La morte di “Binnu” Provenzano, ma Cosa nostra resta con le nuove strategie e protetta da certi processi di negazione
La montagna di merda quale è la mafia ha perduto un altro suo bel pezzo. Bernardo Provenzano è morto ma altri pezzi di merda come lui restano ancora in vita e in carcere, mi vengono in mente Totò Riina, Vincenzo Virga, Nitto Santapaola, Vito Mazzara, i capi mafia di Palermo, Trapani e Catania e il killer di fiducia dei boss, o ancora restano latitanti, come Matteo Messina Denaro, 54 anni e ricercato dal 1993, 23 anni. Bernardo Provenzano è morto e con lui nella tomba finiscono anche tanti segreti a cominciare da quelli dei contatti tra pezzi di merda della mafia e pezzi di merda che impropriamente hanno vestito gli abiti di uomini delle Istituzioni, ma che hanno tradito lo Stato, dando conto a certe richieste arrivate da quelli che insistono a farsi chiamare uomini d’onore, quanto invece sono uomini del disonore, etico, morale e ci mettiamo anche quello religioso vista la caparbietà di certi boss di affidarsi nelle loro comunicazioni, “pizzini” a santi e madonne. Provenzano addirittura per parlare, o meglio scrivere, addirittura usava anche la Bibbia. La lunga latitanza di Binnu Provenzano, 43 anni, fu interrotta dal blitz nel suo ultimo covo, una fattoria a Montagna dei Cavalli, alle porte della “sua ” Corleone, dalla Squadra Mobile di Palermo. Era l’11 aprile del 2006, la Mobile era diretta dall’odierno questore di Perugia Giuseppe Gualtieri, e a fare irruzione nel covo furono i poliziotti della catturandi allora affidata a Renato Cortese oggi a capo dello Sco, il servizio centrale operativo, anch’esso protagonista di quella cattura. Quando Provenzano fu arrestato si diceva che lui era morto, e da certi processi la sua posizione veniva apposta per questo stralciata, era diventato una sorta di “fantasma”, tanto che questo fu il titolo al docu-film che proprio in quelle settimane era uscito a firma del regista Marco Amenta. Quella latitanza era servita essenzialmente a fare sapere in giro che la mafia era invincibile, Provenzano non lo si riusciva a catturare, e mentre si diceva sulla sua morte, c’erano pezzi dello Stato che scambiavano messaggi con il padrino. Nel covo di Montagna dei Cavalli questi “pizzini” non sono stati trovati, fu trovato un ricco archivio di altri “pizzini” quelli con i quali Provenzano parlava di affari, appalti, politica ed elezioni, quelli con i quali dialogando con Matteo Messina Denaro chiedeva notizie sugli organigramma delle cosche, di appalti autostradali, di supermercati, del dare e avere a proposito di racket ed estorsioni. Il boss che passava per fantasma era invece più vivo che mai e poteva dire e far dire ai suoi “accoliti” che la sua libertà dimostrava l’invincibilità della mafia. Oggi morto lui non è morta la mafia. C’è sempre, ha cambiato pelle e strategie, ma c’è sempre. Ha adottato una strategia sotto il controllo di Matteo Messina Denaro, 54 anni dei quali 23 trascorsi di continuo da latitante, dal giugno del 1993, per la quale non si dice più che è invincibile, o meglio la invincibilità la si declina in maniera diversa. Cosa nostra è sommersa, invisibile, e così i soliti accoliti, ma non solo loro, anche qualche idiota, perché questi non mancano mai, in tutti i settori dello Stato, giornalismo compreso, dicono che la mafia è sconfitta. Oggi c’è chi si sforza ogni giorno di prodursi in processi di negazione del fenomeno, come fu fatto per Bernardo Provenzano c’è chi dice che Matteo Messina Denaro è morto. Non è così. La mafia esiste e Matteo Messina Denaro come Provenzano non è un capo assoluto, non vuole essere il capo assoluto. Lo si è potuto leggere nei “pizzini” trovati nel nascondiglio di altri boss, a Palermo, “se avete bisogno di me chiamatemi ma è meglio che fate da voi” scriveva così sostanzialmente il boss di Castelvetrano. Matteo Messina Denaro