Ventiquattro anni addietro i killer mafiosi cercarono di ucciderlo ma lui seppe reagire, oggi Rino Germanà ha ricevuto un alto riconoscimento
La medaglia d’oro finalmente è stata concessa. Rino Germanà ex capo della Mobile di Trapani, uno dei più capaci investigatori antimafia della Sicilia, doveva affiancare Paolo Borsellino alla Procura di Palermo , quel 19 luglio del 1992 era pronto a trasferirsi dal commissariato di Mazara dove era stato rispedito dal Viminale, a Palermo, ma la strage di via D’Amelio mandò all’aria anche la sua carriera. La mafia per “completare” il quadro di vendette pianificate in quella stagione del 1992 aveva anche organizzato il suo omicidio. Il 14 settembre del 1992 ci provarono e a uccidere Germanà mentre in auto percorreva la litoranea di Mazara dovevano essere Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Spararono a ripetizione ma la reazione di Germanà fu pronta, efficace, rispose al fuoco e si salvò gettandosi in acqua. I mafiosi dovettero desistere e fuggire via. Germanà a poche ore da quell’agguato si trovava già lontano da Mazara e dalla Sicilia, si ripresenterà al pubblico nella serata di quella giornata, vistosamente incerottato al capo, fianco a fianco al ministro dell’Interno dell’epoca, Nicola Mancino. La mafia pur non essendo riuscita ad uccidere Germanà ottenne ciò che voleva, Germanà da quel giorno fu portato non solo lontano dalla Sicilia, ma impegnato su tutt’altri fronti rispetto a quello del contrasto alla mafia. L’investigatore che aveva scoperto i filoni del riciclaggio di denaro, che aveva intuito la trasformazione in impresa di Cosa nostra, che aveva raccolto le prove sulla potente “mafia borghese” del trapanese dove le “coppole e la lupara” erano diventate immagini di un passato, rimasto vivo a seguito dell’attentato , non si poté più interessare agli affari di Cosa nostra. La sua carriera da quel momento è stata incredibilmente in discesa, si trovò addirittura a dirigere il commissariato di frontiera a Bologna. Poi , molto tempo dopo da quel 1992, la promozione a questore, dapprima a Forlì poi a Piacenza, dove ha concluso il suo percorso lavorativo. Tutto questo senza che nemmeno lo Stato si era ricordato di concedergli la medaglia d’oro al valor civile per avere sfidato e vinto a colpi di arma da fuoco la più terribile arroganza mafiosa.
C’è voluta una interrogazione del deputato Pd Davide Mattiello per far scoprire la grave mancanza da parte del Viminale. In occasione della Festa della Polizia, pochi giorni addietro, a Roma, Rino Germanà ha ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella la medaglia. Germanà è l’investigatore che ha condotto inchieste sulle infiltrazioni mafiose nelle banche, come la Banca Sicula di Trapani, quella appartenuta alla blasonata famiglia D’Alì, aveva intuito le connessioni tra mafia e massoneria ma il Viminale preferì fare a meno di lui per il contrasto alla mafia e ai colletti bianchi. Siamo felici per Germanà, siamo meno felici per ritrovarci ancora dinanzi a istituzioni che per contrastare le mafie hanno preferito far a meno dei suoi uomini migliori. Le sue indagini negli anni ’90 fecero scoprire la caratura criminale dell’allora emergente Matteo Messina Denaro nell’organigramma di Cosa nostra siciliana ed i suoi interessi nelle principali attività economiche ed imprenditoriali nella provincia di Trapani. Germanà è l’investigatore che immediatamente la sera del delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, 26 settembre 1988, aveva capito che quello era un delitto mafioso. Anni dopo su quelle sue indagini altri dirigenti della Squadra Mobile di Trapani, come Giuseppe Linares e Giovanni Leuci, hanno costruito il nuovo organigramma della mafia trapanese, tanto che una serie di operazioni sono state iscritte sotto il nome “Rino”. Sfogliando le pagine delle sue indagini , la Squadra Mobile di Trapani a metà degli anni ’90 cominciò a mettere a segno una serie di operazioni, i numerosi latitanti dell’epoca furono ad uno ad uno catturati seguendo il filone degli appalti pilotati. In carcere sono finiti così mafiosi, imprenditori e in qualche caso anche politici. Quando la “caccia” doveva continuare per prendere Matteo Messina Denaro, ancora oggi latitante da 23 anni, ecco che ancora altri investigatori capaci vengono promossi e trasferiti. Linares oggi dirige la Dia di Napoli, Leuci è a Varese ad occuparsi di faccende amministrative. La ricerca del boss del Belice continua, e la sensazione è sempre di più quella che Messina Denaro poteva essere già catturato e da tempo, se non fossero accadute alcune cose, anche il tentato omicidio di Germanà, e poi i trasferimenti dei suoi successori alla guida della Mobile di Trapani. Oggi a cercare Matteo Messina Denaro sono anche investigatori nuovi e giovani, ma ci sono anche alcuni investigatori che hanno fatto parte del pool che fu di Germanà, Linares e Leuci, almeno questi non sono stati toccati…e a loro si guarda per completare l’opera, portando in cella l’ergastolano Matteo Messina Denaro, altro pezzo importante della montagna di merda mafiosa. Anche lui un pezzo di merda. Autore di omicidi e stragi, fu lui a piazzare il 27 maggio 1993 un’autobomba a Firenze in via dei Georgofili, anche lì fu strage, a morire furono cinque persone tra cui due bambine di 9 anni e 50 giorni: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (36 anni) con le loro figlie Nadia Nencioni (9 anni), Caterina Nencioni (50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni). Nel 1993 la mafia con gli attentati riuscì a colloquiare con esponenti istituzionali, ci fu un contraccambio, la fine delle stragi in cambio di alcune garanzie. Quelle stragi portano anche la firma di un noto castellammarese, il lattoniere Gino Calabrò, l’uomo della strage di Pizzolungo del 1985. Calabrò da tempo è in cella, ma non è più al 41 bis, il suo nome saltò fuori anche dalla famosa lista dei detenuti che pare a seguito di quella “trattativa” furono messi fuori almeno dal “carcere duro” del 41 bis.