Di Antonino Messana
Nel 1266 quando lo svevo Manfredi di Sicilia, figlio naturale di Federico II di Svevia, venne sconfitto ed ucciso a Benevento da Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, seguì in Sicilia il dominio della dinastia francese degli Angioini. Il governo di questi, però, contrastato a causa del fiscalismo e della subordinazione dell’isola a Napoli, fu messo in crisi dall’insurrezione dei Vespri Siciliani, iniziata a Palermo il 30 marzo 1282.
Seguì la sconfitta di Carlo d’Angiò con l’intervento dell’esercito di Pietro III d’Aragona (1239-1285), acclamato re di Sicilia. La dominazione aragonese terminò il 23 gennaio 1516, con la morte di Ferdinando II d’Aragona. I fatti più importanti sono stati, prima la pace di Caltabellotta, e poi il trattato di Avignone. Il 31 agosto 1302 a Caltabellotta (provincia di Agrigento) fu firmata la pace tra Angioini e Aragonesi, a conclusione della guerra del Vespro. Dopo alcuni giorni di trattative fra Sciacca e Caltabellotta, i belligeranti (Roberto figlio di Carlo d’Angiò e Federico d’Aragona stabilirono che la Sicilia con le isole circostanti, sarebbe rimasta a Federico vita natural durante, col titolo di re di Trinacria, che questi avrebbe sposato Eleonora sorella di Roberto e che ai figli nascituri sarebbe stato procurato il regno di Gerusalemme o quello di Cipro, nel qual caso, previo pagamento di 10 once d’oro, la Sicilia sarebbe ritornata agli Angioini. La trattativa fu più una tregua che una pace definitiva. Fonte: Enciclopedia Italiana Treccani-on line, CALTABELLOTTA di Attilio Mori, Giuseppe Paladino e Giovanni Perez.
Dopo 70 anni si arrivò al Trattato di Avignone firmato il 20 agosto 1372 da Federico IV d’Aragona e Giovanna d’Angiò che decretò il termine definitivo dei Vespri Siciliani, dando agli Aragonesi pieno titolo sul Regno della Sicilia.
ARAGONA SPAGNA
La dominazione Aragonese iniziò nel 1282 con a capo Pietro III d’ Aragona e terminò nel 1516 con la morte di Ferdinando II d’ Aragona.
Gli aragonesi in Sicilia portarono una graduale recessione e malessere tra il popolo. Vennero divisi e ricostituiti i latifondi a beneficio di alcuni Signori di nobile discendenza. Sono state colpite le classi di livello inferiori, come quelle rurali, ma, anche la media borghesia ha subito un deterioramento. L’urbanizzazione non venne curata e si ebbe un rapido declino delle bellezze cittadine e dell’ordine pubblico. Si diffuse anche il brigantaggio.
Con la dominazione aragonese, lo stile in ambito artistico che prese piede fu quello Gotico. Testimonianza sono: la Chiesa di Santa Maria della Catena a Palermo, il Palazzo Abatellis, il Palazzo Arcivescovile, la Badia Vecchia ed il Palazzo di Corvaia a Taormina.
I D’ASBURGO D’AUSTRIA IN CASA SPAGNOLA
La precedente dominazione Aragonese si concluse con il matrimonio tra Ferdinando II d’ Aragona e Isabella di Castiglia, unendo così sotto la stessa Corona Aragonesi ed Angioini. Invece, con il matrimonio della figlia di Ferdinando II, Giovanna di Castiglia (detta la pazza) e Filippo il Bello d’Asburgo si unifica la casa d’Asburgo con quella Spagnola. Da questa unione nasce Carlo V.
Fu così che la dominazione spagnola, con Carlo V re di Sicilia, portò la dinastia degli Asburgo in Sicilia.
Il governo spagnolo esercitò la propria politica sulla Sicilia tramite i Vicerè quali; Emanuele Filiberto di Savoia, Juan De Vega, Ferrante I Gonzaga.
Questo decentramento amministrativo comportò una scarsa presenza della Corte in Sicilia per tutto il periodo della dominazione Spagnola, ad eccezion fatta per tre mesi di Carlo V passati sull’Isola (che in nota riporto in breve sunto).
La condizione politico-sociale fu segnata da un notevole malcontento. A causa di ingenti tasse la vita nei feudi si fece sempre più pesante e così i contadini preferirono cercare fortuna nelle città. La realtà di città crebbe sempre più grazie anche alla nascita di classi sociali nuove come il proletariato. Ne conseguì che il sistema feudale visse un periodo di grande crisi. Il governo spagnolo, rendendosi conto della situazione, decise di promuovere la “licentia populandi” a favore dei nobili Siciliani. Questa legge permise loro di avere piena libertà nel popolare il feudo o di costruire nuove strutture, dette anche “Bagli”.
