viaggio. Sulle strade della Sicilia o attraversando il quartiere della sanità e Scampia di Napoli con Cristian, di soli sedici anni. Attraversando la piazza della sanità davanti la chiesa, per andare a trovare padre Zanotelli si trova un ulivo. Quell’ulivo è un piccolo santuario che ricorda il sangue di guerra che ha versato il piccolo Genny Cesarano, di soli un anno in più di Cristian, ne aveva diciassette. Cristian si è soffermato davanti la lapide di Genny che ricorda che qui come in Siria e in altre parti del mondo non c’è pace, ma è in corso una guerra. I giorni successivi a quella terribile uccisione, la brava gente della sanità si è ribellata, è scesa in piazza manifestando il loro bisogno di pace. Alla testa del corteo capeggiava uno striscione con la scritta NO CAMORRA. Un cero acceso è stato fatto passare di mano in mano e ciascuno ha detto al suo vicino passandogli in segno di “CORAGGIO; ALZIAMO LA TESTA”. Questa è la risposta che cercavo.