Messo in scena a Segesta il testo di Alessandra Camassa, Giovanni e Paolo
Il Teatro per contrastare la mafia e coltivare il ricordo e la memoria. E’ stata questa la scelta fatta assieme da Anm e Commissione Parlamentare Antimafia in coincidenza del 24° anniversario della strage mafiosa di via D’Amelio. E a prestarsi molto bene all’occasione è stato un testo scritto alcuni anni addietro dal neo presidente del Tribunale di Marsala, il giudice Alessandra Camassa, titolo “Giovanni e Paolo. Aldilà di Falcone e Borsellino”. A fare da scenario il suggestivo teatro antico di Segesta, scena millenario del teatro di tutti i tempi. “Un testo – dice la dottoressa Camassa che iniziò la sua carriera da sostituto procuratore con Paolo Borsellino quando questi era Procuratore a Marsala -scritto una mattina, prestissimo, scritto in due ore, ho deciso di offrire al pubblico il ricordo mio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. I due giudici, racconta la pièce messa bene in scena da Gaspare Balsamo, Giusy Zaccagnini e Dario Garofalo, quest’ultimo anche come regista, dopo le loro morti si trovano “nella casa degli uomini eletti”, “qui si trovano tutti quelli che in vita sono stati eccelsi ma non sono stati uomini perfetti, non è dunque il paradiso”. Avevano fatto un patto quello di non incontrarsi più, e invece un giorno mentre Paolo Borsellino intrattiene con una “lezione” i giovani di quella “casa”, irrompe gioioso e carico di ironia Giovanni Falcone. Impressionante la somiglianza con la quale Balsamo e Garofalo, Falcone e Borsellino, si presentano al pubblico, con i loro vestiti bruciacchiati e il viso ed i capelli ancora sporchi per le esplosioni nelle quali rimasero vittime. Falcone scherza e Borsellino con la solita sigaretta stretta tra le sue labbra che inutilmente cerca di accendere mentre parla. Falcone spiega subito a Borsellino perché è tornato a cercarlo…mi sei mancato Paolo ho bisogno di parlare con un amico troppe cose sono successe. A parlare è ovvio è il giudice Camassa, l’autrice del testo, privata d’improvviso di quell’amico procuratore. Alessandra Camassa conosceva bene sopratutto Borsellino e c’è da scommettere che le frasi messe in scena sono davvero quelle di Paolo Borsellino. Le frasi che Borsellino e Falcone si scambiano l’autrice le ha immerse dentro l’ attualità dei nostri giorni, un’attualità che sembra essere del tutto analoga a quella di tempi che sembravano dovessero restare lontani, oggi ci sono Palazzi di Giustizia tornati ad essere erano il “ventre molle” dello Stato, e gli attacchi riservati in vita a Falcone e Borsellino oggi sono tornati nei confronti di altri magistrati. E così in scena parlando del passato ma lo spaccato è apparso parecchio attuale è stato offerto il ricordo, con il dialogo tra Falcone e Borsellino, di verbali di collaboratori rimasti non considerati per anni, e la rabbia, espressa ancora da Falcone e Borsellino, già quando erano ancora vivi, perché non tutti i magistrati hanno saputo leggere quei verbali: c’è il ricordo di quel verbale scoperto da Falcone negli anni 80 e che risaliva alle confessioni fatte quasi 20 prima da un medico, mafioso, di Castelvetrano, Melchiorre Allegra, verbali dove si svelava già l’esistenza di uno Stato, mafioso, dentro un altro Stato, quello ordinato dalla Costituzione, Cosa nostra c’è sempre, è lì basta leggere i verbali. Come quello del pentito alcamese Giuseppe Ferro che si lega anche questo moltissimo all’attualità. Erano i tempi delle stragi e Ferro raccontò che Cosa nostra voleva compiere un attentato a Bologna, ma Ferro riesce a dissuadere i boss, li convince che bisogna “trattare” con la politica, per far cambiare la legge Gozzini (le premialità per i detenuti), discutere di appalti, e alla proposta di Ferro arriva un si convinto, “zu Pè io sta cosa la vio” , pronunciato da Matteo Messina Denaro, l’attuale latitante. E infine Falcone che dice a Borsellino, sai pare che dopo di noi abbiano trattato.La messa in scena nel suggestivo scenario del teatro antico di Segesta, nell’ambito della rassegna Le Dionisiache firmata da Nicasio Anzelmo, è stata introdotta dagli interventi dell’on. Rosy Bindi, presidente della commissione nazionale antimafia e del giudice Pier Camillo Davigo, presidente dell’Anm, l’associazione nazionale magistrati. “Il mio ricordo di Borsellino – ha detto Davigo – è legato alla telefonata dopo la comparsa di quell’articolo sui professionisti dell’antimafia sul Corriere della Sera, si diceva di magistrati che facevano indagini sulla mafia per essere favoriti nelle carriere, abbiamo visto dove ha finito Borsellino la sua carriera. Credo che è l’ora che certuni, a cominciare dalla politica, smettano con l’atteggiamento di dividere magistrati buoni, quelli ammazzati, dai magistrati vivi che perchè vivi non sono buoni”. La presidente Bindi ha riconosciuto che la politica ha grande ritardi, “come quello di avere ascoltato 24 anni dopo la strage la figlia di Paolo Borsellino, sentita in commissione antimafia, in quella commissione che non ha mai ascoltato Falcone e Borsellino”. La presidente della commissione ha anche indicato il pericolo maggiore che oggi si corre e con il quale la mafia potrà rafforzarsi, “è il pericolo della indifferenza che da più parti viene mostrato”. Infine Davigo e Bindi hanno voluto dedicare un pensiero a ciò che accade in Turchia, “se non ci sono giudici liberi non è libero nessuno” ha detto Davigo, e la Bindi, “non si dialoga (riferita a Erdogan ndr) con chi sospende le libertà e i diritti della persona”.