La politica di rinnovamento spagnolo portò alla riedificazione di interi villaggi contadini. Essi in genere erano composti principalmente da due punti di riferimento, una chiesa ed un palazzo baronale, attorno ai quali si svilupparono veri e propri villaggi. Nacquero proprio in questo periodo piccoli centri Siciliani come Valguarnera Caropepe (1549), Vittoria (1550), Cinisi (1617), Leonforte (1610), Niscemi (1599), Aliminusa, (1621) Barrafranca, Campobello di Licata (1681), Campofelice di Roccella (1699), Casteltermini (1629), Cattolica Eraclea (1612), Delia (1581?), Francavilla, Mazzarino, Paceco (1607), Palma di Montechiaro (1637), Piedimondo Etneo (1687), Riesi (1647), Sperlinga (1612?). Molti dei feudatari erano ricchi mecenati, finanzieri o ricchi commercianti.
Dopo questa introduzione storica a carattere generale mi riallaccio come linea guida al libro di Tesoriere. Egli scrive: I cinque secoli che seguirono il dominio arabo normanno non ebbero alcun effetto positivo sullo sviluppo economico dell’isola; le dominazioni che si sono intervallate da guerre e sommosse ( abbiamo visto la sconfitta degli Svevi e l’ingresso degli Angioini, aragonesi, fino a Carlo V di Asburgo), le carestie e le pestilenze e flagelli naturali (eruzione dell’Etna del 1669 che distrusse completamente Catania), ebbero come obiettivo di ricavare dalla Sicilia, se possibile il massimo beneficio. Per raggiungere tale scopo, considerato prioritario, i vari governi cercarono, in maniera più o meno estensiva e palese, di mantenere certi rapporti con le classi nobili, che favorirono e gratificarono con concessioni e privilegi (ho appena citato la licentia populandi affidata ai feudatari e nobili).
La proprietà terriera, con la conquista, diveniva appannaggio del vincitore, il quale la elargiva ai nuovi ed antichi baroni come ricompensa per gli aiuti ricevuti e per continuare ad appoggiarlo nel rafforzare il dominio. Si estendeva perciò il latifondo e scompariva la proprietà contadina con la conseguenza che la coltivazione della terra veniva quasi del tutto negletta. La Sicilia che in epoca romana, era considerata il granaio d’Italia, divenne per buona parte improduttiva, non più sufficiente, negli anni di siccità, a fornire il grano necessario ai suoi abitanti; si ebbero periodi difficili di carestia e fame. Inoltre, l’abbandono delle terre produsse, in molte zone di pianura, la formazione di paludi, le quali, non realizzandosi le necessarie opere di scolo, venivano necessariamente abbandonate, con il risultato che la malaria, divenuta malattia endemica, mieteva ogni anno migliaia di vittime fra i contadini.
L’evoluzione del feudo e delle baronie rappresenta un aspetto che si inserisce in quello più generale della viabilità soprattutto se si riconosce la sua diretta dipendenza con le condizioni socio-economiche della regione.
Con queste parole, Tesoriere vuole dire che la viabilità è fattore di sviluppo ed è legata alla produzione e smercio dei fattori produttivi (grano, vini, olio ed in genere prodotti agricoli).
Nel feudo il barone (nonostante le crisi economiche) conservava i più ampi diritti ed esercitava tutti i poteri sulla popolazione, in particolare, nei riguardi dei servi della gleba, per cui si ebbero malversazioni e prepotenze di ogni genere tanto che Carlo V (agli inizi del 1500) trovò che gli eccessi delle usurpazioni feudali non avevano limiti.
Questa situazione, in cui i baroni facevano il buono e cattivo tempo guardando soltanto i propri interessi particolari e trascurando quelli collettivi e generali, impoverì la Sicilia, demoralizzò il popolo siciliano fino a renderlo insensibile alle avversità e fatalista.
Federico III allo scopo di allentare il potere baronale e le angherie sui loro feudi rispolvero le Costituzioni del regno di Sicilia del 1296 di Federico II d’Aragona ed esattamente il capitolo XXIII, sotto riprodotto.
II. CAPITOLI DEL REGNO DI SICILIA. Costituzione delle ordinanze regie di Federico III.
CAP. XXIII. Degli animali transitanti.
Estirpando l’abuso dei guardiani forestali e di altri che tengono terre, ordiniamo che in futuro nessun guardiano forestale o sotto guardiano, conte, barone, feudatario e proprietario di terra, col pretesto del carnaggio o dell’erbaggio, presumano esigere prezzo dai transumanti per i boschi e per le stesse terre coi propri animali nelle terre di essi, o prendere animali, ma che essi permettano di liberamente transumare e, in transumanza, trattenersi due giorni e due notti e inoltre pernottare; e godano ulteriormente di un proprio diritto. [TRADUZIONE DEL PROFESSORE CARLO CATALDO DI ALCAMO].
