Si è spenta ieri sera a Catania Elena Fava, 65 anni, figlia del giornalista Giuseppe, ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984.
“Da alcuni mesi – rivela il fratello Claudio, vice presidente della commissione Antimafia – soffriva di un tumore. Fino agli ultimi giorni abbiamo sperato di potere vincere”. I funerali si terranno domani 23 dicembre alle 10:00 nella chiesa di Ognina. La salma sarà poi tumulata nella cappella di famiglia a Palazzolo Acredide, accanto al padre.
“Una donna coraggiosa, lucida, onesta” si legge in un post pubblicato nel profilo Facebook dell’Associazione Libera. Sempre in prima linea nella lotta antimafia: presidente della Fondazione Fava, nata nel 2002 con l’intento di mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava attraverso la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, dagli articoli di giornale alle inchieste, ai libri, ai testi teatrali; la ripubblicazione dei principali libri di Fava; ma sopratutto attraverso l’educazione antimafia nelle scuole e la promozione di attività culturali che coinvolgano gli stessi giovani, sollecitandoli a raccontare la “loro Sicilia”.
In un’intervista rilasciata ad Angela Caponnetto per Rai News 24, Elena ha raccontato la storia della sua fondazione: “Qualcosa di positivo noi siamo riusciti a farlo, non solo come fondazione, con la rabbia, la grinta e la voglia di rimanere in questa città, perchè sia una memoria e un monito per tutti. Perchè Catania è una città che ha la memoria corta”.
Elena fa riferimento all’intera storia processuale del padre, ucciso alle ore 21.30 del 5 gennaio 1984 mentre stava scendendo dalla sua Renault 5, dopo aver da poco lasciato la redazione del suo giornale. Giuseppe Fava venne raggiunto alla nuca da 5 proiettili. Inizialmente, l’omicidio venne etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa sia dalla polizia. Si disse che la pistola utilizzata non fosse tra quelle solitamente impiegate in delitti di stampo mafioso. Si iniziò anche a cercare tra le carte de I Siciliani, in cerca di prove: un’altra ipotesi fu quella del movente economico, per le difficoltà in cui versava la rivista.
Anche le istituzioni, in primis il sindaco Angelo Munzone, diedero peso a questa tesi, tanto da evitare di organizzare una cerimonia pubblica con la presenza delle cariche cittadine. Il sindaco ribadì che la mafia a Catania non esisteva.
Il funerale si tenne allora nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia in Ognina e poche persone diedero l’ultimo saluto al giornalista: furono soprattutto giovani e operai ad accompagnare la bara. Il suo funerale venne disertato da molti, le uniche personalità presenti furono il questore, alcuni membri del PCI e il presidente della regione Santi Nicita.
Successivamente, l’evidenza delle accuse lanciate da Fava sulle collusioni tra Cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi porta ad una rivalutazione del caso da parte della magistratura che decide di avviare vari procedimenti giudiziari. Dopo un primo stop nel 1985, per il cambio del sostituto procuratore aggiunto per “incompatibilità ambientale”, il processo riprese a pieno ritmo solo nel 1994.
Nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato “Orsa Maggiore 3” dove per l’omicidio di Giuseppe Fava sono stati condannati all’ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola.
Nel 2001 le condanne all’ergastolo sono state confermate dalla Corte d’appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell’omicidio. Assolti invece Marcello D’Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come esecutori dell’omicidio.
L’ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all’ergastolo e Avola a sette anni patteggiati.
“Noi abbiamo impiegato 9 anni per arrivare al processo e non sono stati 9 anni facili – continua ancora Elena Fava nella sua intervista per Rai News 24 – e sono stati anni in cui ci sono state diffamazioni, depistaggi, falsi testimoni. Tutto questo però non ci ha fatto mai retrocedere perchè era questo che voleva la città.”
“La gente non ha capito che la storia di Giuseppe Fava non appartiene a me, perchè io sono la figlia, o a Claudio, questa storia, che è una storia di mafia di questa città, appartiene a tutti. Appartiene soprattutto ai giovani perchè partendo da quella sera del 5 gennaio, quello che abbiamo cercato di fare anche attraverso la fondazione, è di mantenere nei giovani i sogni e la speranza.”