è il capo della mafia di Trapani che sparando bene quando è stato necessario sparare bene, ma votando bene quando si è trattato di votare bene, ha fatto della sommersione la sua caratteristica storica. A Trapani regna la mafia borghese, non ci sono solo coppole e lupare, ci sono i “colletti bianchi”, c’è la massoneria, ci sono uomini dello Stato trovati qualcuno a stare dall’altra parte della barricata, e non tutti sono stati scoperti. A Trapani c’è la mafia che ha avuto sindaci e politici che hanno negato a forza l’esistenza di Cosa nostra, una terra dove il “pizzo” non è mai esistito , è esistita semmai la “quota associativa a Cosa nostra” versata dalle imprese, ed è così che è cresciuto via via il processo di negazione, la mafia non c’è si diceva ieri davanti anche ai morti ammazzati, la mafia è sconfitta si dice oggi che non spara più. Quindi Matteo Messina Denaro ha completato il processo di sommersione avviato da Bernardo Provenzano, inventando anche la “sua” Cosa nostra, quella fatta da uomini d’onore diventati tali senza bisogno di riti, punciuta e santina che brucia sul palmo della mano, fatta da personaggi, anche culturalmente preparati ma ascoltati a parlare del boss come un dio da adorare. Certo nell’ultimo periodo Matteo Messina Denaro qualche problema lo ha avuto se si è rivolto a vecchi boss che dovevano essere in pensione e invece si sono dimostrati più scaltri dei “giovani”. E però con i vecchi Messina Denaro ha continuato a governare la mafia trapanese, sostenuto dai suoi familiari. I Messina Denaro non si arrendono, si fanno arrestare, condannare, ma resistono. Non ci sono segni di pentimento o di consegna, un mafioso non si costituisce, resta latitante, pensa male chi dice che questo potrebbe avvenire. Non ci sono segnali che fanno pensare ad una bandiera bianca alzata sulla cima della montagna di merda che è la mafia. Come accaduto con Provenzano, i 23 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro restano poco cosa per fare pensare ad una strategia di attacco da parte dello Stato. E’ da un decennio che sentiamo parlare di terra bruciata e di cattura imminente, ma questo non è avvenuto. E’ vero abbiamo visto tanti mafiosi, punciuti e non punciuti, finire in galera, con i beni confiscati, ma è pure vero che abbiamo visto quello che mai avremmo voluto vedere e cioè il trasferimento da Trapani di investigatori che Matteo Messina Denaro avrebbero potuto catturarlo se si fosse consentito loro di continuare a investigare. Ma la lotta alla mafia se condizionata da accordi segreti, da scelte errate, è anche segnata da colpi di fortuna, come fu per l’arresto di Provenzano a Montagna dei Cavalli. Ma quel colpo di fortuna dei poliziotti di Gualtieri e Cortese era legato ad un presidio serrato di Corleone, speriamo che questo presidio oggi nonostante tutto sia rimasto nonostante certi trasferimenti. Sappiamo che un lavoro di squadra tra Polizia e Carabinieri è stato messo in atto, ci affidiamo speranzosi a questo nuovo lavoro per vedere finalmente arrestato anche Matteo Messina Denaro che i suoi affari in Lombardia non li ha trasferiti adesso, ma da tempo, capendo che presto i soldi in Sicilia erano destinati ad esaurirsi. Provenzano è morto ma non è morta la mafia e non solo perché Matteo Messina Denaro resta vivo e latitante, ma perché intanto ci sono nuovi mafiosi. Intanto oggi a Castelvetrano il sindaco Errante inaugura un parco dedicato alla memoria di due vittime della strategia stragista firmata Cosa nostra, Nadia e Caterina Nencioni, avevano 9 anni e 50 giorni quando a Firenze, il 27 maggio del 1993, furono tra le vittime dell’autobomba piazzata in via dei Gergofili. Ce ne è voluto di tempo ma alla fine Errante si è deciso. Se nel comunicato stampa diffuso avesse scritto che colpevole di quelle morti è Matteo Messina Denaro certamente avrebbe meglio reso idea della certo bella decisione.