Qui la pastorizia otterrebbe un ulteriore vantaggio per l’allungamento di due giorni compreso i riposi notturni nel passaggio degli armenti in terre di Conti, Baroni, Feudatari o Proprietari di terre. E bene ricordare che Federico II aveva stabilito solo un giorno ed una notte.
Questo provvedimento, pubblicato da Lo Presti non porta alcuna data, quindi, ci possiamo riferire alla durata del Regno. Federico III fu incoronato Re di Trinacria nel 1302 e lasciò il regno con la sua morte nel 1337.
Lo Presti commenta il provvedimento con queste testuali parole: il provvedimento è “rivolto sempre a fiaccare quella sete di indiviso dominio che poggiando su soprusi finiva nell’angherie: cosa affatto incompatibile col desiato incremento della pastorizia di così utile e generale aspettazione”.
Dopo la lettura ed il commento del capitolo XXIII ritengo opportuno evidenziare che Federico III ha emanato il provvedimento non per lamentele ricevute, ma solo per abbattere, come già detto, la prepotenza dei Baroni e con la speranza di incrementare la pastorizia fonte di ricchezza. Voglio ricordare che le Costituzioni di Federico II sono state introdotte a seguito di lamentele e reclami, con queste testuali parole:”Cum per partes Apuliae feliciter transiremus, communis undicque clamor, et quierimonia proposita est celsitudini nostrae, videlicet, quod foresterii gravissimas plurima generalieter omnibus inferebat, et vius, ac duversis exactionibus totam terram intolerabiliter opprimebant. Volentes igitur maleficia corrigere, et subiectorum paci, ac tranquillitati misericordeter provvidere:.. Mentre viaggiavamo serenamente attraverso le regioni della Puglia, da ogni parte si rivolgevano alla nostra altezza reclami e lamentele, dal momento che i custodi arrecavano generalmente a tutti gravissimi fastidi e ingiusti e numerosi danni e con varie e diverse vessazioni opprimevano intollerabilmente tutto il territorio. Volendo pertanto modificare comportamenti offensivi di tal natura e provvedere con passione alla pace e alla serenità dei sudditi, per mettere freno alla malvagità e alle iniquità di costoro, stabiliamo:…
Adesso, mi sembra lecito pensare che nel 1300 non c’erano nè greggi nè pastori a causa della popolazione scarsa; allora re Federico III, per migliorare la Sicilia, rispolvera le Costituzioni già emanate da circa un secolo con un duplice proposito di incrementare la pastorizia e limitare il potere dei nobili sulle proprietà. Anche qui riecheggia l’originario concetto di servitù di passaggio delle bestie nelle terre private, abbondantemente affrontate nelle parti precedenti (da ultimo Cap. II- Parte IV pubblicata il 5 marzo 2016).
Continuando la lettura di Lo Presti: ”Segue il capitolo XXVII del 1296 dello stesso Federico II Aragonese. Ricalcando già le medesime orme, volendo sempre più sconfiggere le insulse pretese feudali le quali su nomi vari mascheravansi, venne stabilendo che conte, barone, feudatario, castellano ed altri che si fosse, mai non avesse esatto, e dire meglio estorto alcun carnaggio per gli animali transitati, se per due giorni e per due notti, nelle loro terre, foreste, luoghi e territori dimorassero o pascolassero: i contravventori dava facoltà di denunziare e punire colla multa pecuniaria.
Se mai però oltre si andasse dei divisati giorni, comechè una lesione era alla proprietà, non mai rimosso l’uso o il bisogno del passaggio, potrebbero bensì riscuotere i carnaggi”.
Vedi docum. III, pag. VII
CAP. XXXVII. Sul divieto di esigere carnaggi.
