Quella “sicilianità mafiosa” che non esiste ma che ci piace

u mafiusu siciliaQuante volte fuori dalla Sicilia ci sentiamo dire “Sicilia=mafia”? Capita spesso a chi viaggia. Ma perché dobbiamo alimentare questa falsa equazione anche qui in Sicilia? 

Capita spesso, soprattutto all’estero, che molti identifichino la Sicilia (e quindi anche i siciliani) alla mafia. Ma l’approccio culturalista in questo caso è sbagliato. Noi Siciliani non abbiamo nella nostra cultura la mafia. Non possiamo averla. Però a noi piace ostentarla, sentirci forti e impavidi di fronte agli altri, anche se fingiamo di arrabbiarci.

L’approccio culturalista è sbagliato, come si evince anche da una ricerca sociologica condotta dalla sociologa Alessandra Dino: “[…] È sbagliato parlare di cultura mafiosa come presunta mentalità tipica di uno specifico popolo (nel nostro caso i siciliani). La cultura mafiosa è, invece, da intendersi come la cultura, l’ideologia tipica di un gruppo di potere, quello mafioso. La mafia utilizza una strumentale affinità con una certa cultura siciliana per ottenere il consenso di cui ha bisogno. L’approccio culturalista è erroneo, privo di basi scientifiche e controproducente sul piano del contrasto al fenomeno mafioso (come si fa a sconfiggere una cultura?) […].”

E ancora la sociologa palermitana nella sua ricerca individua una serie di paradigmi, soffermiamoci sul primo: “[…] Un primo paradigma è quello che vede nella cultura mafiosa una degenerazione della cultura siciliana e che amplifica i legami tra mafia e Sicilia, distinguendo però la “vera” cultura mafiosa — quella diffusa tra le classi meno abbienti e più marginali, dedite al crimine — dalla cultura “alta” delle classi più elevate, che solo in maniera marginale condividono tale bagaglio culturale. Il modello raggiunge le sue forme più estreme quando chi lo sostiene, identifica tout court la 600210_387865634632104_80160741_ncultura mafiosa con la cultura delle classi marginali siciliane, guardando alla mafia come a un fenomeno nato sui territorio dell’Isola per difendere le fasce più deboli della popolazione in assenza dello Stato […].”il padrino

All’estero i prodotti siciliani venduti con marchi che richiamano alla mafia sono tanti, abbiamo esempi in Danimarca (famose le pizze “Al Capone” e “mafioso” a Copenaghen), in Svezia, in Germania, in Austria (a Vienna famoso “Don Panino”, ecco alcuni nomi dei panini: “don Greco”, “don Buscetta”, “don Corleone”, “don Mori”, “don Falcone” e “don Peppino”), in Polonia (a Danzica famosa la pizzeria “Sicilia – la casa della mafia” che addirittura gioca sul “brand” Sicilia-italia-mafia mettendo la bandiera italiana come sfondo del logo) ma abbiamo esempi anche al nord Italia: Milano, Firenze (famoso il cannolo “Il Padrino”) con nomi di prodotti e di piatti che richiamano alla mafia e ai suoi personaggi.

Ma la cosa che sconvolge di più sono gli stessi siciliani che anche qui, nel profondo sud, continuano ad utilizzarli per identificare, nella cultura mafiosa, la cultura siciliana. A Palermo come a Castellammare del Golfo e in tanti altri paesi turistici della Sicilia si vendono tantissimi prodotti con l’effige de “Il Padrino”, “’u mafiusu”, magliette, calamite, oggetti vari e addirittura in molti ristoranti sul menù ci sono molti piatti o pizze dal nome che richiama chiaramente alla mafia.

cosa nostraEd ecco che a Castellammare del Golfo, oltre a vendere magliette e oggetti de “Il Padrino” troviamo in un ristorante-pizzeria la pizza “cosa nostra”. A giudicare dagli ingredienti sembra davvero buona, ma perché richiamare alla mafia? Un turista straniero nel nostro paese deve trovare per forza allusioni alla criminalità organizzata?

Perché continuare ad identificare la Sicilia con la mafia? Questo “brand”, anzi questo marchio a fuoco, rappresenta una zavorra per l’intera isola e per tutti i siciliani onesti, non è forse arrivato il momento di scrollarci di dosso questa indegna equazione?

La prima reazione emotiva, quando da italiano ti trovi in una pizzeria all’estero e trovi nel menù queste “vergogne”, è di disgusto, sdegno. Ma quando ti trovi a casa, nella tua terra, martoriata dal cancro mafioso, scenario di guerra e di morti ammazzati e ti ritrovi con una ingiustificata leggerezza di alcuni siciliani nell’usare parole come “cosa nostra”, “il Padrino”, “u mafiusu” provi solo vergogna e perdi, inesorabilmente, la fiducia.

Pensi a chi in questi anni ha perso la vita per combattere la mafia, a chi si trova in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata e poi … niente. Ti rassegni e ti chiedi se in fondo tutto questo, noi Siciliani, lo meritiamo davvero.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.