La Procura di Caltanissetta chiede il rinvio a giudizio del boss di Castelvetrano per le bombe del 1992. Udienza 22 dicembre, gli atti notificati dalla Dia alla madre
Il boss della nuova mafia, quella “2.0”, il capo mafia al centro di quel crocevia di commistioni tra Cosa nostra, la politica, le imprese, l’uomo che avrebbe frequentato banche e logge massoniche, non a caso diventate in alcune circostanze un tutt’uno, come emerge da diverse indagini condotte nel tempo contro la cupola trapanese, adesso si ritrova indagato per la stagione stragista siciliana del 1992. Matteo Messina Denaro, capo mafia di Castelvetrano, 54 anni ad aprile, latitante dall’estate del 1993, è oggetto della richiesta di rinvio a giudizio appena notificata dalla Dia all’anziana madre del boss, Lorenza Santangelo, vedova del patriarca belicino don Ciccio Messina Denaro. I pm di Caltanissetta hanno chiesto al gip di processare Matteo Messina Denaro per le stragi del 1992, quella di Capaci e quella di Via D’Amelio, tre magistrati furono uccisi, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, assieme ad otto poliziotti, Vito Schifani, Rocco Dicillo , Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Claudio Traina. Per la Procura di Caltanissetta “il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi del ’92 incarna il progetto della strategia stragista unitaria messa in atto da Cosa nostra”. In un summit mafioso tenutosi nel 1991 a Castelvetrano furono decise le stragi del 23 maggio e del 19 luglio 1992. I pentiti hanno raccontato anche della presenza del boss a Castelvetrano, in un summit organizzato nell’ottobre del 1991 per decidere di assassinare Giovanni Falcone. “Il 23 ottobre è il giorno in cui viene iscritto a ruolo il maxi processo e Riina apprende che presidente non sarà quello scelto e voluto, ma Valente, definito un gran cornuto, nel senso di inavvicinabile. E’ lì, alla presenza dei Graviano, di Sinacori, Mariano Agate, si inizia a progettare la vendetta verso i traditori e l’eliminazione di Falcone, Martelli, giornalisti ed uomini di spettacolo che si erano messi in prima posizione contro la mafia”. Tra questi, evidenziano i pm, vi erano Maurizio Costanzo, che il 19 settembre 1991 brucia la maglietta con la scritta viva la mafia ed in un’altra trasmissione augura ai mafiosi anche di morire, quindi Santoro, Biagi, Barbato, persino Pippo Baudo, autore di alcune trasmissioni dove si invitava a prendere coscienza del problema mafia. L’indagine contro Matteo Messina Denaro comprende un certosino lavoro di intreccio tra quanto emerge da diverse sentenze pronunciate per le stragi del 1992 e del 1993, e le dichiarazioni di diversi pentiti. I collaboratori di giustizia hanno parecchio parlato dello stretto rapporto tra il giovane Messina Denaro e l’allora capo mafia latitante Totò Riina. “Era Messina Denaro che spesso lo accompagnava nei suoi spostamenti, Messina Denaro aveva a disposizione una Alfa 164”. I collaboratori hanno anche raccontato che a fornire l’esplosivo usato in Via D’Amelio sarebbe stato l’allora capo mafia di Trapani Vincenzo Virga. Era rimasto custode della parte residuale dell’esplosivo che era stato usato nel 1985 a Pizzolungo, per quella strage destinata al pm Carlo Palermo che si salvò , morirono invece una donna, Barbara Rizzo, con i suoi figlioletti, Giuseppe e Salvatore Asta di 6 anni. Si trovavano sull’auto che fece da scudo al momento dell’esplosione, proteggendo l’auto dove si trovava il magistrato. L’esplosivo di Pizzolungo è dello stesso tipo di quello usato per l’attentato al treno rapido 904 (1984) e per il fallito attentato all’Addaura (1989) contro Giovanni Falcone, esplosivo che i periti hanno detto essere identico a quello che si trova nelle polveriere militari.