Abbiamo stabilito che nessun Conte, Barone, Feudatario, Castellano o chiunque altro ardisca esigere o ricevere alcunché da qualche diritto di carnaggio per animali transitanti per i loro boschi, luoghi e territori, anche se capiterà per qualche motivo di intrattenersi per due giorni e due notti in terre, boschi e luoghi di loro stessi, e di territorio di loro stessi e prendere pastura in quegli stessi luoghi. Se poi in quegli stessi luoghi siano stati oltre due giorni e due notti, si soddisfi il diritto del carnaggio solito e dovuto. Se poi i detti Conte, Barone, Feudatario, Castellano o qualche altro sia stato disprezzatore di questa nostra costituzione, quegli a cui si sottraesse il diritto del carnaggio contro la forma predetta, denunci [ciò] al baiulo del più vicino luogo del nostro demanio; e quello, resosi noto di ciò per giuramento dello stesso denunciante, paghi allo stesso, per i proventi del suo baiulato, il prezzo del suddetto carnaggio o dei carnaggi; ciò eseguito, il medesimo baiulo scriva per sua lettera al regio legale, perché subito esiga la pena di due once d’oro, da applicarsi in beneficio della Regia Curia, per ogni carnaggio sottratto dal predetto. E questi legali, ai quali vogliamo aver fiducia, per lettera del detto baiulo, eseguano tutto quanto è stato premesso. Ma se il detto legale o il baiulo sia stato in ciò negligente, paghi la stessa pena. E se per caso il detto legale non possa esigere la stessa pena da chi ha sottratto il carnaggio, sia tenuto a denunciarlo, entro 20 giorni alla nostra Maestà. E se non lo abbia denunciato alla nostra Curia, a motivo della pena, sia tenuto a pagare il doppio; tuttavia sia sempre obbligato alla stessa pena chi sottrae carnaggio a quelli che ne abbiano titolo di padronanza. [TRADUZIONE DEL PROFESSORE CARLO CATALDO DI ALCAMO].
Andiamo avanti con Lo Presti. “Il capitolo LXIV del re Martino figlio in data 13 dicembre 1407, poco pria della mossa di Cagliari, la medesima disciplina a un dipresso venne a richiamare in vigore.
Vedi docum. III, pag. VIII
IV.
Capitoli, costituzioni e prammatiche di re Martino.
Cap. LXIV. Prammatica sulla non riscossione di carnaggi dai transumanti.
Martino ecc. Diamo [nostra] amicizia a Conti, Baroni, feudatari, e ad altri ai quali spetta, Consiglieri, familiari e nostri fedeli. Nostra Altezza ha recentemente appreso, da lagnanza di alcuni nostri sudditi, che alcuni Baroni o anche feudatari del nostro Regno di Sicilia, dai transumanti per i boschi e i loro feudi coi propri animali, pretendono temerariamente i carnaggi e, per di più, ciò che è peggiore, portar via animali di quei transumanti; e molestare ingiustamente gli stessi transumanti: che quelli che sopportano troppo molestamente, quando si riguardi – per costituzione dell’illustrissimo Principe signor Re Federico Terzo, eccellentissimo re di Sicilia di sovrumana memoria che inizia [con le parole] Abuso dei guardiani forestali ecc. – che Conti, Baroni, Feudatari, tenutari di boschi o proprietari di terra, col pretesto del carnaggio o dell’erbaggio, non debbano esigere, dai transumanti per i boschi e per le stesse terre coi propri animali nelle terre di essi, prezzo o togliere animali, ma che essi permettano di liberamente transumare e, in transumanza, trattenersi due giorni e due notti e inoltre pernottare; e questa costituzione vogliamo che sia integralmente osservata, per come per costituzione dello stesso Serenissimo Principe Re Federico Terzo ricordiamo sia stato confermato, nel Parlamento Generale convocato a Siracusa, ingiungendo a voi e a ciascuno di voi, raccomandiamo che, secondo il tenore della stessa costituzione, permettiate che possa transitare in tutti i modi senza alcuna molestia per il transitante, ogni animale per le vostre terre, contee, baronie e feudi; e se sarà utile, trattenersi due giorni e due notti e inoltre pernottare; e perciò non esigendo affatto dagli stessi animali, per ragione di carnaggio, o erbaggio o di altro diritto comunque, nulla opponendo sia che per caso osserviate in contrario qualunque altra osservanza che piuttosto possa dirsi alterazione. E se quindi avrete fatto altrimenti, cosa che non crediamo, chiunque, in maniera insolita contravvenendo, incorra nella pena [dell’esborso] di cento onze da applicarsi alla nostra [Regia] Camera. Vogliamo tuttavia che se qualcun pretende di avere qualche diritto contro quanto si è premesso, compaia dinanzi alla nostra Maestà allegandolo; e per lui comanderemo di provvedere al compimento della giustizia, pur tuttavia rispettando frattanto integralmente la forma delle presenti ordinanze; e, nella situazione di questo caso, abbiamo quindi ordinato che si eseguano le presenti ordinanze, munite nel dorso col nostro maggior sigillo regio. [Capitolo] promulgato a Lentini nel giorno 13 Novembre 1407, prima Indizione. Re Martino. [TRADUZIONE DEL PROFESSORE CARLO CATALDO DI ALCAMO].
