PALERMO – Il boss dei Corleonesi Bernardo Provenzano è morto nell’ospedale San Paolo di Milano.
Condannato all’ergastolo, Provenzano era in cella dall’11 aprile 2006, quando fu arrestato dopo 43 anni di latitanza. Nel 2013, per il peggioramento delle sue condizioni di salute, i suoi legali avevano chiesto la revoca del 41 bis. A novembre 2013 l’ultima richiesta: i familiari del boss avevano scritto all’allora ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per chiedere la revoca del carcere duro. Il legale del boss, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, aveva presentato istanze davanti al ministro e al tribunale di sorveglianza e persino alla corte dei diritti umani di Strasburgo, per chiedere la revoca del carcere duro per il boss. Istanze tutte respinte.
Era stato latitante dal 1963 al 2006 e aveva diverse condanne, tra queste quelle per omicidio di Giuseppe Russo, Beppe Montana, Ninni Cassarà, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Michele Reina, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Boris Giuliano, Paolo Giaccone, Cesare Terranova e Rocco Chinnici e condannato anche per le stragi di Capaci e via D’Amelio, per quelle del 1993 e per la strage di viale Lazio. Provenzano, inoltre, era imputato al processo per la Trattativa Stato-mafia: la sua posizione, però, fu sospesa proprio per le condizioni di salute dell’imputato. Nella perizia che ha portato alla sospensione, gli esperti incaricati dal gup Piergiorgio Morosini avevano diagnosticato a Bernardo Provenzano “una grave disabilità motoria e cognitiva tali da non consentirgli alcuna partecipazione al processo in termini coscienti”. A sollecitare la perizia era stata la difesa del capomafia dopo che il tribunale di sorveglianza di Bologna, rigettando la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena fatta dai legali, aveva stabilito che Provenzano era ancora in grado di mandare ordini all’esterno.
Grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento: è l’ultima diagnosi che i medici dell’ospedale hanno depositato. Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente “incompatibile con il regime carcerario”, aggiungendo che “l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza”.