Ottanta anni di carcere per colpire il clan Messina Denaro
Sei imputati, tutti condannati. Arrestati nel 2015 nel blitz di Polizia e Carabinieri denominato Ermes, oggi, per gli ultimi “postini-pizzinari” del boss Matteo Messina Denaro, sono arrivate le condanne. Hanno scelto il rito abbreviato dinanzi al gup Walter Turturici del Tribunale di Palermo, e le richieste di condanna formulate dal pm della Dda Paolo Guido sono state accolte dal giudice, riducendole di un terzo, come prevede il rito processuale scelto dagli imputati. Sono stati condannati Pietro Giambalvo, Michele Gucciardi e Giovanni Domenico Scimonelli (17 anni ciascuno) Vincenzo Giambalvo (13 anni), Michele Terranova (12 anni), Giovanni Loretta (4 anni per favoreggiamento).
Imputato era anche il mazarese Vito Gondola, ma la sua posizione è stata stralciata in quanto per il suo stato di salute ad oggi non può comparire dinanzi al giudice. Era proprio Gondola il punto di riferimento, era lui che raccoglieva i “pizzini” e poi li faceva avere ai destinatari, o ancora li apriva per impartire gli ordini che man mano arrivavano dal boss latitante. Ma alcuni dei condannati non erano solo “pizzinari” ma anche capi dei clan ricostituiti.
Gondola per esempio era diventato il nuovo capo della mafia mazarese, erede del defunto Mariano Agate, Mimmo Scimonelli aveva preso in mano il clan di Partanna, Michele Gucciardi si occupava invece della cosca di Salemi. Potevano contare su una schiera di “complici” come Michele Terranova, proprietario della masseria divenuta la stazione di posta. Lì i “pizzini” da e per Matteo Messina Denaro sono transitati tra il 2011 e il 2014.
Gondola intercettato è stato sentito esprimere preoccupazione perché da qualche tempo la “chiamata” fatta in nome di Messina Denaro non ha riscontrato le veloci adesioni di una volta, ma ciò non di meno ammetteva a suo modo che bisognava andare avanti,. “non è che uno si… impressiona non deve camminare più… se dobbiamo camminare dobbiamo camminare…”. Il clan del “pizzinari” però è riuscito a sottrarre alla conoscenza degli investigatori il contenuto dei “pizzini”. L’apertura avveniva in aperta campagna, sotto i pali eolici, così che il forte rumore degli impianti copriva le voci mentre leggevano i “pizzini” che poi puntualmente venivano distrutti e sepolti in buche fatte apposta per essere sicuri nascondigli di tutti quei fogliettini praticamente distrutti e inservibili. La corrispondenza tra boss e “pizzinari” si interruppe nel 2014 non appena si seppe della collaborazione dell’imprenditore Lorenzo Cimarosa, cugino del latitante. Immediatamente le comunicazioni cessarono.