In tempi meno rozzi, ma più pregiudicati, e nei quali rialzavasi latente il livello delle baronali esorcitanze, era mestiere raccorre il freno delle leggi, ed all’osservanza dei precedenti comandi venire con un sistema di più grossa penalità; laonde quella pragmatica de carnagis non exisendis a transeunlibus, colla quale facendo capo agli abusi dei maestri forestali, abusionem magistrorum forestarium vietavasi il ricavo dei carnaggi, all’occasione del viaggio degli animali, sotto pena di once 100 avverso i contravventori.
Con questo provvedimento di Re Martino è sancita la pena pecuniaria di 100 onze, nel precedente provvedimento era stata sancita la denuncia e poi l’ammenda.
Andiamo avanti con lo Presti: Capitolo I di re Ferdinando I di Castiglia del 13 luglio 1414 poscia sei anni appena dalla esposta prammatica. Era un bisogno pressante tener deste in questo vitale
argomento le leggi del tempo: può dirsi anzi essere un’insegna onorifica della quale i nuovi re contavano fregiarsi. Già al salutare governi del regno, re Ferdinando sanzionava quella pragmatica nei termini medesimi dell’eposte e col titolo ut ne exgantur a transeuntibus carnagia.
Vedi docum. V pag.X
Prammatiche ed ordinamenti di re Ferdinando Primo
Per non esigersi carnaggi dai transumanti.
Ferdinando, per grazia di Dio re d’Aragona e di Sicilia, ecc. [Esprimiamo] la nostra grazia e buona volontà a tutti e singoli Reverendi Prelati, Predicatori, nobili, Conti, Baroni, e principalmente a Giovanni Ventimiglia, feudatari, Consiglieri, Capitani, Giudici, Giurati, Baiuli, e a tutti gli officiali del nostro Regno di Sicilia, presenti e futuri e ai nostri fedeli. [Segue un brano insignificante per i tuoi studi; riprendo il discorso con questo passo importante] Abbiamo appreso che voi a certi nostri fedeli che transitano attraverso feudi o castelli con loro animali, carpite, o lasciate che siano carpiti ad essi, meno che giusti carnaggi; […] esortiamo voi, Reverendi Prelati […] che se i predetti nostri fedeli siano passati per i vostri feudi e castelli, anche se proseguendo il cammino, per essi o per alcuno di essi, durante lo stesso cammino, sopravvenga la notte, ed egli abbia pernottato in quei medesimi luoghi, fintanto ché non si allontani da lì per il sorgere del sole dell’indomani, non presumiate che sia preso, né permettiate che sia preso comunque, alcun carnaggio o carnaggi; ma permettiate che essi o chiunque di essi transiti liberamente per i predetti feudi e castelli, non apportando, né procurando o permettendo che sia apportato, alcun impedimento; dichiariamo a voi e a ciascuno di voi che se tale carnaggio sia stato riscosso (e ciò non crediamo), conseguentemente sarà considerato pubblica violenza; e quelli che l’attueranno e consentiranno, siano puniti come apportatori di pubblica violenza.
[Disposizione] data a Randazzo il 13 luglio dell’anno del Signore 1414 , 7a Indizione. Visto: Fernando Vega. Visto: Ferdinando Cancelliere. Visto: Martino. [TRADUZIONE DEL PROFESSORE CARLO CATALDO DI ALCAMO].
Il provvedimento di Re Martino, come osserva lo stesso Lo Presti è una pura formalità (non fa riferimento a reclami di sorta) per tenere sveglio l’argomento della transumanza ed il libero passaggio degli armenti in qualsiasi luogo pubblico o privato. Peraltro, vuole essere, pure, un elogio onorifico ai precedenti Re che hanno emanato simili provvedimenti.
Infine, abbiamo l’ultima citazione di Lo Presti documentata. Ecco le testuali parole: Il capitolo LVII di re Filippo d’Austria verso il 1580. Viceré M. Antonio Colonna, autore di porta Felice di Palermo, così denominata da sua moglie Felice Orsini, il protonotario del regno supplicava il re, perché avesse confermato le costituzioni e capitoli del regno, concessi dagli anteriori principi intorno al tema del transito degli animali per le città, terre castelli e territori del regno liberamente e senza pagamento di carnaggi; ed il re laudava ed approvava.
Vedi docum. VI, pag. XII
La traduzione degli scritti sopra riportati mi sembrano inutili perché intellegibili e di facile comprensione. Qui c’è una novità rispetto agli altri capitoli che abbiamo letto, Costituzioni comprese. Infatti, troviamo che oltre a permettere che gli animali possano attraversare le terre di Castelli, Feudi e qualsiasi territorio del Regno, possano pure passare per le Città. Qui, mi salta in mente quanto scrive Santagati a proposito degli ingressi di città, che ripropongo volentieri e con il mio plauso all’autore. A pagina 17 della Sicilia del 1720, l’architetto Santagati scrive:”…in prossimità dei centri abitati le trazzere riducevano la loro larghezza specie nell’attraversamento degli abitati riducendosi a viottoli non più larghi di tre o quattro metri, mentre la larghezza massima (m.37,68) muta praticamente solo in campagna.
