Il caso dei funerali a Castelvetrano della vedova Panicola, con gli applausi riservati al figlio, boss di mafia, non è l’unico esempio di come nel trapanese parte della società non vuol contrastare la mafia
Gli “applausi” della folla al boss Vincenzo Panicola mentre veniva scortato dalla Polizia Penitenziaria verso la chiesa di Castelvetrano per partecipare ai funerali della madre Lucia Bonanno non è che l’ultimo dei casi. Un paio di settimane addietro a Palermo un intero quartiere si precipitò a salutare il boss Salvatore Profeta mentre veniva portato via in piena notte dai poliziotti della Squadra Mobile di Palermo. Un anno addietro altro funerale e altri applausi stavolta a Castellammare del Golfo, rivolti a Diego Rugeri, anche lui al suo arrivo in chiesa con la Polizia Penitenziaria, stavolta non solo applausi ma anche abbracci e baci. Per non ricordare poi le processioni religiose che finiscono talvolta con omaggiare più il boss che il Santo. Accadde tempo addietro a Campobello di Mazara, quando era sindaco quel tale Ciro Caravà finito condannato per mafia, la processione in quel caso fece tappa davanti casa di Francesco Luppino, detto, dai mafiosi, lo zio Franco, anche lui destinato poco dopo agli arresti, scoperto essere uno dei tanti “ufficiali di collegamento” tra il territorio e il latitante Matteo Messina Denaro. L’episodio dello “zio Franco” è citato nella relazione che ha condotto allo scioglimento per inquinamento mafioso del Comune di Campobello di Mazara. Andando indietro nel tempo fu dedicata a un altro mafioso, Filippo Guttadauro, l’accoglienza di sabato scorso dedicata al giovane mafioso rampante Vincenzo Panicola, cognato del latitante Messina Denaro, marito di Patrizia, soprannominata “a curta”, anche lei oggi in carcere: Vincenzo Panicola è mafioso e figlio di mafioso, di Vito, ex consigliere provinciale a Trapani , politico eletto sempre nella Dc, morto all’ergastolo che scontava per avere ucciso per sbaglio, in un agguato di mafia, il figlio Giovanni che lo avrebbe dovuto spalleggiare nella uccisione di Giovanni Ingrasciotta, sopravvissuto e diventato collaboratore di giustizia. Erano esattamente i giorni di fine novembre del 1998, a Filippo Guttadauro, boss di Bagheria, cognato di Matteo Messina Denaro, perché marito di Rosalia Messina Denaro, fu concesso il permesso di uscire sotto scorta dal carcere per partecipare ai funerali del suocero, il potente patriarca del Belice Francesco Messina Denaro, morto di crepacuore durante la latitanza alla notizia dell’arresto del suo primogenito, Salvatore, coinvolto nell’operazione antimafia “Progetto Belice”. Alla gente fu impedito l’ingresso al cimitero per i funerali vietati al “patriarca”, tanti attesero fuori a salutare l’ingresso del parenti del padrino di Castelvetrano, e salutarono anche l’arrivo in manette di Filippo Guttadauro. Possiamo ricordare altri funerali affollati, come quello del boss di Borgo Madonna, Calogero Minore, con tanto di cronaca finita stampata sul Giornale di Sicilia, quasi a segnare la commozione dei partecipanti, a sottolineare, senza commento critico i negozi del rione chiusi in coincidenza dei funerali. Andando avanti e indietro nel tempo i segnali di riverenza espressi da quella società che solo impropriamente possiamo chiamare civile, nei confronti della mafia, si scopre essere sempre gli stessi. La società civile avrà le sue colpe, ma i veri colpevoli sono altri. Sono i politici parolai contro la mafia, sono coloro i quali non esercitano una antimafia responsabile e con responsabilità, sono coloro i quali dicono che l’etica non serve, sono i mafiosi stessi che alimentano le peggiori idolatrie. E’ quella informazione che davanti al fatto preferisce girare il volto dall’altra parte, chiude i taccuini o peggio si presta a raccogliere la protesta del colletto bianco, del mafioso o paramafioso di turno, rivolta a quell’altro giornalista. E’ l’informazione che si presenta col volto pulito di chi dice di essere dalla parte dell’antimafia e poi sottobanco cerca appoggi magari per qualche impresa chiacchierata. E’ un corollario di cose che piovono addosso alla società che così non coglie anche i pur deboli ma presenti segnali di cambiamento e di avversione contro Cosa nostra. Ad essere colpevole è il politico, il sindaco, l’amministratore che, per esempio, dinanzi a casi come quello dei funerali della vedova Panicola preferisce tacere. Noi abbiamo scelto di non tacere. Abbiamo filmato e vi diamo il prodotto realizzato, nelle immagini si vede Vincenzo Panicola scendere dal furgone della Penitenziaria e nell’avviarsi verso la Chiesa di San Giovanni, raccogliere gli applausi di chi lo aspettava. Poi magari ci si dice scandalizzati quando qualche giornalista scrive che a Castelvetrano c’è ancora una società che rende ossequi ai mafiosi. Si dice che i giornalisti infangano la città, quando a infangarla sono state quelle persone che sabato scorso davanti alla chiesa di San Giovanni hanno applaudito il boss Vincenzo Panicola. Una espressione della società, ma preoccupa il silenzio dell’altra parte della società. Stare in silenzio, minimizzare i fatti, o peggio denigrare chi li racconta non significa certo essere mafiosi, ma ciò indirettamente produce un ulteriore vantaggio a Cosa nostra che potrà sempre dire come nessuno, solo qualcuno, ha mai gridato contro al suo indirizzo, che lo squallore mafioso resiste senza contrasto alcuno. Tra la mafia e l’antimafia non può esistere una posizione terza. I mafiosi, lo ripetiamo, vivi o morti che siano sono solo dei pezzi di merda..Matteo Messina Denaro in testa…e però fa male talvolta vedere chi applaude e sostiene che la merda possa fare buon odore.