Perché sto focalizzando la città? Per la ragione che per Alcamo entrano in ballo numerose strade cittadine dichiarate Regie Trazzere. Ne cito alcune: Via Madonna della Catena, Via Galati, Via Madonna del Riposo, Via Monte Bonifato, Via Pietro Maria Rocca ubicate addirittura entro le antiche mura della città. Per esempio, quella di Via Madonna della Catena (con antichissima Chiesa, forse del 1300 ?) incrociava la porta Corleone d’ingresso alla città di Alcamo, tenuto in debito conto che anche questa città era provvista di antiche mura. Allora, questa Via di città, l’Ufficio Trazzere l’ha considerata capolinea della Trazzera Alcamo-Corleone per Raitano. Forse, re Filippo d’Austria supplicando di permettere di fare entrare gli armenti in città, riteneva che quelle strade di città attraversate da detti animali si potessero trasformare automaticamente in Regie Trazzere? Assurdo!
Nonostante le buone intenzioni dei governanti (fuoco di paglia!) per migliorare le condizioni economiche dell’isola queste non hanno avuto effetto, tanto che non servivano le strade, per penuria di popolazione e coltivazioni, a maggior ragione non servivano le Trazzere per il passaggio degli armenti per mancanza di greggi; si sviluppa così il brigantaggio delle campagne e i saccheggi dei pirati del mare lungo le coste, divennero, come la malaria, un male endemico, al quale ci si era ormai abituati e come unica difesa la popolazione si rinserrava nei piccoli centri rupestri e si contraeva (Tesoriere).
Evidentemente, una agricoltura in crisi comportava la riduzione dei traffici con le campagne e da questa verso i caricatori, che nei periodi di magra vedevano compromessa la loro funzione. Si è accennato che la popolazione dell’isola nei secoli fino al XV era molto scarsa (V. Capitolo II-parte III pubblicata il 06 febbraio 2016); nel 1502 un censimento contò in Sicilia 600 mila abitanti; si raggiunse la cifra di 950 mila nel 1583 ed 1.150.000 nel 1714.
In effetti, il grosso della popolazione rimaneva concentrato nelle città e lungo il perimetro costiero in cui si rilevava un densità di circa 30 abitanti per Kmq, mentre all’interno, zona classica del latifondo, la densità scendeva a meno di 12 abitanti per Kmq.
Questi dati sulla popolazione portano a dimostrare la scarsezza delle strade, perché inutili per mancanza di viaggiatori; dimostrano anche, che gli allevamenti dovevano essere scarsi, o tutt’al più, appena, adeguati ai consumi locali. Ne discende, come già ampiamente dimostrato in precedenza, che la transumanza si concentrava su brevi percorsi tra monti e pianure e le Regie Trazzere di lunga percorrenza si contavano sulle dita di una mano; mentre le merci ed i cereali si spostavano non per via terrestre, ma solamente via mare. Lo spopolamento delle zone centrali della Sicilia (con risorse solo agricole), per il passaggio delle popolazioni dalla campagna alla città, come avvenne nel territorio di Enna, costituisce un’ulteriore conferma della dell’inutilità delle strade e trazzere, per assenza di cose e persone da trasportare. Le città da popolare restano sempre quelle costiere, dell’epoca greca-punica: Siracusa, Agrigento, Trapani, Palermo, Messina e Catania (Tesoriere).
Si ricordano due sommosse e tumulti popolari a causa della carestia e della fame: quella di Palermo represse nel sangue; quella di Messina dello stesso anno 1647 di uguale sfortuna; anzi la città vide perdere i privilegi e distruggere i suoi palazzi. La popolazione scende da 1.015.875 a 983.163.
Nel 1600 la spinta a costruire nuovi centri residenziali era così sostenuta, che, talvolta questi sorgevano senza ancora avere ottenuto dal vice reggente la necessaria licenza. L’incentivo era determinato dai privilegi, con relativi titoli, che venivano riconosciuti a coloro i quali si facevano promotori della fondazione di un nuovo Comune; costituendo almeno 80 nuove abitazioni in un feudo, il proprietario acquisiva il titolo di principe insieme alla giurisdizione civile del nuovo borgo.
I nuovi comuni, di preferenza, venivano ubicati in zone collinari ed erano vocati particolarmente alle colture cerealicole. Il fenomeno si concentrò nella Sicilia occidentale, lungo le valli del Platani, del Verdura, del Belice, dell’Imera-Salso e nella zona etnea fra Catania e Taormina. Amministrativamente venne divisa in comarche, che esercitavano alcune funzioni dell’amministrazione dello Stato, come accertamento e riscossione delle imposte e la tutela del patrimonio demaniale. Nel 1583, sotto il governo spagnolo, la Sicilia fu divisa in 44 comarche o distretti che rimasero in vigore fino al 1812; con la nuova costituzione borbonica, che ha dichiarato decaduta la feudalità e si passò ad una divisione in soli 23 distretti.
Quanto detto sopra non è certamente sufficiente a fornire una completa panoramica della situazione economico-sociale in cui si trovava la Sicilia nel periodo che si sta esaminando ma ci permette di evidenziare come la viabilità non potesse ricevere alcun valido intervento almeno di ristrutturazione di quanto esistente (cioè, migliorare e potenziare le strade esistenti) e che, pertanto, essa venisse quasi del tutto dimenticata. Maggiore era l’isolamento, più concreta risultava la possibilità di sopravvivenza.
Essendo scarsa la popolazione ed anche isolata, era anche scarsa la produzione, nulli i commerci ed inesistenti gli spostamenti delle persone e dei prodotti. Eventuali eccedenze di cereali confluivano nei caricatori, ubicati nei porti, e trasportati per mare, quindi le strade non servivano, tanto che quelle esistenti venivano abbandonate o lasciate alla deriva. Siamo arrivati alla fine del XVII secolo e la Sicilia è senza strade e senza trazzere. Col XVIII secolo arriveranno i primordiali provvedimenti intesi a costruire le prime strade rotabili.
Antonino Messana
La prossima puntata del terzo capitolo verrà pubblicata Sabato 30 Aprile 2016.
NOTE
CARLO V RE DI SICILIA (1516-1558)
Il 17 agosto 1535 l’imperatore volgeva le sue navi verso la Sicilia, dando inizio a un lungo e memorabile viaggio cerimoniale attraverso la penisola italiana. Da Trapani, prima tappa siciliana, Carlo V raggiunse Palermo, dove sostò un mese; si diresse quindi verso Messina, seguendo la strada delle montagne, che passava dall’entroterra toccando Polizzi, Nicosia, Troina, Randazzo e Taormina. Ai primi di novembre Carlo ripartì da Messina alla volta di Napoli.
IL 20 AGOSTO 1537 CARLO SBARCA A TRAPANI PROVENIENTE DA TUNISI DOPO IL SACCHEGGIO DELLA CITTA’.
LA MAPPA INDICA IL VIAGGIO CON LE TAPPE DELLE CITTA’ VISITATE PERCORSI A CAVALLO
Fonte:www.guidasicilia.it/ita/main/storia/storiaSpagnoli.htm
Santa Maria della Catena Palermo oggi Sede dell’Archivio di Stato
Costruita, al posto di una piccola cappelletta, tra il 1490 e il 1520 a opera dell’architetto Matteo Carnilivari, prese questo nome poiché su un muro della chiesa era posta un’estremità della catena che chiudeva il porto della Cala. Di stile Gotico costruita durante la dominazione Aragonese.
PALAZZO CORVAJA TAORMINA
Palazzo del Parlamento o della regina Bianca di Navarra.(1387-1441)
STEMMA DEGLI ABSBURGO
Le origini della Casa Asburgo si ricollegano con la decadenza del Sacro Romano Impero medievale e con la fine della dinastia sveva. Morto Federico II di Svevia e poco dopo il figlio di lui Corrado IV (1254), in Germania seguì un periodo di lotte civili durante il quale non si ebbe un sovrano universalmente riconosciuto (1254-1273). Nel 1273 i prìncipi elettori si accordarono finalmente sul nome di un signore di non grandi feudi, Rodolfo I d’Asburgo, che fu l’iniziatore della potenza di questa casa. Signore di alcuni feudi dell’alta Alsazia e nella Svizzera Tedesca, tra l’alto Reno e il lago di Costanza, fu eletto Re di Germania anche per le pressioni del papa Gregorio X, che sperava di creare un ostacolo all’eccessiva potenza angioina in Italia e di avere in lui un capo crociato. La casa d’Asburgo rappresenta una delle più importanti case regnanti in Europa. I suoi membri sono stati reggenti in Austria come duchi dal 1282 al 1453, arciduchi dal 1453 al 1804 e imperatori dal 1804 al 1919; re di spagna dal 1516 al 1700; re di portogallo dal 1580 al 1640; per molti secoli imperatori del Sacro Romano impero; ininterrottamente dal 1438 fino al 1806.
Massimiliano I figlio e successore dell’imperatore tedesco Federico III (1493-1519) assicurò alla casa d’Asburgo con un importantissimo matrimonio anche la successione nei regni d’Aragona e di Castiglia e le loro dipendenze, facendo sposare al proprio figlio Filippo il bello l’unica figlia ed erede di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia, Giovanna (che poi uscì di senno e fu detta la pazza). Da questo matrimonio nacque a Gand (città del Belgio, capoluogo delle Fiandre Orientali), nel 1500, Carlo d’Asburgo (Carlo I di Spagna, il futuro imperatore Carlo V), l’iniziatore della Casa d’Austria-Spagna). Con la morte prematura del padre, Carlo divenne l’erede dei domini ereditari di casa d’Asburgo per le terre di Fiandra e della Franca Contea (regione della Francia Orientale), dote della nonna paterna Maria di Borgogna.
Dalla nonna materna Isabella di Castiglia ereditava (dal 1506 per la pazzia della madre) la Castiglia con i presidi Africani e le nuove colonie d’America, e alla morte del nonno materno Ferdinando (1516) entrava in possesso del regno di Aragona e dei territori italiani annessi, cioè il regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna. Morto il nonno Massimiliano (1519), Carlo riunì alla grandissima potenza della Spagna i possessi asburgici d’Austria e di Germania, costituendo per la Francia una grande minaccia, tosto aggravata dall’elevazione di Carlo a imperatore fatta dagli elettori contro il re di Francia che aveva pure posta la sua candidatura all’Impero. Il nuovo Impero comprendeva l’Austria con i diritti alla sovranità sull’Ungheria e sulla Boemia, confermati dal matrimonio di Ferdinando, fratello di Carlo, con la ereditiera delle due corone (1521), la Germania imperiale, i Paesi Bassi, la Franca Contea, la Spagna, il Napoletano, la Sicilia, la Sardegna, i Presidi Africani, le colonie d’America. A ragione Carlo poteva dire che sui suoi domini non tramontava mai il sole.
IMPERO DI CARLO V (1521)
CUACOS DE YUSTE(Càceres) MONASTERO DI SAN JERONIMO
Nel Monastero di Yuste a Cuacos de Yuste (Caceres) il 21 settembre 1558, morì l’imperatore Carlo V. Parlava il francese e conosceva poco lo spagnolo, ma nel 1554 due anni prima della sua abdicazione si fece costruire dal figlio Filippo II un palazzo nella cittadina, che piccola e lontana dal mondo, gli offriva pace e riposo. Fu sepolto in questo Monastero. La sua salma fu trasportata al monastero dell’Escorial, detto anche San Lorenzo dell’Escorial (comunità autonoma di Madrid).
BIBLIOGRAFIA
–Renda Francesco – Storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni-volume I, dalle origini alla rivoluzione del Vespro, Sellerio editore, Palermo, 2003.
–Renda Francesco – Storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni-volume II, da Federico III a Garibaldi, Sellerio editore, Palermo, 2003.
–Crociata Michele Antonino – Sicilia nella Storia – La Sicilia e i Siciliani dalla Dominazione Saracena alla fine della lotta separatista (827-1950), Primo Tomo – Dallo sbarco saraceno alla morte di Re Ferdinando II, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2011. Pagg. 61 e segg..
–Enciclopedia Italiana Treccani-on line, CALTABELLOTTA di Attilio Mori, Giuseppe Paladino e Giovanni Perez
–Enciclopedia Italiana Treccani –on line-REGNO DI SICILIA.
–Giuseppe Tesoriere – Viabilità antica in Sicilia – dalla colonizzazione greca all’unificazione (1860)-Zedi Italia, Palermo 1994 pag. 60,61. Custodito presso la Biblioteca delle Costruzioni Stradali della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo – collocazione 422.P2.26.
– Grande Dizionario Enciclopedico Utet – terza edizione Torino 1969, volume I pag. 50 e segg.
Popolazione della Sicilia- Grande Dizionario Enciclopedico Utet – terza edizione Torino 1969, volume XVII pag. 231);
Lo Presti Antonino-Monografia di Diritto Pubblico sulle Trazzere di Sicilia, Stamperia di G. B. LORSNAIDER, Palermo 1864:
Santagati Luigi– Viabilità e topografia della Sicilia Antica. Volume I. La Sicilia del 1720 secondo Samuel von Schmettau ed altri geografi e storici del suo tempo, Assessorato regionale siciliano ai BB CC AA, Caltanissetta 2006;
Santagati Luigi– Viabilità e topografia della Sicilia Antica. Volume II. La Sicilia alto-medievale ed arabo-normanna – corredata dal Dizionario della Sicilia medievale – Edizioni Lussografica Caltanissetta 2006.